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È primavera

immagine presa qui

– È il primo giorno di primavera, Annarita.
– È il primo giorno di primavera, Ferruccio.

E anche quest’anno il rito è compiuto. L’antica promessa pagana ha preso forma, riscaldando in loro la certezza di aver tenuto fede a qualcosa di soprannaturale.

Certo vi è stato qualche particolare fuori posto: le voci arrochite dal tempo, o dall’emozione di trovarsi finalmente di fronte; la forza e la pervasività di una canzone oggi ancor più viva nelle loro menti; l’esitazione (visibile nell’accento carico di sentimento appoggiato sul nome altrui) nel riconoscere la primigenia gerarchia di fede dopo decenni dedicati alle rispettive missioni di vita.

Nella canonica del paese che li ha cresciuti in una fanciullezza carica di ideali e promesse dirette al e dal futuro, riescono ora, trapassati gli anni, a guardarsi finalmente negli occhi.

Le mani di Ferruccio si rifugiano in quelle di Annarita, portando una primula e Annarita ha un piccolo cedimento al ginocchio destro. Ferruccio allunga la mano e l’avambraccio a sostegno del gomito di Annarita e lei veloce raggiunge con la mano libera la spalla di lui.

In un attimo si accorciano tutte le distanze. Non rimane che accennare un passo di valzer.

– Non mi hai detto cosa ci fai qui.
– Avevo espresso il desiderio di morire circondato dai canti dei nativi. Figurarsi! Sono stato strappato dalla Missione e riconsegnato al luogo di partenza. Ora sono un vecchio parroco che non potrà far troppi danni, dato il dolore per la privazione del sogno e l’età avanzata. E tu?
– Sto terminando la conta dei beni di famiglia al fine di lasciar l’eredità alle consorelle. Per convincermi della necessità del gesto, nell’ultimo decennio mi hanno spostata dall’educativo al gestionale. Una vecchia suora senza parenti non può che pensare alle giovani bisognose di mezzi e aiuti.

Si sorridono. I passi di danza continuano. La musica si consolida tra le menti. Lo sguardo complice fotografa un pensiero comune.

– È il primo giorno di primavera, Annarita.
– È il primo giorno di primavera, Ferruccio.

I Dik Dik – Il Primo Giorno Di Primavera (ORIGINAL 1969)

Musalogia!

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Giornata mondiale

immagine da qui

Oggi è un giorno triste. Adriano ha chiuso il blog. Era stufo e stufo e stufo. Bon direte voi, ma io son triste e ho sentito di dover fare una cosa importante per ricordare questo giorno.

Ho così deciso di istituire la:

GIORNATA MONDIALE DELLA CHIUSURA DEL BLOG,
il 2 dicembre!

(Non dimenticate questo magnifico sito: GIORNATAMONDIALE.IT)

Come ho già detto altrove, a me le giornate mondiali non piacciono molto, alzano il polverone, fanno girare qualche cifra interessante, mettono in evidenza un problema, dettano ai Media l’argomento da trattare, alcune personalità di caratura istituzionale affermano impegno e il giorno seguente è la giornata mondiale degli animali da cortile.

Ma per Adriano uno strappo è d’obbligo e così, in questo giorno commemorativo, vorrei ricordarlo con la nostra prima collaborazione, di un esatto anno fa(lacrimuccia)

Orfani ti diciamo: adottac… (no, scusate, era un altro appello) CI MANCHI!


Autori: endorsum e Adriano

GM (giornata mondiale)

https://www.tp24.it/immagini_articoli/31-01-2016/1454256591-0-giornata-mondiale-delle-zone-umide-martedi-un-convegno-al-centro-polivalente-di-petrosino.jpg
c’è tutto in questa immagine: yin e yang (da qui)

Il raccontino narra della nascita delle “Giornate Mondiali” (o Internazionali, a piacere).

È a 4 mani, le mie due e le due mani di ADRIANO.

Trovaticisi sul sentiero del fastidio fisico nei confronti di questa nobile istituzione, abbiamo deciso di rendere almeno piacevole la percorrenza.

Buona lettura!

P.S.: le giornate mondiali nominate sono tutte realmente esistenti, tranne due: quali?


Da quando esiste il mondo, lo scorrere del tempo è stato sempre scandito dalle giornate. Queste, di giorno in giorno, di epoche in epoche, di lustri e lustrini vari, hanno segnato la vita di qualunque essere presente sul pianeta, anche dei sassi. Esse sono sempre passate uguali e placide, ma negli ultimi anni si è sentito il bisogno quasi fisiologico di prendere alcune di queste e di renderle speciali per ricordare fatti, avvenimenti, curiosità, nomi, città e cose da far conoscere a tutto il mondo. Sono nate così le giornate mondiali.

Enrichetta, detta Richy, pianta nella neve la tavola fucsia da snowboard e con i denti strappa la fascetta con velcro del guanto, spoglia la mano e con dita irrigidite dallo sbalzo termico tira la zip della tasca fluorescente sul petto: estrae il cellulare. Chi caspita la disturba prima di una discesa? L’ONU. Richy risponde alla telefonata e sì, da adesso è in missione per conto dell’ONU.  

Richy ascolta la voce misteriosa che parla dall’altra parte del telefono con una inaspettata parlantina, e sta lì lì per tirarle un accidente coi controfiocchi che ecco la voce la blocca subito dicendole che non può dire nulla poiché oggi è la Giornata Mondiale della prosopopea e quindi deve sentire e basta. Richy ingoia il rospo chiedendosi quando sarà la Giornata Mondiale delle maledizioni al telefono, e dopo aver salutato mestamente la voce dell’ONU con un: “Obbedisco!”, si rimette il cellulare nella tasca fluorescente a norma di legge, chiude la zip con tutto il guanto e, noncurante di quanto stava succedendo, ridotta ormai a un blocco di ghiaccio con le gambe, si avvia a scendere la pista come meglio può, pronta per avventurarsi in quello che è un ricco calendario di giornate da rispettare.  

Obbedienza.
Si obbedisce per timore, per indolenza spirituale, per mancanza di iniziativa, per economia energetica, per profondissima credenza. Aggiungerne si può, ma si obbedisce. Obbedendo, Richy avrebbe creato nuove parole d’ordine per altre innumerevoli obbedienze sane-sante-savie, ma quali? La parete del salotto decorata con le 15 tavole appese. La parete del salotto decorata con le 15 tavole appese e il profumo di vin brulé nell’aria. La parete del salotto decorata con le 15 tavole appese e il profumo di vin brulé nell’aria e: una visione biblica.   Dal fumo sprigionato dal vin brulé si ode una voce come di tuono dal tono solenne.

“Richy!” esclama la voce.
“Chi è?” esclama Richy stupita.
“Io”
“Io chi?”
“António!”
“Da Padova?”
“Macchè, da Lisbona!”
“Oh scusate, adesso non posso, tengo la pentola sul fuoco, lasciate pure il depliant sotto la porta.”
“Io non ho bisogno di depliant, sono il tuo capo!”
“Uuuh signore, scusate tanto, avete detto Antonio ho pensato al santo. Cosa posso fare per lei?”
“Hai letto le 15 tavole che ti ho mandato?”
“Sì.”
“E?”
“Sono carine, fanno proprio un bel figurone in salotto.”
“Devi rispettarle e farle rispettare tutte!!!”
“Tutte?”
“Sì.”
“Anche quella della migrazione dei pesci?”
“Sopratutto quella.”
“Ammazza che culo!”
“Vai e diffondi nel mondo col sorriso!”
“Sia fatta la sua volont… ehm… ok.”

E come è venuta, la voce sparisce, tra risate alcoliche e di chiodi di garofano.  

Oh che investitura! Ma che bello. E che onore. Che responsabilità. Che eccetera eccetera! Tra il bere, i profumi, gli ordini e la nuova fantastica avventura creativa, Richy si sente eccitata e frenetica, in cerca di carta e penna ove scrivere di getto… cosa? L’ispirazione, si sa, nasce dove l’occhio cade e l’occhio cade, si sa, mosso dal desiderio e il desiderio di Richy, si sa, è concentrato sulle splendide tavole: Giornata mondiale dello snowboard! Fantastico, ecco l’abbrivio! Si volta verso il computer e un pensiero urgente l’assale: Giornata mondiale del backup! Un sospiro di sollievo, come se ideandola si fosse materializzato l’evento. Magico. Chissà se funziona anche con le lingue straniere: Dia internacional del Tango! Ah, che ispirazione seducente, tanto seducente, troppo: Giornata mondiale delle zone umide, e Giornata mondiale dell’orgasmo! Doppietta!  

L’aver pensato alla Giornata mondiale dell’orgasmo le fa tornare alla mente quelli avuti prima di lasciarsi col suo fidanzato, e dal ricordo di tanti momenti felici pensa alla Giornata mondiale dell’uccello migratore. Ma lo spremersi le meningi manda in crisi Richy, anche perché riempire 15 tavole non è uno scherzo. Con lo sguardo della disperazione, alza per un attimo la faccia e vede il frigo. Una certa fame inizia a prenderla sentendo brontolare lo stomaco come se fosse un temporale. Ricordandosi che ha ancora della pizza avanzata dalla sera prima, le viene il colpo di genio: Giornata internazionale della pizza italiana, che insieme a quella delle torte ci sta proprio bene.
“Cavoli, perché non ci ho pensato prima?” e scrive e mangia.
“Che vada al diavolo la dieta!” esclama con tono solenne. Nel mentre che mette il tutto nero su bianco, l’occhio le cade su una rivista che stava guardando con la pagina aperta sull’evoluzione dell’uomo, e quale occasione migliore di questa nel comporre una lista che verrà ricordata dall’umanità intera?
“Chissà cosa avrebbe pensato Darwin di questa nostra evoluzione… Ci sono! Facciamo il Darwin Day così per ricordarmi di tutto questo.” In realtà pensa anche ad altri tipi di evoluzioni ma meglio non scriverle. Gli occhi a questo punto cominciano a diventare sempre più pesanti fino a quando non si addormenta sul tavolo. Nasce così al suo risveglio la Giornata mondiale del sonno.  

“Antò.”
“…”
“Antòòòò! Ho fatto.”
“Sto giocando a frisbee. L’hai inserita la Giornata mondiale del frisbee?”
“No.”
“Non importa, mi piace che resti uno sport di nicchia. Dimmi dunque.”
“Ho finito.”
“Vediamo, sì, buon lavoro, ma manca ancora una giornata fondamentale. Vai ai Bagni di Trevi e…”
“La Fontana di Trevi.”
“Non è la stessa cosa con quel bel piscinozzo?”
“No.”
“Allora ti ordino di immergerti, fare due bracciate, pescare qualche monetina e avrai l’ispirazione ultima e fondamentale. Corri!”
“Adesso?”
“Adesso!”  

Richy obbedisce anche se con molte perplessità. E se non avesse trovato le monetine? E se i vigili l’avessero trovata nuotando e fatto un mazzo tanto? E se i trentatrè trentini non entrano a Trento? Una volta arrivata a destinazione, si immerge furtiva nella fontana alla ricerca delle Monetine della Sacra Ispirazione Ultima (MSIU). Nuotando con la stessa grazia e agilità dei pesci migratori che vanno incontro al proprio destino, Richy tenta di compiere il suo ultimo incarico con le sacre monetine, e avendone trovate solo qualche migliaio, i dubbi aumentarono ancora di più. In compenso, però, pensava a come spenderle. Dopo aver raggiunto per un attimo la pace interiore immaginando l’armadio pieno come un outlet, un cartello la riporta alla dura realtà: le monetine se le deve scordare.
“Aaaaaaa mannaggia i pescetti!” esclama con un certo disappunto. Piena di tristezza per aver fallito la missione che le era stata affidata, sta per scavalcare il muretto della fontana quando all’improvviso vede una monetina più scintillante delle altre. In quel preciso momento è come folgorata sulla Piazza di Trevi ed è lì, finalmente, che trova la sua ultima e definitiva ispirazione per la giornata mondiale mancante all’appello: quella della carbonara.


Musalogia!

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Dei

@didiluce ha scattato attimi che trovo di un’infinita serena intimità. La ringrazio per avermeli concessi. Ringrazio anche il Muso per il rischio preso!
Ho provato ad aggiungere il testo.

Buona visione e buona lettura!


Dei

Ti ricordi quando il mondo tra le mani era perfetto? Ancora piccolo, ma grandioso e alla nostra portata. Sfera che rifletteva sogni, vi si nutriva, e noi pure. Beati, lì, rapiti, a giocare agli Dei.

Fotografia di @didiluce photo blog

Poi abbiamo alzato lo sguardo, ricordi? Attirati finalmente dall’intorno. La natura ci ha soffocati di bellezza e il mondo si è schiacciato ai poli.

Fotografia di @didiluce photo blog

E poi noi. Sai. Ci siamo visti strani, per la prima volta. Senza capire abbiamo mescolato tutto, anche i nostri profili. E non c’è stata gioia più grande. E il mondo ha inclinato l’asse.

Fotografia di @didiluce photo blog

Ti ricordi poi come andò? Mi senti? Ricordi come andò poi?


MUSALOGIA?

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E del mare?

Ho preso in prestito alcune fotografie di Ivanchiafotolab e ho aggiunto un testo.

Buona visione!


Autore delle fotografie: Ivanchiafotolab (dall’articolo Fotografia subacquea arte di illuminare colori sommersi.)

Autrice testo: endorsum

Fotografia subacquea arte di illuminare colori sommersi . — Ivanchiafotolab

– Hai visto lì?
– Una sfera in mano.
– Bellissima, è una sfera magica!
– Ma no, non è magica.
– È magica di sicuro, levita!
– Sì, forse hai ragione, qualcosa di magico ce l’ha.
– Te l’ho detto!
– Ma c’è anche un indizio scientifico, quella lente di ingrandimento indica l’analisi, il bisogno di capire.
– Indica miopia!
– Ma come? Distruggi così la mia interpretazione?
– Sei troppo materiale.
– Tu lo sei stato con la storia della miopia!.
– Scherzavo, ti prendevo in giro.
– E se ti dico che ci sono due murene in amore?
– Romanticismo, è chiaro!
– Romanticismo eh?
– Molto, moltissimo romanticismo.
– Potrebbe essere perfino un complimento.
– In compenso c’è un pesce Mago.
– Non credo proprio.
– Io quei colori li spiego solo con una volontà fantasiosa di darsi un tono.
– Sì, un tono sopra le righe: un pagliaccio.
– Ecco, dal romanticismo al dileggio, deciditi.
– E quello nascosto?
– Dirai che è timido.
– Lo dico sì. È timido.
– E io dico che aspetta solo di sferrare il suo attacco migliore!
– Non mi piace come sta andando, facciamo piazza pulita di tutto?
– Non ci penso proprio, alle mie opinioni ci tengo.
– E ho anche insistito per portarti qui oggi!
– Avrai voluto il mio parere.
– Magari la tua compagnia.
– Sì, può anche essere… come due farfalle allora?
– Sembrano proprio due farfalle.
– Siamo finalmente d’accordo.
– Sono stupende, non credi?
– Come noi?
– Noi un po’ meno.
– Non ti lasci mai prendere, come quella stella marina, anzi, lei si è lasciata prendere.
– Non gradirà la presa di sicuro.
– Sei così… così! Sei come quell’essere dagli occhi blu!
– E tu il solito merluzzo!
– Non so se è un merluzzo.
– Nemmeno io.
– Però felice che tu abbia insistito per portarmi.
– Lo sono anch’io.
– Pesce per cena?
– Facciamo gallinacei.

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Rossa

Immagine da qui

Mesi, ti eri detto. Quanti mesi. Prima di.
E quel giorno era giunto docile, senza forzare la presa, semplicemente aspettando.
Poi avevi dovuto rivolgere una richiesta, diretta, decisa, ma senza enfasi e il gioco si era messo in moto: i tempi maturi, la situazione giusta e l’avevi lasciata venire. Sì. Fin sotto il tuo sguardo.

Ah, quanta bellezza! Vestita solo di coriacea resistenza, ancora, anche così, impudente e nuda.

La tua saliva bloccata intorno alla lingua. La curiosità sfrenata. Le mani immobili e timorose d’errori. Lo sguardo affamato, di una visione esplicita, per te, tutta per te.

Pronto, in fondo pronto ad averla, a toccarla. Pronto a scoprirne il sapore segreto. La sola idea a farti aprire le labbra, e a leccarle, di punta, con il brivido del bagnato accarezzato dall’aria. I denti a morsa, imprigionando il labbro inferiore, per trattenere un pensiero proibito.

Lei lì, come mai prima. Distesa, sicura in offerta. Quasi violenta su quel bianco e in attesa di un gesto, di un’intenzione.

E tu ancora assente, presente, consapevole d’essere senza quella speciale perizia per addentrarti. In lei. Intimamente.

Il coraggio forse, o l’audacia. Magari.

Facesti l’unica cosa sbagliata e l’aggredisti, incapace d’altro.
Al tocco della lama lei schizzò via. Dal piatto. Rossa di vergogna, per te.

– Le porto un’altra arogosta?

– No, non la merito.


Dua Lipa – We’re Good
I’m on an island
Even when you’re close
Can’t take the silence
I’d rather be alone
I think it’s pretty plain and simple
We gave it all we could
It’s time I wave goodbye from the window
Let’s end this like we should and say we’re good
We’re not meant to be like sleeping and cocaine
So let’s at least agree to go our separate ways
Not gonna judge you when you’re with somebody else
As long as you swear you won’t be pissed when I do it myself
Let’s end it like we should and say we’re good
No need to hide it
Go get what you want
This won’t be a burden if we both don’t hold a grudge
I think it’s pretty plain and simple
We gave it all we could
It’s time I wave goodbye from the window
Let’s end this like we should and say we’re good
We’re not meant to be like sleeping and cocaine
So let’s at least agree to go our separate ways
Not gonna judge you when you’re with somebody else
As long as you swear you won’t be pissed when I do it myself
Let’s end it like we should and say we’re good
Now you’re holding this against me
Like I knew you would
I’m trying my best to make this easy
So don’t give me that look, just say we’re good
We’re not meant to be like sleeping and cocaine
So let’s at least agree to go our separate ways
Not gonna judge you when you’re with somebody else
As long as you swear you won’t be pissed when I do it myself
Let’s end it like we should and say we’re good

Sono su un’isola
Anche quando sei vicino
Non sopporto il silenzio
Preferisco essere solo
Penso che sia abbastanza chiaro e semplice
Abbiamo dato tutto quello che potevamo
È il momento di salutare dalla finestra
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Non siamo fatti per essere come il sonno e la cocaina
Quindi almeno accettiamo di andare per la nostra strada
Non ti giudicherò quando sarai con qualcun altro
Finché giuri che non ti incazzerai quando lo farò io
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Non c’è bisogno di nasconderlo
Vai a prendere quello che vuoi
Questo non sarà un peso se entrambi non serbiamo rancore
Penso che sia abbastanza chiaro e semplice
Abbiamo dato tutto quello che potevamo
È il momento di salutare dalla finestra
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Non siamo fatti per essere come il sonno e la cocaina
Quindi almeno accettiamo di andare per la nostra strada
Non ti giudicherò quando sarai con qualcun altro
Finché giuri che non ti incazzerai quando lo farò io
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Ora me lo stai rinfacciando
Come sapevo che avresti fatto
Sto facendo del mio meglio per renderlo facile
Quindi non guardarmi così, dì solo che siamo a posto
Non siamo fatti per essere come il sonno e la cocaina
Quindi almeno accettiamo di andare per la nostra strada
Non ti giudicherò quando sarai con qualcun altro
Finché giuri che non ti incazzerai quando lo farò io
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Tradotto con http://www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)

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Ostinatamente accanto – Stubbornly alongside

Il testo è stato ispirato da una fotografia di Yolanda. Grazie per avermi permesso di portarla qui sulle pagine beige!
(Il testo è tradotto in inglese con deepl.com)

The text was inspired by a photograph of Yolanda. Thank you for allowing me to bring it here on the beige pages!
(The text is translated into English with deepl.com)

Immagine di Yolanda – Image made by Yolanda

Ostinatamente accanto.

E così sei tu il secondo, il lindo, quello chiaro. Il gemello buono che la notte dorme. Il fratello senza buchi nei calzini. L’amico sorridente e con la ragazza giusta, la principessa del quartiere.

Sempre tu. Fedelmente vicino. Ostinatamente accanto, sempre impegnato in giuste cose, e quanti altri smaglianti aggettivi potrei trovare per le tue cose.

Non ti avevo mai visto di fronte, ho sempre e solo avuto la vicinanza del costone rugoso. Consola che l’uso logori anche te. Non abbastanza, mai abbastanza, un bel confronto non c’è che dire.

Potrei morire appassito per questo confronto, ma so, io so: tu sei lo specchio che non riflette.


English version

Stubbornly alongside.

So you’re the second one, the clean one, the clear one. The good twin who sleeps at night. The brother with no holes in his socks, The smiling friend with the right girl, The neighbourhood princess.

Always you. Faithfully close. Stubbornly near, always engaged in the right things, and how many other bright adjectives could I find for your things.

I had never seen you in front of me, I only had the proximity of the wrinkled edge. it’s comforting that use wears you down too. Not enough, never enough, a good comparison no doubt.

I could die withered by this comparison, but I know, I know: you are the mirror that does not reflect.
(in Italian the verb reflect also has the meaning of think.)

Speglar, arbetsplats — Yolanda – “Det här är mitt privata krig”
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Ava

Ava Gardner – immagine presa da Nonsolocinema

Questo raccontino mi è stato ispirato da due articoli:
Ava Gardner, esuberante e indomabile di Raffa;
Mogambo (1953) di Raffa (l’altro suo blog).

I processi propri dell’ispirazione sono un mistero, sì, ne convengo.

Buona lettura.


Ava

Giandomenico è Ava.
Da 35 anni.

L’occhio verde, l’arco sopracciliare, la fossetta al mento. Il naso no, è diverso.

Per lui è normale aver collezionato 35 anni di onorato lavoro notturno in un locale dedicato al travestitismo, come si diceva una volta.

Giandomenico è Ava di notte e un serio professionista di giorno, anche questo per lui è normale. Adesso è normale quasi per tutti, lo sdoganamento ha fatto molto. Troppo. Negli ultimi vent’anni la clientela è aumentata proprio per la sua notorietà in quanto Ava. Ne è stato lieto durante i primi anni.

«Ava, dove hai detto che ti sei fatta la ceretta l’ultima volta?»
«Non l’ho detto.»
«Che strano, ma da chi sei andata?»
«Da un’estetista qualsiasi. Devi firmare questo.»
«Ah, sì, scusa, ma un’estetista qualsiasi, che risposta è? Non è da te!»
«Domani portami tutte le fatture.»
«Ah, certo, ma per la pelle del viso, dico, per la pelle hai fatto qualcosa?»
«Mi rado con un rasoio a mano libera.»
«Ma dai! Fantastico!»
«Insegnamento paterno.»
«Stupendo!»
«Sì. Ciao, adesso ho un altro cliente.»
«Io non sono capace.»
«Succede. Ciao.»
«Questo gusto antico per le tradizioni, il passaggio generazionale di un gesto…»
«Infatti. A domani.»
«È un rimasuglio di mascolinità così pittoresco!»
«Pittoresco un par di palle! È UNA COSA PER UOMINI VERI!»
Lo urla esasperato con voce da baritono. Ecco, questo per Giandomenico non è normale.
Il cliente si zittisce, strabuzza gli occhi, le mani sulla bocca aperta in stupore, un flap-flap di ciglia e, con voce soprana, ribatte eccitato.
«Mi insegni?!»


(È il mio 500° articolo! cin-cin!)

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Le età dell’innocenza 9

– Hai lasciato gli occhiali nel lavabo…
– Impossibile!
– Ti dico di sì.
– Li hai spostati tu per farmi sembrare rincoglionito.
– No.
– Sì!
– No ti dico, non c’è nessun bisogno che ti aiuti in questo.
– Puttana!
– Abbiamo passato da tempo quella fase.
– Zoccola!
– Anche quella.
– Bel mignottone porco.
– Ah, quella poi.
– Sceriffa!
– Durata poco.
– Moglie!
– Ma mi prendi in giro?
– Suocera!
– Ok, ti sei rincoglionito.
– No!!!
– Ma sentiti!
– Mh, non hai torto.
– E quindi?
– Badante!
– Badante no! Facciamo che li ho spostati io?

“La Badante” – Fifty Six

Le età dell’innocenza 1 – 2 – 3 – 45 – 6 – 7 – 8


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Romanzo breve in cerca di immagini – Incipit

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Il sonno rigenera.

«Sono stanca, voglio dormire.» Disse assecondando le palpebre.
E il lenzuolo l’avvolse morbido.
«150 anni.» Finì di dire.
E il piumino la coprì fino alle labbra.
Le porte si sbarrarono, così le finestre; la temperatura variò. Un profumo di lavanda irruppe nell’aria e il mondo si chiuse fuori.

La dimora sprofondò nella terra.
Il tetto divenne un parcheggio, di quelli belli, verniciati di fresco, pieno di vita diurna, di incontri notturni, ricco di rollii, chiacchiere e del prezioso disinteresse al luogo.

Quando un’amministrazione locale decise di sostituirlo con un parcheggio sotterraneo, arrivarono dei sacralizzatori di terreno, che lo sacralizzarono. Al posto del parcheggio fu edificata una piccola struttura lignea sotto la quale iniziarono a essere dispensati buoni auspici di varia natura, per modiche cifre.

La struttura presto si trasformò in uno stabile in muratura e al cambio di religione potè sfoggiare un’enorme insegna luminosa gialla visibile da diversi chilometri di distanza.
Il culto fu florido e lo stabile conobbe una ricca vita diurna, incontri notturni, scalpiccii, chiacchiere e un prezioso interesse al luogo.

Quando giunse l’abolizione dei culti, lo stabile fu raso al suolo. Al suo posto comparve un cerchio di terra battuta adibito all’insegnamento dell’equitazione.
Non durò a lungo, la nuova tipologia di governo dimostrò in poco cupidigia e sul cerchio fu costruito un palazzetto cilindrico.

Quanti rumori concilianti il sonno da quella meraviglia architettonica!
Ma fu troppo sensibile all’usura. Esplosioni programmate le fecero vibrare le palpebre. Cambiò il fianco d’appoggio e continuò a dormire.

In sostituzione del palazzetto cilindrico fu innalzata una grande scultura moderna; metalli con memoria cambiavano continuamente lo schema compositivo, per la gioia di tutti. Terminati gli anni dell’abbuffata tecnologica, alla scultura furono assegnati schemi naturalistici e, tra una figura d’aria e una floreale, lei aprì gli occhi.
Il tempo era infine passato.

La dimora emerse.
Nel trambusto, i metalli confusi cercarono strutture nella terra mossa e poi nei muri. Non potendo più eseguire gli schemi si raccolsero intorno alle parti metalliche della casa e scoprirono, con sorpresa, di potersi aggregare in nuovi schemi-non schemi già attivi. Cambiamento.

Quando lei alzò il busto seduta sul letto, notò gli insoliti spessori per casa e anche qualche libera iniziativa, come le ciabattine in lega leggerissima e un paio di orecchini filiformi appoggiati sul piumino. Sorrise. Sbadigliò e salutò il giorno.

CONTINUA…

Per chi vuole provare la lettura con un accompagnamento musicale, questa è la mia proposta.

Nature and Organisation – Skeletontonguedworld
And as she sleeps around her bed
The blinding deadbled world spins
Black sightless firepierced black universe
Empty the fire as she sleeps
The sleepy skeletontongued world
Massed blast of storms and sand rolls
Oh lovely world – come alive for me
The longtongued god is not real
He drags the chain clasped in his wickerfingered hands
This brother is paperthin – form but no substance
Neverlived so he is not dead
This is man’s fear made trash…
…And as you light the incense stick
I pray that your fingers may burn

E mentre lei dorme intorno al suo letto
Il mondo accecante e stordito gira
Universo nero senza vista e pietrificato dal fuoco
Vuoto il fuoco mentre lei dorme
Il sonnolento mondo dalla lingua di scheletro
Un’esplosione massiccia di tempeste e rotoli di sabbia
Oh, bel mondo, prendi vita per me
Il dio dalla lingua lunga non è reale
Trascina la catena stretta nelle sue mani di vimini
Questo fratello è di carta sottile – forma ma non sostanza
Non ha mai vissuto quindi non è morto
Questa è la paura dell’uomo resa spazzatura…
…E mentre accendi il bastoncino d’incenso
Prego che le tue dita possano bruciare
Tradotto con http://www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)
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Il guscio d’ostrica

immagine da Wikipedia

Dopo l’ultimo articolo di ilnoire, mi è stato impossibile astenermi. Di seguito il guanto di sfida.

“L’anello di congiunzione tra passato e presente… il rimasuglio di quella stirpe che erano i dinosauri, uccelli che tutt’ora sono le creature (dopo i micro organismi e le zanzare) più resistenti e forti della Terra. Un paio di (innocui) uccelli di scogliera scacciano un orso affamato a colpi di becco… becco con cui spaccano il guscio delle ostriche. Ed ecco il là per un nuovo racconto (potresti scriverlo tu!).”

È così che ilnoire mi ha buttato una provocazione creativa. La raccolgo. (E qui la sua ripubblicazione! Grazie 🙂 )

Buona lettura!


Che quel becco abbia scacciato un orso, è ormai storia (ne porta ancora i segni).
Che quello stesso becco abbia aperto l’ostrica, invece, è storia in divenire.

Stremato dopo il lungo viaggio, la vista di cibo pronto su una barca a vela bialbero è un dono, il dono di benvenuto in questo luogo caldo.

E il dono è raccolto in un canestro metallico di facile accesso, quindi lo si ghermisce, lo si porta in alto e dall’alto lo si lascia cadere su una pietra: che s’apra. E poi ancora a picco, sulle valve esposte, a mangiarne.

Così, da resto, il guscio vuoto ha ora la sua storia, rotolando a riva, trovando alla fine un assetto non banale, incastrandosi tra cocci levigati e sassi appena baciati dall’acqua dolce.

«Serrate i ranghi! Serrate i ranghi!» Esclama l’uomo con gli auricolari e fermo sulla battigia.
L’ordine è indiscutibile ed è l’unico sensato per evitare il declino.
Dall’altro capo della conversazione si odono rumori di una serrata confusa; disordine; mezze frasi.
L’incombenza del declino agita l’uomo e gli provoca un reflusso esofageo, ma si piega, raccoglie la conchiglia vuota per ricevere conforto dal toccarne l’interno liscio. Sembra funzionare.

Raddrizza la schiena. Parte un altro ordine.
«Che non si dica! Che non si nomini la sconfitta
Invece eccola che si autoavvera: la perdita.
Ma non della partita, che chissà se di quella importa ancora. Ma di lei.

«Lei lei. Mia bella lei. Dove sei? Chi si avvicina alle tue labbra? Chi si riscalda il cuore?» Si domanda a voce bassa l’uomo. (Come se non lo sapesse, con tutti i pedoni perduti in piccoli passi. Ce n’è una lista: quello bellicapelli, quello senzacapelli, quello dallo sguardo sprezzante, quello dallo sguardo intenso…)
«Lei lei. Mia bella lei. Cosa fai? Cosa farai? Smetterai di giocare alla cazzo?» Si domanda con voce isterica l’uomo. (Giocatrice non certo scaltra, no, ha solo quel maledetto intuito e quei maledetti pedoni a regina, in una moltiplicazione infinita di mosse a spruzzo. A spruzzo, porcaputtana! Come si fa a giocare in modo così arrangiato e far cadere uno a uno i pezzi migliori?)

«Le sono rimasto sotto io!» Grida una torre.
«Ce l’ho! Ce l’ho!» Gli risponde il cavallo impagliato.
Silenti gli alfieri, suicidati quando troppo vicini.

«Che manica d’imbecilli! … Regiiiina!» E con moto di stizza lancia in acqua la conchiglia vuota.

La Regina non ama occuparsi del lavoro sporco, soprattutto se per garantire il successo al Re (eh no!) e la malavoglia la prende in un modo così indolente e sfacciato da provocarle l’arresto, a un passo da lei.

«No, no, noooooooo! Perché devo occuparmi di tutto io? Sempre! Pezzi di scacchiera malandati! Pezzi di scacchiera usata! Pezzi di sc-ACCO!» Urla l’uomo.

Una speranza! Finalmente una mossa buona! Ci voleva ingegno-astuzia-conoscenza da giocatore esperto e così non perderà, in ordine: la faccia, la speranza, lei.

Peccato, l’ordine dei 3 elementi è errato.

La conchiglia ritorna al piede, spinta dalla scia di un motoscafo. Lì, da vuoto, gli lambisce un vuoto.
Poi rotola in risacca.
(Ma questa è un’altra storia.)


IL BLOG CHIUDE PER FERIE.
SI RIAPRE A SETTEMBRE.
BUONE VACANZE A TUTTI!

(Io le trascorrerò con la mia piccola cabrio, non ancora verniciata.)

Вера Брежнева – Я не святая
Ты понимаешь, тут такое дело –
В двух словах не скажешь то, что накипелось давно.
Ты понимаешь, я сказать хотела –
Был то плюс, то минус, а теперь вдруг стало равно.
[Переход]: Не потому, что мне так кажется;
Не потому, что всё надоело мне –
А потому что не хочу каяться
И разбираться, кто виноват.
Я не могу в пол силы любить тебя
И потому мне снова покоя нет.
И потому, когда душа мается –
Я повторяю эти слова:
[Припев]: Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
[Куплет 2, Вера Брежнева]: Ты понимаешь, тут такое дело –
Просто утомилась, то взлетать, то падать на дно.
Ты понимаешь, я сказать хотела:
Был то плюс, то минус – а теперь вдруг стало равно.
[Переход]: Не потому, что мне так кажется;
Не потому, что всё надоело мне –
А потому что не хочу каяться
И разбираться, кто виноват.
Я не могу в пол силы любить тебя
И потому мне снова покоя нет.
И потому, когда душа мается –
Я повторяю эти слова:
[Припев]: Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
[Инструментал]
[Припев]: Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.

Vera Brezhneva – Non sono una santa
Vedi, il fatto è questo.
Non puoi dire in due parole quello che si è accumulato per così tanto tempo
Sai, stavo per dire.
C’era un più o un meno, e ora è tutto uguale.
[Transizione]: Non perché ne ho voglia;
Non è perché ne ho avuto abbastanza.
È perché non voglio pentirmi
E non voglio sapere di chi è la colpa.
Non posso amarti la metà di quanto dovrei
Ecco perché non posso riposare di nuovo.
Ed è per questo che quando la mia anima soffre
Ripeto queste parole:
[Coro]:
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non corrispondiamo.
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se ti tengo nelle mie mani.
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non siamo uguali
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se è nelle tue mani
[distico 2]:
Sai, il fatto è questo –
Sono solo stanco, ora vado su e ora vado giù.
Sai, volevo dire:
C’era un più, poi un meno – E ora è improvvisamente uguale.
[Transizione]:
Non perché ne ho voglia;
Non è perché sono annoiato
È perché non voglio pentirmi
E non voglio sapere di chi è la colpa.
Non posso amarti la metà di quanto dovrei
Ecco perché non posso riposare di nuovo.
Ed è per questo che quando la mia anima soffre
Ripeto queste parole:
[Coro]:
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non corrispondiamo.
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se ti tengo nelle mie mani.
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non siamo uguali
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se è nelle tue mani.
[Strumentale]
[Coro]:
Non sono una santa e conosco i miei peccati con certezza,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non corrispondiamo.
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se è nelle tue mani
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Dove credi di andare?

immagine presa da qui, ma elaborata da me

Dove credi di andare?

Domanda idiota. Non vedi? Sto per uscire dal portone, con tutte e due le borse colme e la voglia di essere altrove, via, lontano da quella voce allarmata. La macchina mi aspetta, c’è un uomo alla guida (un bell’uomo) e il fragore del traffico tra poco mi avrà a riempirlo. Inutile la presa del polso, il trattenermi impulsivo. Strattono. Sono già con un piede fuori e la luce del giorno colora la scarpa di amaranto acceso. Inutile togliermi la borsa dalle dita e appoggiarla a terra, sono davvero decisa e la riprendo con tutto ciò che contiene, non uno spillo di meno. Anche l’altra scarpa si è tinta alla luce e la mia schiena non è un messaggio sufficiente per capire di che natura siano le intenzioni? Infantile cercar di trattenere le spalle. Le scuoto a liberarmi di mani e pensieri e la portiera si apre e un braccio mi cinge la vita e il mio è un urletto d’esasperazione perché prima o poi si deve mollare, perché una donna che ti lascia indietro ha un motivo e il motivo è la macchina che si accende, la portiera aperta, l’uomo che sorride e… graffio. Sì, graffio la pelle scoperta e l’esclamazione sorpresa e dolente accompagna la mia libertà. Sii coraggioso, non ululare di un graffio, non sprecare parole indecenti e lasciami i capelli, cazzo! Mi volto, ci guardiamo. Lui è affranto, vedermi gli occhi gli crea un dolore e lascia. I capelli. La donna. La mattina di sole.
Salgo in macchina.

«40 foulard d’Hermes. Parti!»
«Bel colpo.»


Un contributo che ci sta a pennello (grazie Tony Pastel!)

The Smiths – Shoplifters Of The World Unite (Official Music Video)
Learn to love me /Assemble the ways /Now, today, tomorrow and always /My only weakness is a list of crime /My only weakness is… well, never mind, never mind
Oh, shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world
Hand it over – Hand it over – Hand it over
Learn to love me /And assemble the ways /Now, today, tomorrow, and always /My only weakness is a listed crime /But last night the plans of a future war /Was all I saw on Channel Four /Shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world
Hand it over – Hand it over – Hand it over
A heartless hand on my shoulder /A push – and it’s over /Alabaster crashes down
(Six months is a long time) /Tried living in the real world /Instead of a shell /But before I began… /I was bored before I even began / Shoplifters of the world /Unite and take over
Shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world /Take over.
“I taccheggiatori del mondo si uniscono”
Impara ad amarmi /Riunisci i modi /Ora, oggi, domani e sempre /La mia unica debolezza è una lista di crimini /La mia unica debolezza è… beh, non importa, non importa /Oh, taccheggiatori del mondo /Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Consegnatela -Passamela -Passamela
Impara ad amarmi /E riunisci i modi /Ora, oggi, domani e sempre /La mia unica debolezza è un crimine elencato /Ma ieri sera i piani di una guerra futura /Era tutto ciò che ho visto su Channel Four /I taccheggiatori del mondo /Unitevi e prendete il controllo
Taccheggiatori di tutto il mondo /Consegnatela – Consegnalo – Passamela
Una mano senza cuore sulla mia spalla /Una spinta – ed è finita /L’alabastro crolla /(Sei mesi è un tempo lungo) /Ho provato a vivere nel mondo reale /Invece di un guscio
Ma prima di iniziare… /Mi annoiavo prima ancora di iniziare /Taccheggiatori del mondo
Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Prendere il controllo.
Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)

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Cosa ho scritto un anno fa? Il racconto “Ping pong”.

PING PONG è un racconto un po’ furetto. Ovviamente ci sono palline, punti, giocatori e un prima, un dopo. Vado a giocare la mia partita (non esattamente quella qui descritta). Vediamo chi la vince.

A martedì!


Mulitplayer (immagine da qui)

«NiiiiHAaaaaa!»

Esce dalle labbra a mo’ d’acuto spasmo e rientra in risucchio verso la macina sciocca dei denti. Il collo issa un capo pesante d’ingombri e gli occhi si aprono piano in controllo. Nessuno.

«Alvì-na!»

Dall’ombra si palesa la donna; premura e azione animano un corpo stanco.

«Signora?»

«Le ciabatte.» la e è ancora nell’aria quando il collo cede all’estrema fatica, e molla: planf!

«State bene Signora?»

«Ma sì… ho sete.»

«Quella sete, Signora?»

«Mh.»

Alvina raccoglie l’abito a teli di georgette arancione ed esce dalla camera senza produrre un rumore.

«Ah…» suono troppo evanescente: si riprova «Aaaah»; non basta «AAAAAAAH!!!» bene, ora si ode. Una mano esce furetta allo scoperto, saggia il mento, la mobilità del naso e spiana la fronte di palmo. La gemella la raggiunge e coordinate massaggiano piano le tempie.

«Porca vacca che ciucca!»

Che ciucca? La bocca si apre, i ricordi li organizza così. Dunque: cena da Gianna (discreta); spostamento al cinema per caricare Patrizio (non guida); rientro da lei con Gianna e Patrizio per la partita di ping pong (settimanale). Punto.

Chi ha vinto? Lei, Gianna, Patrizio. Ok. Arriva Lenny (Lenny…). Il gioco non s’interrompe (e perché mai). Lenny arriccia il naso e in sala accende l’impianto hi fi (si distrae). Il gioco non s’interrompe. Lui si impegna preparando dei cocktails (come in uso). Il gioco non s’interrompe. Lenny vede bene di cadere portando da bere (porcazzozza!). Ha il punto.

Il punto a Lenny l’ha dato Onorina al pronto soccorso che, sul finir del turno, si è proposta per il 4° in coppia. Rientro. Lenny, dopo il punto, ha visto bene di non vincere altro e si è accasciato in poltrona col braccio pendulo.

«Lenny! La pallina è finita da te!» lui guarda la piccola e insignificante rompicazzo, abbandona la poltrona per andarle incontro e, con suola decisa, la schiaccia: crack! Al suono si affacciano i quattro con diverse modulazioni d’insulto. Punto a Lenny.

Gliel’ha dato Onorina, dopo che Gianna ha tirato furiosa la clutch gioiello, prendendogli il naso.

E dopo?

Dopo, il nostro imbastisce una lunga lamentela quasi esiziale, con accuse d’insipienza agli amici. Passaggio di mano in mano di un colmo bicchiere di whisky scozzese. Approdato alla salda stretta del tumefatto, la richiesta è, a lingua scoccata al palato, di aver compagnia. Gianna lo punzecchia, Onorina gli controlla il cucito, Patrizio si serve un cognac.

E poi? Non ricorda. Punto.

Si alza dal letto, nuda. Le duole una natica, palpeggia. Si sposta allo specchio a parete e si torce. Segno di denti.

«Merda!»

Doccia, intimo e un sospetto. Apre piano la porta e osserva la scena: sull’enorme divano firmato un intreccio carnoso a quattro corpi sogna, boccheggia, russa. Sorride, si veste in silenzio e piano esce, sorpassa i sopravvissuti agli amplessi e raggiunge la cucina. Alvina le serve il dovuto, le mostra una busta e le consegna il telefonino.

«Hanno chiamato cinque volte, Signora.»

«Grazie.»

Mangia con infinita lentezza e sul finire fuma la sigaretta mattutina. Qualche boccata e la spegne. Ricorda. Sorride. Adesso ha fatto il punto.

«Pensa tu ai ragazzi. Questa notte non torno. Resto in convento con le consorelle.»

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EX – Individuazione (11)

(immagine da qui)

dialogo precedente


– Ciao, ti trovo splendidamente!
– Anche tu Mister!
– Ci beviamo qualcosa?
– Volentieri.
– Sai, ti ho pensata di recente.
– Strano.
– Sì, lo so. Lo è.
– Ma sei ancora un collezionista?
– Sempre.
– Già, “Alla natura non si comanda” dicevi.
– Qualche volta dispiace.
– Ma non direi, troppo impegnato nella ricerca di quella successiva, no?
– Sì, ah ah ah, è così in effetti.
– Quindi non capisco.
– È che tu sei…
– Sono?
– Tu sei… così schietta.
– No, ho sempre usato guanti di velluto con te. Sarà stata un’altra.
– Ah. Ok. Allora: tu sei sempre stata così… comprensiva.
– Ti ho lasciato una cicatrice (a forza di reprimere, eh!).
– Ah. Sì, ma quale cicatrice?
– Quella lì, tra indice e medio.
– Giusto. È che tu sei stata talmente difficile da soddisfare…
– No, guarda, quello non è mai stato un problema tra noi.
– Mh. Sei intrattabile.
– Neanche.
– Sadica.
– Riprova.
– Impegnata.
– Ce la puoi fare.
– Snodata.
– L’ho conosciuta la tua snodata.
– Ecco, bene, cioè male, ma sì, bene dai.
– E quindi?
– Tu sei così…
– Cosa ci fai qui Mister?
– Non ricordo cosa sei stata, mi manca il tassello.
– Quando sono troppe sono troppe, o la stronzaggine, o l’età: scegli.

(da qui)
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Il ladro di acqua pazza

(immagine da qui)

Mezzelune al bruzzo;

razza all’acqua pazza;

pizza con cozze;

mozzarella in carrozza.

Di contorno abbiamo le verdure in tazza (cotte o crude).

Questo è quanto.

No, niente pastasciutta. Il menù è deciso dal cuoco giorno per giorno: “procedo per suggestioni”, dice. Ieri sera, prima di andare a dormire, gli sono piaciute le doppie in zeta. Ogni suo desiderio è un ordine. No, non ciò che desidera Lei, ciò che desidera lui.

Sì, qui funziona così. Cosa vuole che le dica, ogni giorno ha un capriccio nuovo e qualcuno ci ha fatto passare dei guai, guai seri, intendo. Io annoto sempre, abituato a prendere le comande, annoto tutto, su questo blocchetto, vede?

No, non posso sedermi al tavolo, sono in servizio.

Ah, è interessato a ciò che ho scritto, sì, e cosa ordina nel frattempo? Razza all’acqua pazza e tazza di zucchine. Da bere? Davvero vuole gazzosa? 1 bicchiere di gaz-zo-sa. Sì, mi dica.

Guardi, secondo il mio modesto parere dovrebbe chiedere prima al cuoco, è roba sua, io sono solo un testimone. Ma, mi scusi, Lei di cosa si occupa? Ah, scrittore.

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EX – I conti tornano (10)

(immagine da qui)

Dialogo precedente


– Eccola!
– Eccolo!
– Mi sei mancata.
– Tu per niente.
– Ah ah ah! Caustica!
– Ogni tanto.
– Ma proprio con me? Che ti ho fatto di male?
– Ho l’elenco.
– Qui?
– Certo!
– Anch’io!
– Davvero?
– Sicuro!
– Ok, quanti punti hai segnato?
– 10, come al solito. Tu?
– 95.
– Minchia! Ma davvero?
– Guarda! Non scherzo.
– Ma, no, dai, non è possibile, sono troppi.
– L’idea è stata tua, vorrei ricordare.
– Sì, mi picciono queste cose, le liste, sono un fanatico delle liste.
– Lo so bene, è il punto numero 29!
– Ma dai, cosa ti hanno mai fatto le mie liste, a parte, lo ammetto, buttarti addosso un po’ di ansia?
– Un po’ di ansia? Ti fossi limitato a compilarle per te non sarebbero state un problema.
– Ma sì, lo sai, mi piace programmare, avere tutti sotto controllo.
– Sì, è il punto 7.
– Hai proprio messo tutto?
– Basta preliminari: scambiamocele.
– Noooooo! Non la voglio leggere!
– C’è! È la numero 12!


Vignetta di Roberto Mangosi (da qui)

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EX – Non volendo (9)

(immagine da qui)

Dialogo precedente


– Oh! Buonasera Signorina!
– Ciao.
– Ti trovo bene!
– Sì, anche tu stai bene.
– Già… sai, non volevo venire.
– Potevi dirmelo prima.
– Già, ma poi ho cambiato idea.
– Ecco.
– Ho cambiato idea perché voglio comunicarti alcuni fatti.
– Ah. Ok, ci sta.
– Già!
– Sento aria da “chiusura dei conti”.
– Senti bene.
– Mi sembra giusto.
– È giusto.
– Sai che potrei dire la mia, naturalmente.
– Preferirei di no, ma è giusto anche questo.
– Ok, sono qui, parla.
– Sai che mia madre ti odia?
– Sì, dal primo giorno, non è una novità.
– Vero.
– Poi?
– Sai che mia sorella ti odia?
– Sì, da quando le ho detto di mettersi con uno psichiatra.
– L’ha fatto.
– Ah…
– Sì, tra loro è finita male e dà la colpa a te.
– E cosa c’entro io? Me n’ero già andata!
– Glielo avevi detto tu, per lei è colpa tua.
– Ah ah ah, sì, tipico.
– Sai che ti odio?
– Sì, da sempre, non me l’hai mai nascosto. Dopo un po’ la cosa diventa pesante, sai com’è.
– Sì, comprensibile.
– Direi che abbiamo fatto 30. Facciamo 31?
– No, lui no… mio padre non ti odia. Nemmeno volendo. Neanche non volendo.


Particolare de I Nottambuli, di Edward Hopper. 1942. Art Institute of Chicago( da qui)

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EX – L’Om (L’Uomo) (8)

ID 94241479 © Anastasiia Bobko | Dreamstime.com (immagine da qui)

Dialogo precedente


– Ciao!
– Ciao…
– Che c’è?
– No, niente, sei molto cambiato.
– Trovi?
– Sì, oserei dire quasi esotico.
– Ah ah ah!
– Comunque stai benissimo. Ah ah ah!
– Com’è strano ridere ancora insieme. Sembra che sia passata una sola settimana.
– Infatti!
– Mi sento in vena di confidenze. Posso?
– Non c’è problema.
– C’è una cosa che non ti ho mai detto (e come avrei potuto?).
– Dimmi.
– Sei stata la mia unica minorenne.
– Anche tu. Ah ah ah!
– Ah ah ah! Che due cretini!
– Scusami, sto cercando di abituarmi al nuovo te… ma da quanto?
– Da quando mi hai lasciato.
– Ah, vuoi dire che è colpa mia?
– No no, anzi, ti devo ringraziare, ho capito solo dopo.
– Eh, sembra che tu ne abbia capite anche troppe.
– L’idea ti imbarazza?
– Ma no, figurati, è che non mi aspettavo di trovarti così.
– Così splendido? Ah ah ah!
– Ah ah ah, sì!
– Merito tuo, davvero sai?
– L’averti creato una crisi mistica?
– L’avermi spinto in braccio al tantra…
– Vendicativo!



ID 16492138 © Scott Griessel | Dreamstime.com (immagine da qui)

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EX – Esche (7)

(da qui)

Dialogo precedente


– E così poi ti sei messa con lui.
– Sì.
– E?
– Etciù! Allergia alle domande del cazzo.
– Ah ah, spiritosa.
– Sì, sono spiritosa.
– Non ho il senso dell’umorismo, ma non è mai stato un problema, no?
– Io vado di qui. Ciao.
– Ferma. (Fermati).
– Distanza.
– Ok, scusa… aspetta, ancora un minuto.
– Ho riscoperto la fretta.
– Devo dirtelo: mi hai creato un problema.
– Non ho intenzione di assecondarti.
– Te lo dico ugualmente: mia figlia ha voluto che le leggessi la tua favola, per un intero anno.
– Ci sei arrivato finalmente.
– Sì, è servito, molto.
– Ne sono lieta. Davvero, ma adesso vado.
– Appena te ne sei andata lei ha provato a imitarti in tutto. Ha provato a imitare anche la mia ex moglie. Si era messa in testa che conquistando la bambina si sarebbe presa tutto, attività commerciale di mia madre inclusa.
– Non voglio sapere com’è finita.
– Mi dominava.
– È sempre un ottimo sistema.
– Si è presa tutto, me, me, me e me. Tutto me. È stato… non puoi capire.
– Che vuoi che ti dica?
– Che mi farai un prestito.

Kirsten Dunst (da qui)

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EX – Testa dura (6)

(immagine da qui)

dialogo precedente


– Sai che ti dico?
– Sentiamo.
– Mi piaci di più adesso.
– Oh santissimamadonna!
– … Ci vieni a Zurigo con me?
– No.
– Dai!
– No.
– Non sei curiosa di vedere Zurigo?
– No!
– Che testa dura!
– Sei in vena di complimenti?
– Una bella testolina! Dai! Sei sempre stata curiosa di vedere posti nuovi.
– No. Ma poi chi ti dice che non ci sia già stata?
– Ci sei già stata?
– Non sono fatti tuoi.
– Davvero, ci sei già stata?
– Una volta.
– Con chi?
– Con un amico.
– Quanto amico?
– Ma la smetti?
– Buon partito?
– Non sono cose che ti riguardino.
– No perché, se ti piacciono i buoni partiti, io…
– Non dire scemate.
– No, sono serio, io…
– Tu cosa?
– Ecco, noi partiamo per questo viaggio, la prendiamo un po’ larga, ci fermiamo qui e là a dormire, turismo di giorno, cene a lume di candela… se vuoi facciamo l’amore.
– Ma la smetti?
– Pacchetto completo!
– Smettila!!!
– Perché se no?
– Se no mi alzo e vado.
– Hi! Ok, ok.
– Oh!
– Allora ci vieni?
– No.
– C’è una parte anche per te!
– Eh?
– Sì, firmi qualche carta…
– Una testa di legno?
– Sì!!!! Bella testolina! (Bella.)

Greta Garbo e Melvyn Douglas (da qui)

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EX – Reciprocità di effetti (5)

Robert Mitchum (da qui)

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– Ciao bella, come stai?
– Bene. Tu?
– …
– Nooooo!
– Che c’è?
– Davvero pensi possa funzionare ancora?
– Cosa?
– Cercare di farmi preoccupare!
– Non funziona più?
– Nooooo!
– Funzionava benissimo.
– Non sei cambiato.
– …
– Nooooo! Il silenzio passivo aggressivo nooooo!
– Mi hai detto che non sono cambiato!
– Va bene, riformulo: ti trovo bene.
– Solita vita, che ti devo dire.
– Nooooo! Ancora con il vittimismo?
– Non funziona più nemmeno quello?
– Riproviamo: che hai combinato in questi anni?
– Mah, niente di particolare.
– Noooooo! Ma dai!
– …
– Noooooo! Lo sguardo da gnagno! [vedi foto in altro – N.d.A.]
– Mi stai mettendo in difficoltà!
– È il minimo!
– Ok, ci sono, buttamene un’altra.
– Passate bene le vacanze?
– C’è il covid! Cazzo, ma lo fai apposta però!
– Sìììììì!!!

Ava Gardner e Walter Chiari (da qui)

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EX – Cop(p)ia e incolla (4)

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Dialogo precedente


– Un caffè?
– Un caffè.
– Ordino io?
– Ordina tu.
– Carino qui.
– Ci vengo ogni tanto.
– Ogni quanto?
– Boh, una volta ogni 15 giorni, più o meno.
– Allora so dove trovarti.
– Non mi sembra il caso.
– Perché no?
– Perché ne è passata di acqua sotto i ponti.
– E Allora?
– E allora va bene così.
– Non sei cambiata.
– Sì invece.
– Non mi pare.
– Pare a me.
– E se ti dicessi che io…
– Lo so bene.
– E come fai a saperlo?
– Ho visto quelle con cui sei stato?
– Ah. Tu dici?
– Mah!
– Forse solo un pochino…
– Ho visto quelle con cui sei stato, ma non dopo di me, mentre eri con me.
– Ah.

(immagine da qui)

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EX – Doppia sorpresa (3)

(immagine da qui)

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– Quanto tempo!
– Hai ragione.
– Ti trovo molto bene.
– Grazie.
– Così hai deciso di non tingerti.
– Già.
– Lo sapevo. He he he! Conoscendoti immagino che…
– Cosa immagini?
– He he he!
– Dai, parla.
– Non l’hai capito? Una volta capivi sempre.
– Era importante.
– E adesso non lo è più?
– Non capisco dove vuoi andare a parare.
– Sempre là, alle recriminazioni.
– Grazie per avermi ricordato la tua arma segreta.
– Te la sei presa?
– Non ora.
– Bene, sarei fuori tempo massimo.
– Direi.
– Sai cosa mi manca?
– Oddio…
– Come sapevi sorprendermi… dai sorprendimi!
– E perché mai?
– Va bene, per una volta ti voglio restituire la cortesia: posso sorprenderti.
– Non è una novità.
– Ma questa volta potrei stupirti tantissimo, non sai quanto.
– Inizio a temerlo.
– Stupire non è spaventare.
– Dipende!
– Ah ah ah, su, lasciati stupire, tanto non ci vedremo per altri vent’anni.
– Non sono sicura, tutto sommato ho ancora qualche buon ricordo.
– Ah ah ah, sciocchina!
– Ok, ci posso riuscire: stupiscimi con effetti speciali.
– Sarà fatto.
– E fallo come se non ci fosse un domani.
– Come ti sei messa a parlare?
– Cattive frequentazioni, forza! E che sia indolore.
– Ma cattiva forte questa frequentazione.
– Uuuuuffff!
– Ok, sei pronta?
– Vai.
– Mi sono regalato un tatuaggio.
– Tutto qui? Tutti si fanno tatuaggi.
– Non è vero, tu no.
– Per te era solo una questione di tempo… non mi hai stupita.
– Un grosso tatuaggio: sulla pancia!
– Ok, hai la mia attenzione.
– Questo!
– AH! (Colpita e affondata.)



(immagine da qui)

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EX – Teneramente con-traenti (2)

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– Te lo ricordi questo?
– Ce l’hai ancora?
– Un ricordo dolcissimo.
– Oddio, dolcissimo non direi.
– Sì invece, eravamo così…
– Così?
– Sì, così…
– Così come?
– Dolcissimi!
– No, dolcissimi in quel frangente no.
– Sì invece! Tu eri così…
– E tu eri cosà.
– Smettila, lo sai che è vero. Quando ci è mai ricapitato di essere così teneramente…
– Così teneramente cosa?
– Ma sì, ma sì, io ci ho pensato spesso sai? In tutti questi anni, ho pensato di venire a trovarti e mostrartelo.
– Cioè? Me lo stai mostrando per quel motivo?
– Sì!
– …
– Be’, che mi rispondi?
– Questo è il nostro contratto di trombo!
– Sìììììì! Non è meraviglioso? È dolcissimo!
– Ha quasi 30 anni questo coso… questo foglio macilento.
– E allora? Non c’è mica la scadenza! Non l’abbiamo messa apposta (eh!).
– Cioè, tu mi hai cercata per, cito, “trombare allegramente ogni volta che ci andrà“?
– Sì!!!!
– Ma ti rendi conto?
– È dolcissimo!!!
– Ma, scusa, a parte che, però, adesso, onestamente, non è che proprio, ma diciamola tutta, hai un’altra bambina piccola, hai bambine piccole con donne diverse ogni tre per due, anche senza contratto, diciamo poi, io potrei anche non essere disponibile, potrei considerarlo un’allegra cazzata, non avere voglia… MA SANT’IDDIO! NON LO RITENGO ESIGIBILE!
– Hai il mestruo?


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EX – Ricordo in prestito (1)

(immagine presa da qui)

– Quanti ricordi.
– Tanti, sì.
– Ti ricordi quando ti ho mostrato l’equino?
– Sì.
– È che tu…
– Già.
– Io però…
– Così dicevi.
– Era vero!
– Ne sono sicura.
– Sono sempre stato sincero. Anche l’equino.
– Beato lui.
– Ti ricordi quando ho camminato tre giorni tra i monti per raggiungerti?
– Sì.
– Ricorderò sempre quando ti ho vista appena arrivato. Così bella tutta preoccupata.
– Eri disidratato.
– Anche… però non mi hai dato nemmeno un bacio. Nemmeno all’equino.
– Dovevi pensare camminando, hai detto.
– Infatti.
– Ma non hai pensato.
– Infatti.
– Chissà cosa ti aspettavi.
– La ricompensa!
– Ho avuto il sospetto.
– Invece il giorno dopo mi hai rimandato giù a valle. E niente ricompensa.
– Mi hai detto che avresti pensato camminando.
– Esatto.
– Ma non hai pensato.
– Esatto.
– Inizio a credere che l’equino tolga facoltà mentali.
– Però poi, ti ricordi in tenda?
– Sì.
– E alla Sede?
– Sì.
– E a casa dei tuoi zii?
– Eh???
– Ma sì, a casa dei tuoi zii!
– Non ero io.
– Ah.
– Ok, tocca a me: ti ricordi quella volta nel furgone delle bibite? siamo usciti dopo 3 ore, io strisciavo.
– Sì! Sì! Sì!
– Non eri tu.


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Centri gravitazionali impermanenti

Ringrazio @didiluce per avermi dato la possibilità di lasciarmi suggestionare da un’altra sua affascinante opera fotografica.

Sì, lo so cosa succede a un centro di gravità impermanente, non credere. Lo so con esattezza: prolassa.
È inconcepibile, verissimo, verissimo. Abbiamo tutti un’altra idea a riguardo, quindi mi chiederai come sia possibile. Te lo racconto per come l’ho visto, due volte l’ho visto, perciò posso ben dire di saperlo. E te lo racconto.

La prima volta fu vicino a una scala di sicurezza, ero sotto a guardarla. Tutta la mia certezza era lì, nel suo essere sicura. Una bella scala che mi sarei messa volentieri in casa se ne avessi avuta una. Non importa.
Ero lì che la guardavo considerando la gravità del fatto che l’avrebbe resa grandiosa: salvare. Ah, la gravità che esercitava sulla mia attenzione, attirandola tutta. Ah, la gravità che esercitava sul mio sentirmi protetta dalla possibilità di fuga…
Non saprei, forse tutta quell’attrazione, forse altro, ma la scala iniziò a piegarsi su un lato. Mi spostai. Dovetti, per sicurezza. Un rumore orrendo di ferraglia stanca e d’impatto progressivo al suolo. Un prolasso di gravità, in tutti i sensi che mi ero data.

La seconda volta fu davanti a un cesto di frutta. Marcia.
La guardavo ormai da giorni e man mano si era trasformata in un luogo davvero pieno di vita: un ecosistema, ma aperto. Era divenuto fonte di interesse continuo e di nutrimento, crescita, certo, anche morte. La sua attrazione inesauribile si sprigionava invitando esseri sempre più grandi e affamati della vita che, instancabilmente, produceva.
Fu l’arrivo del cinghiale selvatico a spazzar via tutto. Ecco il prolasso. Capii come il cinghiale si sarebbe presto trasformato in un nuovo centro di gravità, forte, attrattivo. E impermanente.

Quindi, se adesso dici che sono splendida e perfetta come le visioni che attirando spiegano, sappi che il tuo interesse prolasserà, ricompattandosi intorno a una nuova visione dalla forte attrattiva.

Come dici? Non prolassa, ma rotola via al mutamento delle condizioni? Ah, sì, anche questo può essere.


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Bollicina

(immagine presa da qui)

Qui-qui il rigo azzurrino su cui scrivere dritta. Là-là il ranuncolo arancio fiorito in un dì. Su-su il cielo burgundo che tocca le dita. Lì-lì lo spazio aperto che chiama il domani. Giù-giù le scale che se cadi carezzano. E i pepi di fresia che nel volo mi speziano. E il ficomoro che ha un nome progràmmico. E un po’ di alloro. Che male non sta. Stando alla spiaggia come sto alla cadrega, questo è l’impulso a non esser stratega. Stando alla cima come sto al mio divano, credo che oggi ho toccato lontano. Liscio la treccia, aggroviglio un risvolto, placo la genesi e struscio l’arrocco. Macino passi, volto la carta, scopro un sorriso e mi vesto da Re. Se questo è il gaudio di un giorno qualunque, gioco a pescare e il pesce son me.

Vasco Rossi – Bolle di sapone
Quando alla musica vuoi dare un nome
ci metti sopra le parole
Quando la musica c’ha le parole… ding!
la puoi chiamare anche per nome:
la tua prima canzone
la tua prima canzone
Quando alla musica vuoi dare aria
lascia scorrere le dita
su qualsiasi cosa che faccia rumore… ding!
Ci puoi trovare la tua canzone
Magari una canzone d’amore
Magari una canzone d’amore
Per le parole non preoccuparti
è più facile di quello che pensi
Come le bolle di sapone… ding!
se soffi piano vengono da sole
Anche le parole
Anche le parole
Perché la musica non ha orecchi
non ha padroni, ma che maledetti
viene fuori dal rumore… ding!
Come la luce nasce dal sole
Come la luce dal sole
Come le bolle di sapone.

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Pesci

Il Pesce – Tiromancino

Cammina impettito, come pretende l’impresa. Lo sguardo è risoluto e sa già dove posarsi: in avanti.
La ghiaia lascia il posto all’erba, foglie di rami bassi gli carezzano i capelli, una ragnatela l’accompagna per un tratto, attaccata alla fronte. Il sole appare e scompare tra chiome. Nessuna nuvola.
Quando raggiunge la poccia il respiro si blocca, e riprende piano. Niente sorriso d’incontro, non distrazioni, il momento è solenne. Si avvicina al ciglio, alla postazione che ha decretato sua, e si accuccia. I sandaletti chiusi sprofondano nel fango, fino a mezza punta. Un’occhiata svelta allo specchio: l’acqua torbida ha il pelo immobile.
È ora. Il braccio si allunga terminando nell’indice. Un’esitazione, in quel dito tutto il tempo, intero.
L’immerge lento e inizia una minuta danza concentrica nell’enorme caffellatte. Arriva un girino. Arrivano altri girini. L’indice resta immobile al contatto con le testine codate. La voce da torace schiacciato è sottilissima, volutamente, non c’è alcun bisogno di gridare ciò che sta per dire.
– Non sarete pesci per sempre.
Un sospiro paziente e il dito si muove scomposto. I girini scompaiono e lui si rimette in piedi. La voce però resta in sussurro.
– Tra poco avrete le zampe.
E riprende la strada del ritorno.

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Fiore di campo

Il territorio. (È mio.)

Sono al limite dell’abitato. Il campo incolto, da qualche anno. Niente pannocchie, ma erbe selvatiche, buche, lattine vuote, vetri di bottiglie, l’immancabile coppia di siringhe usate, sassi, fogli di giornale. Un pallone mezzo sgonfio. Buono. Raccolta fortunata.
Lo provo: palleggi bastardi. Devo andare dal benzinaio a gonfiarlo. Ma prima lo lavo. Guardo l’orologio d’acciaio fresco di Comunione, tra la fontana e il benzinaio ci vorranno 30 minuti. Più un’altra ora e mezza per trovare qualcuno con cui giocarci e risalire in casa, dai compiti.

Pallone pulito, bagnato, brevi lanci in aria per farlo asciugare in fretta, con battiti di mani e una canzone a mezza voce, e…
– Bel pallone!
Mi giro. Uno, due e tre. Li conosco di vista. Mai giocato con loro.
– L’ho appena trovato.
Non mi piace mentire.
– È nostro.
Continua a parlare lo stesso. È il capo. Strano, ha gli occhiali. Di solito i capi non li portano. A parte me.
– Dove l’avete perso?
Voglio capire se è vero.
– Dove l’hai trovato tu.
– Nello spiazzo del supermercato.
Adesso mento. Mi serve.
– Brava, daccelo.
– Bravo, non l’ho trovato là. Non è il vostro. È mio.

Gelo. È guerra.

Il capo si fa avanti. Tolgo gli occhiali e li metto lentamente nella tasca della gonna di jeans. Non è stupido e capisce il gesto. Si ferma. Mi guarda le ginocchia, le croste di sangue rappreso. Una femmina con poche paure: imbarazzante.
Si volta indietro, uno dei due si volta indietro a sua volta per vedere cosa ci sia da guardare – un coglione – mentre l’altro è accucciato per allacciarsi una stringa. Praticamente la questione è solo tra me e lui. Inizio a passare il pallone da una mano all’altra, sempre più velocemente. Lui segue il movimento con la testa fino a quando capisce che qualcosa non va.
– Ferma!
– Perché?
– Non riesco a…
Ammissione costosa. Deve cambiare strategia.
– Facciamo un gioco!
– No.
Rispondo senza alterare il tono.
– Una sfida, dai! Chi vince si tiene il pallone!
– No.
Ribadisco iniziando a cercare un possibile foro nella gomma.
– Dai! Ho un carrello del supermercato!
– E cose te ne fai?
– Chi butta dentro il pallone da più lontano ha vinto!
– Tu vinci il mio pallone e io cosa vinco?
– Non ti rompiamo più.
– Dove ce l’hai il carrello?
– Alle case dietro la cartoleria.

Cosa mi fa accettare? Un territorio nuovo.

– Vi seguo.

Gioco regolarmente nei caseggiati confinanti, rischi valutati.

LA SFIDA

1° round: siamo in mezzo alla strada, io tengo il carrello e lui da forse 4 metri tira, mancando apposta il canestro; lascio il carrello che ritorna in suo possesso e corro a prendere il pallone. Ognuno mantiene il proprio tesoro.

2° round: si sistema gli occhiali e con un sorriso furbo entra nel carrello, si piazza in piedi a gambe divaricate; con la mano mi fa segno di indietreggiare, più lontano di un passo da dove ha tirato lui; lancio precisa, lui afferra il pallone al volo e, urlandone esaltato la proprietà, si rannicchia dentro il carrello proteggendo il pallone in gembo, intimandomi di andare a riprendermelo, se ho coraggio.

Controllo i suoi per accertarmi che stiano assistendo. Sì, hanno risolini compiaciuti.

Parto di corsa. Quando arrivo al carrello la spinta che gli do è proprio una gran bella spinta. Il capo gang non sa se essere sorpreso o eccitato. I due ammutoliscono seguendo la traiettoria. A velocità non comune, il carrello si schianta contro il gradino del marciapiede. L’ospite si agita, oscillazione e ribaltamento laterale del mezzo.

Grandi risate dei due, fino alle lacrime. Risate di altri avvicinatisi alla visione del carrello lanciato. Lo raggiungo, raccolgo il pallone rotolato fuori dall’abbraccio.
Mentre mi guarda livido, gli dico: – Fatto male? Domani sono qui a giocare. Porto il mio pallone. Decido io il gioco.
E lo aiuto a uscire dal carrello.

Il territorio. È mio.

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Sangria

(immagine presa da qui)

Dov’è la sangria? L’ultima volta che l’ho vista era sul tavolo della cucina, nella brocca grande, profumata e con la frutta in galleggiamento e dio solo sa quanto tempo ci ho messo per pulire e tagliare tutta quella frutta, che non sono uno di quelli pratici in queste cose, ma la sangria la preparo io, da sempre, è il mio benvenuto speciale quando abbiamo ospiti, non che accada spesso, solo quando serve, quando c’è qualcosa da festeggiare e la mia sangria è un po’ un regalo con il quale accolgo chi deve condividere con il sottoscritto, con noi diciamo, un momento felice, anche se, a ben vedere, di momenti felici di recente non è che ce ne siano stati chissà quanti, uno, due, forse tre negli ultimi dieci mesi, pochini a ben vedere e a forza di vedere bene, mi sa che, mi sa che non la trovo, giuro non sono ancora rincoglionito del tutto, come dice lei, che non lo dice spesso, ma quando lo dice fa paura, sembra vero, credo sia per la bravura nello scandire le sillabe, rin co glio ni to, è maestosa in certe circostanze, la provoco apposta, mi piace tantissimo come articola, davvero, forse l’amo per questo, forse l’amo anche per come mi rovista dentro ogni volta che s’incazza (e quanto è sexy), ormai, lo posso dire? mi si rizza solo quando s’incazza, che detto così magari mi fa sembrar sulla china, ma non sono io sulla china, è lei a essere tremendamente sexy e, e niente, non c’è nemmeno qui la sangria, ero sicuro di averla messa qui sopra, in parte ai tramezzini mignon, non fatti da me quelli, non ho la manina chirurgica per tagliare alla perfezione i triangoli monoporzione, posso avere la mano allegra, musicale, ma chirurgica no, io sono solo l’addetto sangria, la mia famosissima sangria, la mitica, quella che tutti si ricordano, mai troppo bene in verità, quella che a vederla si arrossano le orecchie e qualche gota, quella che fa perdere la testa in letizia al secondo bicchiere e poi, da lì, via ogni freno, sciolte le lingue, caldo in corpo e poi, e poi succedon cose, come in ogni festino domestico che si rispetti, quando si scelgono con cura gli invitati, perché è importante sapere chi perderà la testa, chi le mutande, chi le inibizioni e chi la verginità riverginata ogni volta, e diciamolo, è sempre una bella prospettiva se ci si conosce bene o se non ci si conosce affatto, che a volte è pure meglio, ma è importante condividere lo spirito della serata ed essere disposti a berli quei due bicchieri della mia storica sangria, se no col cavolo che parte tutto, che inizia la festa, se non fosse per quella benedetta frutta, per zucchero e alcol, bisognerebbe ricorrere a un superalcolico e quello, si sa, può risultare pesante, infastidire lo stomaco, lo sappiamo, ormai siamo tutti vaccinati agli eccessi, invece alla sangria non è vaccinato nessuno, fa gioia, spensieratezza, è solo vino e frutta e qualche additivo mio, personale, spezie, altro zucchero e, e non la trovo però, la brocca che ho preparato un paio di ore fa qui non c’è, a ben vedere non ci sono nemmeno i tramezzini, la festa, e non ci sono loro; e non c’è lei…
troppe feste sangria: rin co glio ni to.

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Piccolo racconto neozelandese

È ORA DI CONFRONTARMI CON UN ALTRO LUOGO MITICO: LA NUOVA ZELANDA!

Buona lettura!


Sottotitolo: soliloquio

(Immagine presa da qui)

Come va la scrittura?
(Bene.)
Fammi un po’ leggere:
“Il Pifferaio Magico, eliminati tutti i riferimenti culturali, si svegliò senza peso. Leggero, etereo, librante. Andò a sbattere contro il muro dei ricordi, si fece un ematoma grosso così e decise che suonare lo avrebbe aiutato sia a liberarsi dal dolore dell’amata ita, sia dal dolore alla fronte.”
(Che c’è?)
No, pensavo. Chi è questo?
(Subito devi arrivare alla conclusione che debba essere qualcuno. Non è mai così, lo sai da te, non mi ispiro a Musi.)
Lo dici sempre, anche con il Piccolo racconto andino… chi è il neozelandese?
(Un personaggio di fantasia!)
Ti piace molto?
(È ardito.)
E perché sbatte contro il muro? Cosa hai combinato questa volta?
(Ma niente, dai, le solite cose.)
Quali solite cose?
(Ma sì, le solite incomprensioni.)
Incomprensioni?
(Superficialità.)
Tu?
(Ma ti pare? Lui!)
Un altro?
(Eh…)
E che ha fatto?
(Bionda.)
Ti ha dato della bionda?
(E mi ha chiamata Giulia.)
Porco!
(Artista.)

My Heart Will Go On – Recorder By Candlelight by Matt Mulholland

Ringrazio Nina per la felice scoperta del Muso.

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Piccolo racconto andino

ECCOMI QUI, NEL SOLCO DELLA TRADIZIONE, ULTIMA TRA ILLUSTRISSIMI, SENZA ESSERE TALE. MI CONFRONTO CON LE ANDE!

Buona lettura!

Sottotitolo: soliloquio

(immagine presa da qui)

È andino.
(Sì).
È un piccolo racconto andino.
(Sì).
Ci vogliono le Ande.
(Uff).
L’hai appena scritto.
(Bene).
Hai presente la catena montuosa?
(Non ne ho voglia).
Ma come!
(Eh).
Non è difficile, piazzaci qualcosa da scoprire, lì.
(No).
No?
(Non ne ho voglia).
Mettici quacluno almeno!
(Sì, figurati, per poi lasciarmi trascinare chissà dove).
Là!
(Appunto, ci sei andata tu sulle Ande?).
E che vuol dire? E Salgari? Ma che dico Salgari, De Amicis!
(A parte che De Amicis da quelle parti c’è stato. Comunque, grossa fatica).
Allora cosa vuoi fare?
(Cancello “andino”).
No! È così musicale!
(Ecco, la musica, adesso ascolto un po’ di musica.)
Prima chiudi il racconto.
(Non ci penso proprio).
Non vedo altre forme di distrazione all’orizzonte.
(Lo dici tu!).
Cosa stai facendo?
(Ginnastica).
Ma quando mai!
(Adesso. Mi preparo per andare sulle Ande).
Ma quando mai?
(Ipocrita).

Dieci minuti dopo

L’andino ti chiama.
(Mh).
Balla tutto e fa smorfie ammiccanti.
(Mh).
È pieno di sentimento.
(Certo).
Accarezza i cespugli, cammina scalzo e si strofina contro l’albero.
(Uff).
É corredato da oggetti vagamente allusivi.
(Non avevo dubbi).
Si è lavato i capelli con il tuo shampoo preferito.
(Bastardo…).
È triste.
(Io non lo volevo scrivere il racconto andino!)

Leo Rojas – El Condor Pasa
Versione in quechua
“Yaw kuntur llaqtay urqupi tiyaq
maymantam qawamuwachkanki,
kuntur, kuntur
apallaway llaqtanchikman, wasinchikman
chay chiri urqupi, kutiytam munani,
kuntur, kuntur.
Qusqu llaqtapim plazachallanpim
suyaykamullaway,
Machu Piqchupi Wayna Piqchupi
purikunanchikpaq”
Versione in italiano
Oh maestoso Condor delle Ande
portami a casa mia, sulle Ande
Oh Condor
Voglio tornare alla mia amata terra e vivere
con i miei fratelli Inca, che è ciò che più rimpiango
Oh Condor
A Cuzco, nella piazza principale
aspettami
affinché sul Machu Picchu e sull’Huayna Picchu
andremo a passeggiare.
(testo e traduzione da qui)

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tre tree

Sono stata a trovare MANUEL sul suo bel blog e, come sempre accade quando son dalle quelle parti, mi ingolosisco e gli chiedo di portare a casa un ricordo della visita: le sue immagini.

Ho aggiunto anche tre miei scritti tree. Non ho resistito.


LA PRIMA VOLTA

La prima volta che mi sentii albero, fu a un risveglio.
Dopo una lunga operazione, avvertii sinapsi.


LA SECONDA VOLTA

La seconda volta che mi sentii albero, fu sotto una nevicata.
Senza guanti. Senza berretta. Senza un tragitto. Ferma.


LA TERZA VOLTA

La terza volta che mi sentii albero, fu sul far di un’ora senza tempo.

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La Berceuse

La Berceuse – 1889 – olio su tela (92×73 cm) di Vincent van Gogh. Museo Kröller-Müller, Otterlo. (immagine da qui)

Le falangi, cazzo!
pensa mentre si passa la lingua sui denti.

Come si fa a commettere errori sempre così marchiani?
pensa mentre approfondisce la conta dei denti.

Che uno dice: “ma con tutti i quadri che hai dipinto, non hai ancora capito come farle queste cazzo di falangi?”
pensa mentre il sapore ferroso raggiunge le papille.

E fai delle prove! Ti metti lì di buona lena e provi finché non diventi capace; incapace!
pensa mentre urge interrompere il viaggio del dente verso una delle due cavità: esofago o trachea.

Non riesco a guardare l’insieme con quelle cazzo di falangi male arrangiate. Mi dà fastidio. Mi dà un fastidio pazzesco, un fastidio estetico che brucia. Bruciaaaaa!
pensa e sputa quel che c’è in bocca di troppo.

Lo sguardo sempre fisso al quadro. L’intorno non gli interessa, è un di cui.

Falangi. (Falangi.) Falangi, falangi-falangi: FALANGI! Se fossi stato il compratore ti avrei costretto a cambiarle! Tutti hanno corretto le mani, anche i più grandi. Certo le mani non vengono bene a tutt…
Un calcio ai testicoli gli interrompe il pensiero. Lo sguardo è finalmente cieco. Il silenzio, totale. Il male inghiotte tutto.

«Grazie.» sussurra senza fiato alla donna in piedi, che ancora trema di rabbia. Tradita, solo per ammutolire un’ossessione estetica.


Il ritratto di Augustine Roulin rappresenta una donna reale e insieme un ideale, un simbolo. Con lo sguardo umile, le mani che stringono il cordone con cui dondolava la culla, (berceuse significa appunto, in francese, “colei che culla”). Lei è un mito femminile, quello della moglie e madre, capace di consolare e di placare l’animo.

https://it.wikipedia.org/wiki/La_Berceuse
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In 6 parole?

In 6 parole!
Il titolo è escluso dal conteggio.

A voi la palla!

TERAPIA

Ripeta: COGLIONE TESTA DI CAZZO!
Meglio?
(by endorsum)

SCORTESIE

«Vecchia io?»
Chiese puntando la Beretta.
(by endorsum)

LUOGHI COMUNI

Voi uomini siete tutti uguali: mangiate.
(by endorsum)

PROTESTA

non riesco a dormire
Porca puttana
(by poetella)

EMPATIE

Ti spezzo un lombrico
nell’occhio!
(by silviatico)

UN BUONGIORNO DEL CAZZO

Devo essere al lavoro alle 6.
(by unallegropessimista)

CONDIZIONE CONIUGALE

Dammi tre parole: sei imbranata amore.
(by Adriano)

CAFFÈ

Quant’è? Un euro e venti!?
(by Alessandro Gianesini)

CINEMATOPEICA

I’m too old for this Shit!
(by romolo giacani)

OSSIMORO

Solo sei parole? Non ci riesco.
(by Raffa)

SUSPANCE

Potrei raccontarti i miei segreti, ma…
(by Centoquarantadue)

CINEMATOPEICA 2

Stupido è chi lo stupido fa.
(by romolo giacani)

DEMOCRAZIA

Dimmi pure: tanto ho ragione io.
(by silvia)

PANDEMIA

ma vaffanc___!
(by titti onweb)

STORIA TRAGICA DOMENICALE

Svegliomi. Sbadiglio. Ed è subito lunedì.
(by EmoticonBlu)

FUORITEMPO

Sono troppo vecchio per morire giovane.
(by Bertow)

PARADOSSO ARITMETICO

Uno, due, tre, quattro e cinque.
(by Bertow)

DECONSTRUCTION

Like a Monkey on a Tree
(by LunaReport)

VALERIA ROSSI

Valeria Rossi: “Tre Parole” sono troppe
(by Kikkakonekka)


Ok, le mie le ho scritte ascoltando questa musica…

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Protetto: Suor Morigerata, nata Prudenzia Accecaragnoli

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Il portatore d’acqua

foto da qui

Quando il portatore d’acqua s’innamorò dell’acqua, il pozzo si ruppe una pietra per ferirgli la mano.
La goccia tonda cadde e intorpidì l’acqua, la quale, non si riconobbe più. Gli scivolò così tra le dita, capitò a terra e lì gioì d’una porosità amica. Il portatore guardò le mani vuote e rosse, toccò il pozzo, marchiandolo a sangue.
Il pozzo senz’acqua, soffrì il suo primo pianto. Asciutto.

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In tutto

Immagine presa qui

Eccomi qui. Come tu mi vuoi. Tuta d’oro. Come le ragazze che possono. Scarpe con tacco alto. Nere. I riccioli di quella tonalità castana che ti piace tanto. Folti, più folti di prima, da non poterli accarezzare. Ti basta guardarli. Le labbra da pompino, finalmente. Gli zigomi un po’ gonfi, per tener su la faccia e le rughe, andate. Via, scappate. Il volpino al piede, stranamente tranquillo. Tutto è tranquillo qui fuori e anche lui. E anche io. Grazie a Dio ho gli occhiali da sole grandi. Grandissimi. Fa freddo oggi e ti ho dato due figli. Ti ho assecondato in tutto.

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Grow

Ecco una seconda fantastica collaborazione con DiDì. Le immagini sono sue e così il titolo. Di mio c’è il testo.

Buona visione.


Immagine di @didilucephotoblog

Fuuuuuhhhhh.
Fuori tutto. Un negativo polmonare.
Guardo più del dovuto. Non ti disperdi. Stalli.
Forma.
Maledetta forma.
So cosa sei!
(Potrei non essere pronto.)


Immagine di @didilucephotoblog

Breve pressione su palpebre chiuse.
Si inizia.
Ma sì, l’ho accettato.
Continuiamo.
Ti seguo.
(Eppure stavo così bene, non ne capisco il bisogno.)


Immagine di @didilucephotoblog

Ah, quel colore!
A mangiarmi i contorni.
So dove porta.
Sempre troppo fuori.
(Sempre troppo dentro.)


Immagine di @didilucephotoblog

Ci siamo.
Espugni il mio cazzo mentale. E tiri.
Smettila!
(Collaboro.)
Mostrami solo dove ficcarlo! (Son calmo.)

Immergermi e uscire.
Penetrare e ritrarmi.
Insoliti i pensieri seducono e respingono.
Visioni inedite: a morsi.


Immagine di @didilucephotoblog

E sempre in titubanza mi trovi, all’inizio.
(Con questi passi rubati a un cha cha.)
Poi i suoni, perduti nella frenesia.
La nuova acquisizione in monta.
La Verità trascina.
Resisto a un istante.

Che esplode.


Immagine di @didilucephotoblog

Oh, compiuta vampa.
Di mio tinta.

(Di mio tinta…)


Immagine di @didilucephotoblog

Apro gli occhi.
Ti mostri in positivo. Adesso.
Riconosco.
Te. E a te.
Me. E a me.
Lei. E a lei: piccola crescita.

(Svanisci.)

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Seamen

Sono molto contenta: ringrazio DiDì per le bellissime fotografie e per l’individuazione del titolo.

Questa narrazione per immagini era perfetta. Poi ho aggiunto il testo.

Buona visione.


Eccoti.
Onda bell’Onda. Mia bella, mia carezza cazzara… he he!
Oh che permalosa!
Bella.
Bella-bella. La schiuma salata in faccia mi schiaffi. E mi strappi. Che forza hai, eh? Mia dolce, che porti? Che prendi?
Io sto bene, lo sai, si resiste. Si resiste bene. Sì.
Ma aspettami. Aspetta che arrivo.

Dunque, vediamo. Guarda cosa hai combinato l’ultima volta. Mi hai rotto il secchio, he he! Velocità avrei dovuto avere. Giocare con te diventa come una volta: difficile.
Mia bella. Sei vigorosa oggi, sfacciata. Da un po’ non ti facevi così insolente.
Tra poco, eh? Ci troviamo al solito posto.

Sì, è nuova, ti piace? Ci voleva un pezzo fresco-fresco. L’altra l’hai amputata, ricordi? Mi è rimasta in mano solo la cima, il resto te lo sei preso tu.
Hai ragione, mai un dono, un omaggio, devi sempre far da sola. Onda mia bella. He he.
Cosa dici? Il caschetto? Normative. Non te l’aspettavi vero? Mi faccio bello anch’io sai? Ah, come sono elegante con quello in testa, sembro un edile… ok, non temere, niente edili all’orizzonte. Scherzavo. Un po’. Scherzavo un po’.

Mia bella. Ridiamo insieme? Vorrei ridessimo insieme, come una volta. Come quando stavi per rapirmi il braccio e solo ridere insieme ti ha convinta a ridarmelo. Lo sai che ti ho tatuata sulla spalla? Guarda, sei tu. E lui è tuo.
Io sono tuo. Bella che sei… Te ne ho chieste di cose eh? Te ne ho chieste sì. Mai questo: mi vuoi?

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Sidera

Sidera guardò le gocce. Le dispose una a una sulla lingua e le gustò, come ultimo abbraccio di vita. Puntò il dito verso il sole e sorrise all’idea dell’accartocciamento. Si distese sulla sabbia bollente, abbandonò l’otre al suo rotolar da duna e attese l’ultimo respiro in arsura. Soffocare? Espiare in temperatura? Bruciare gli alveoli? Forse solo dormire. Ma il dormire era da gelo, non da pelle in ustione e cosa aspettarsi allora dalla vita del deserto? Dalla morte del deserto? Grattò tra i granelli giocando con la sua clessidra e calmò il respiro. Giocò ancora con ciò che le riempiva gli spazi tra falangi e la solleticò il movimento di zampette. Scorpione? Son io. Ciao. Che vuoi? E tu? Non la morte. E cosa? La vita. Non sei nella condizione… Perché? Puoi solo scegliere come morire. Lo so. Sono qui per questo. Ma tu cosa vuoi? Vedere il ghiaccio. Interessante.

Sidera si girò supina con un sorriso fresco e lasciò lo scorpione arrampicarsi sulla sua spalla. Chiuse gli occhi e mosse lentamente le braccia. Piano! Temi di cadere? Ho fatto una certa fatica ad arrivare a te. Dici davvero? Non eri di strada? No. Ti cercavo da tempo. Perché? Per il ghiaccio.

Sidera si voltò sul fianco e lo scorpione cadde sulla sabbia. Presto si posizionò sulla mano. Come stai? Come chi sa che deve morire, ma che spera. Speri? Come te. Io non spero. Va bene e io non ho sete. Hai sete? Se non bevo muoio. Io conosco l’acqua. La vuoi? Sì. Io voglio toccare il ghiaccio. Sì.

Lo scorpione si mise in moto e Sidera lo seguì.

Una leggenda nata in quel tempo narra di una donna dalle dita di ghiaccio che viaggiava cercando il veleno che non l’avrebbe uccisa. Un’altra leggenda narra dello scorpione sognatore che un dì non punse. Le due leggende furono divise e tramandate da tribù diverse, seguendo ciascuna una propria via al mare.

Come lei divenne Artemide e lui chi la salvò da Orione, è una storia successiva.

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Schiare idee

– Dove vai adesso?

– Esco.

– Sì, ma dove?

– Non si capisce?

– No!

– Da quanto conviviamo?

– Non fare così…

– Non pormi domande inutili allora.

– Non sono inutili!

– Stiamo già litigando?

– No!

– E invece sì!

– No…

– E prima? Cosa stavamo mettendo in scena?

– Una litigata ma abbiamo smesso 4 minuti fa.

– Non me ne sono accorta.

– Sì invece, avevamo anche finito.

– Ma sei sicuro?

– Certo!

– Ah, ok.

– Me lo dici dove stai andando con la sedia?

– Vedi che vuoi continuare a litigare?

– No!

– Prendo le palline da tennis, devo comunque schiarirmi le idee.

– E la sedia.

– Cosa.

– Le palline da tennis e la sedia.

– Vedi? Dovresti conoscermi, dovresti! Vado!

– Mi dici almeno il paesaggio geologico?

– Stagno!

– (Ok, stagno…)

Let them come – di Neta Oren

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Contemplo (e non ringraziamo il merlo?)

(immagine da qui)

Il merlo. Esco dalla porta di casa e me lo trovo sui gradini. Oh che spavento! Lui si spaventa più di me e saltellando inizia a spruzzare ovunque contenuto intestinale. Poi scappa. Contemplo. Poi ritorna, perché era scappato dalla parte sbagliata. Intanto che osservo l’ultima opera di Pollock (vedrete qualcosa di simile cliccando), il merlo prende coraggio e si avvicina, emetto qualche suono a caso dalla bocca e gli mostro la via d’uscita, lui decolla e come un colibrì rimane a mezz’aria, infine va.

L’alimentazione del merlo in questa stagione: bacche viola.

La scala – marmo bianco bocciardato -. Con tutte quelle super schitte blu/viola è molto bella. Contemplo. Poi mi arrendo e inizio a pulire. Poiché era da un po’ che non passavo con vigore ed energia, il risultato è stato più o meno come quando su un foglio disegnato a matita si commette l’errore di cancellare con la gomma pane (tutto ok se è l’effetto desiderato, niente bene se l’effetto è indesiderato): candide macchie bianche a sfidare un’elegantissima patina del tempo. Contemplo. Contemplo a lungo. È TEMPO.

Armarsi. Di strumenti. Pazienza. Forza. Costanza. Dedizione. E di lui: l’olio di gomito. E di tempo, quel tempo: due ore.

In due ore a carponi a grattare marmo ho cambiato la mia vita.

Grazie merlo.

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La risposta

Dunque una settimana fa. Cosa ho fatto una settimana fa?

Ho risposto.

Una sola risposta per tutte le domande. Quante domande avrò raccolto? Tante, tantissime, se ne raccolgo ovunque. Per fortuna ho raccolto solo quelle che hanno posto a me, senza scorta d’altre (per fortuna sì, anche se accatastarne di rivolte ad altri non è che pesi molto, lo dico così, per ammorbidire, la carezzevole lamentela scalza che usa ritrarsi al primo freddo del suolo).

Una sola risposta a tutte le domande. Come stai? Tu, là, lù, lò? Quante ne vuole? Ha moneta? Torni domani? Mi lascia aperto? Zucchero? Fa freddo? Hanno già chiuso? Leggi? Piazza Vittoria? Con te parla? L’hai poi rivista? Mi mandi tutto via e-mail? Cosa ne pensi? Ne vuole uno? Lo porta da sola? Ti sembro solo? Me ne lascia una? Ti piace? A che ora? È andata bene? La richiamo? Mi chiami? Che mascherina è? Cosa gli hai detto? Stai andando adesso? Ha visto anche Lei? Queste scale? Hai sonno? Ci vieni?

Una sola risposta: mh (traduzione: un sogno (ma chi la conosce la mia lingua)).

Her Morning Elegance di Oren Lavie
Il sole è tramontato da giorni
Sun been down for days

Un bel fiore in un vaso
A pretty flower in a vase

Una pantofola accanto al caminetto
A slipper by the fireplace

Un violoncello che giace nella sua custodia
A cello lying in its case
Presto sarà giù per le scale
Soon she’s down the stairs

La sua eleganza mattutina che indossa
Her morning elegance she wears

Il suono dell’acqua la fa sognare
The sound of water makes her dream

Risvegliato da una nuvola di vapore
Awoken by a cloud of steam

Versa un sogno ad occhi aperti in una tazza
She pours a daydream in a cup

Un cucchiaio di zucchero si addolcisce
A spoon of sugar sweetens up
E combatte per la sua vita mentre si infila il cappotto
And she fights for her life as she puts on her coat

E combatte per la sua vita sul treno
And she fights for her life on the train

Guarda la pioggia mentre si riversa
She looks at the rain as it pours

E combatte per la sua vita mentre va in un negozio
And she fights for her life as she goes in a store

Con un pensiero è stata presa da un filo
With a thought she has caught by a thread

Paga il pane e se ne va
She pays for the bread and she goes
Nessuno sa
Nobody knows
Il sole è tramontato da giorni
Sun been down for days

Una melodia invernale che suona
A winter melody she plays

Il tuono la fa contemplare
The thunder makes her contemplate

Sente un rumore dietro il cancello
She hears a noise behind the gate

Forse una lettera con una colomba
Perhaps a letter with a dove

Forse uno sconosciuto che potrebbe amare
Perhaps a stranger she could love
E combatte per la sua vita mentre si infila il cappotto
And she fights for her life as she puts on her coat

E combatte per la sua vita sul treno
And she fights for her life on the train

Guarda la pioggia mentre si riversa
She looks at the rain as it pours

E combatte per la sua vita mentre va in un negozio
And she fights for her life as she goes in a store

Con un pensiero è stata presa da un filo
With a thought she has caught by a thread

Paga il pane e se ne va
She pays for the bread and she goes
Nessuno sa
Nobody knows

Nessuno sa
Nobody knows
E combatte per la sua vita mentre si infila il cappotto
And she fights for her life as she puts on her coat

E combatte per la sua vita sul treno
And she fights for her life on the train

Guarda la pioggia mentre si riversa
She looks at the rain as it pours

E combatte per la sua vita mentre va in un negozio
And she fights for her life as she goes in a store

Dove le persone sono piacevolmente strane
Where the people are pleasantly strange

E conta il cambiamento mentre va
And counting the change as she goes
Nessuno sa
Nobody knows

Nessuno sa
Nobody knows

Nessuno sa
Nobody knows (traduzione by Google)

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GM (giornata mondiale)

https://www.tp24.it/immagini_articoli/31-01-2016/1454256591-0-giornata-mondiale-delle-zone-umide-martedi-un-convegno-al-centro-polivalente-di-petrosino.jpg
c’è tutto in questa immagine: yin e yang (da qui)

Il raccontino narra della nascita delle “Giornate Mondiali” (o Internazionali, a piacere).

È a 4 mani, le mie due e le due mani di ADRIANO.

Trovaticisi sul sentiero del fastidio fisico nei confronti di questa nobile istituzione, abbiamo deciso di rendere almeno piacevole la percorrenza.

Buona lettura!

P.S.: le giornate nominate sono tutte realmente esistenti, tranne due: quali?


Da quando esiste il mondo, lo scorrere del tempo è stato sempre scandito dalle giornate. Queste, di giorno in giorno, di epoche in epoche, di lustri e lustrini vari, hanno segnato la vita di qualunque essere presente nel pianeta, anche dei sassi. Esse sono sempre passate uguali e placide, ma negli ultimi anni si è sentito il bisogno quasi fisiologico di prendere alcune di queste e di renderle speciali per ricordare fatti, avvenimenti, curiosità, nomi, città e cose da far conoscere a tutto il mondo. Sono nate così le giornate mondiali.
 
Enrichetta, detta Richy, pianta nella neve la tavola fucsia da snowboard e con i denti strappa la fascetta con velcro del guanto, spoglia la mano e con dita irrigidite dallo sbalzo termico tira la zip della tasca fluorescente sul petto: estrae il cellulare. Chi caspita la disturba prima di una discesa? L’ONU. Richy risponde alla telefonata e sì, da adesso è in missione per conto dell’ONU.
 
Richy ascolta la voce misteriosa che parla dall’altra parte del telefono con una inaspettata parlantina, e sta lì lì per tirarle un accidente coi controfiocchi che ecco la voce la blocca subito dicendole che non può dire nulla poiché oggi è la Giornata Mondiale della prosopopea e quindi deve sentire e basta. Richy ingoia il rospo chiedendosi quando sarà la Giornata Mondiale delle maledizioni al telefono, e dopo aver salutato mestamente la voce dell’ONU con un: “Obbedisco!”, si rimette il cellulare nella tasca fluorescente a norma di legge, chiude la zip con tutto il guanto e, noncurante di quanto stava succedendo, ridotta ormai a un blocco di ghiaccio con le gambe, si avvia a scendere la pista come meglio può, pronta per avventurarsi in quello che è un ricco calendario di giornate da rispettare.
 
Obbedienza.
Si obbedisce per timore, per indolenza spirituale, per mancanza di iniziativa, per economia energetica, per profondissima credenza. Aggiungerne si può, ma si obbedisce. Obbedendo, Richy avrebbe creato nuove parole d’ordine per altre innumerevoli obbedienze sane-sante-savie, ma quali?
La parete del salotto decorata con le 15 tavole appese. La parete del salotto decorata con le 15 tavole appese e il profumo di vin brulé nell’aria. La parete del salotto decorata con le 15 tavole appese e il profumo di vin brulé nell’aria e: una visione biblica.
 
Dal fumo sprigionato dal vin brulé si ode una voce come di tuono dal tono solenne.

– “Richy!” esclama la voce.

– “Chi è?” esclama Richy stupita.
– “Io”
– “Io chi?”
– “António!”
– “Da Padova?”
– “Macchè, da Lisbona!”
– “Oh scusate, adesso non posso, tengo la pentola sul fuoco, lasciate pure il depliant sotto la porta.”
– “Io non ho bisogno di depliant, sono il tuo capo!”
– “Uuuh signore, scusate tanto, avete detto Antonio ho pensato al santo. Cosa posso fare per lei?”
– “Hai letto le 15 tavole che ti ho mandato?”
– “Sì.”
– “E?”

– “Sono carine, fanno proprio un bel figurone in salotto.”

– “Devi rispettarle e farle rispettare tutte!!!”
– “Tutte?”
– “Sì.”
– “Anche quella della migrazione dei pesci?”
– “Sopratutto quella.”
– “Ammazza che culo!”
– “Vai e diffondi nel mondo col sorriso!”
– “Sia fatta la sua volont… ehm… ok.”
E come è venuta, la voce sparisce, tra risate alcoliche e di chiodi di garofano.
 
Oh che investitura! Ma che bello. E che onore. Che responsabilità. Che eccetera eccetera! Tra il bere, i profumi, gli ordini e la nuova fantastica avventura creativa, Richy si sente eccitata e frenetica, in cerca di carta e penna ove scrivere di getto… cosa?
L’ispirazione, si sa, nasce dove l’occhio cade e l’occhio cade, si sa, mosso dal desiderio e il desiderio di Richy, si sa, è concentrato sulle splendide tavole: Giornata mondiale dello snowboard! Fantastico, ecco l’abbrivio! Si volta verso il computer e un pensiero urgente l’assale: Giornata mondiale del backup! Un sospiro di sollievo, come se ideandola si fosse materializzato l’evento. Magico. Chissà se funziona anche con le lingue straniere: Dia internacional del Tango! Ah, che ispirazione seducente, tanto seducente, troppo: Giornata mondiale delle zone umide, e Giornata mondiale dell’orgasmo! Doppietta!
 
L’aver pensato alla Giornata mondiale dell’orgasmo le fa tornare alla mente quelli avuti prima di lasciarsi col suo fidanzato, e dal ricordo di tanti momenti felici pensa alla Giornata mondiale dell’uccello migratore.
Ma lo spremersi le meningi manda in crisi Richy, anche perché riempire 15 tavole non è uno scherzo. Con lo sguardo della disperazione, alza per un attimo la faccia e vede il frigo. Una certa fame inizia a prenderla sentendo brontolare lo stomaco come se fosse un temporale. Ricordandosi che ha ancora della pizza avanzata dalla sera prima, le viene il colpo di genio: Giornata internazionale della pizza italiana, che insieme a quella delle torte ci sta proprio bene.
– “Cavoli, perché non ci ho pensato prima?” e scrive e mangia.
– “Che vada al diavolo la dieta!” esclama con tono solenne.
Nel mentre che mette il tutto nero su bianco, l’occhio le cade su una rivista che stava guardando con la pagina aperta sull’evoluzione dell’uomo, e quale occasione migliore di questa nel comporre una lista che verrà ricordata dall’umanità intera?
– “Chissà cosa avrebbe pensato Darwin di questa nostra evoluzione… Ci sono! Facciamo il Darwin Day così per ricordarmi di tutto questo.”
In realtà pensa anche ad altri tipi di evoluzioni ma meglio non scriverle.
Gli occhi a questo punto cominciano a diventare sempre più pesanti fino a quando non si addormenta sul tavolo. Nasce così al suo risveglio la Giornata mondiale del sonno.
 
– “Antò.”
– ”…”
– ”Antòòòò! Ho fatto.”
– ”Sto giocando a frisbee. L’hai inserita la Giornata mondiale del frisbee?”
– ”No.”
– ”Non importa, mi piace che resti uno sport di nicchia. Dimmi dunque.”
– ”Ho finito.”
– ”Vediamo, sì, buon lavoro, ma manca ancora una giornata fondamentale. Vai ai Bagni di Trevi e…”
– ”La Fontana di Trevi.”
– ”Non è la stessa cosa con quel bel piscinozzo?”
– ”No.”
– ”Allora ti ordino di immergerti, fare due bracciate, pescare qualche monetina e avrai l’ispirazione ultima e fondamentale. Corri!”
– ”Adesso?”
– ”Adesso!”
 
Richy obbedisce anche se con molte perplessità. E se non avesse trovato le monetine? E se i vigili l’avessero trovata nuotando e fatto un mazzo tanto? E se i trentatrè trentini non entrano a Trento?
Una volta arrivata a destinazione, si immerge furtiva nella fontana alla ricerca delle Monetine della Sacra Ispirazione Ultima (MSIU).
Nuotando con la stessa grazia e agilità dei pesci migratori che vanno incontro al proprio destino, Richy tenta di compiere il suo ultimo incarico con le sacre monetine, e avendone trovate solo qualche migliaio, i dubbi aumentarono ancora di più. In compenso, però, pensava a come spenderle.
Dopo aver raggiunto per un attimo la pace interiore immaginando l’armadio pieno come un outlet, un cartello la riporta alla dura realtà: le monetine se le deve scordare.
– “Aaaaaaa mannaggia i pescetti!” esclama con un certo disappunto.
Piena di tristezza per aver fallito la missione che le era stata affidata, sta per scavalcare il muretto della fontana quando all’improvviso vede una monetina più scintillante delle altre. In quel preciso momento è come folgorata sulla Piazza di Trevi ed è lì, finalmente, che trova la sua ultima e definitiva ispirazione per la giornata mondiale mancante all’appello:
quella della carbonara.
 

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Immagini d’intimità

– Pensavo.

– Dimmi.

– Ci sono un sacco di mie foto. Nuda.

– Vero? Eh eh eh, ho stimolato la maiala impudica.

– Non sono sempre impudica.

– Lo so, Tesoro.

– E i tuoi amici mi guardano ogni volta tra le gambe senza ch’io abbia dato loro il permesso, grazie alla gigantografia appesa in sala.

– È arte.

– Voglio fotografarti lo scroto e metterlo lì, in parte alla mia immagine.

– Non sei tu l’artista.

– Ma questa è casa mia.

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Stelle

Le tre stelle della Costellazione di Orione Alnitak, Alnilam e Mintaka allineate al centro formano la Cintura. (da qui)

Stelle. Belle. Belle stelle. Stelle belle. Stelle e stelle e. Fottute (stelle).

Che se avessi un angolo di cielo guarderei ogni sera. E ogni sera guardo, le fottute (stelle). Che se ci fosse nube la sposterei volendo. E via a spazzarne a nembi, chiare fottute (stelle). Con allegra propensione immaginarle vispe, immote, nate e ignote, le mie fottute (stelle). Con ottimismo stolido ne individuerei di buone, intente a benedir Valchirie, incredule, per le fottute (stelle). Mi scrollerei di dosso il cattivo influsso con risata bassa, alla faccia loro, in rissa, porche fottute (stelle). E giocherei a unir punti e a disegnare allori, senza curarmi di corrispondenze, con le fottute (stelle). Così, non bastandomi l’ardire cozzo, rotolo, striscio rabdomica e soffoco, il riso, fingendo mi vediate, care fottute (stelle). Senza gridare o dire, passare da una a una, che il conto è aperto e non ne salvo alcuna, di voi fottute (stelle). E lo sapete, lo sapete bene che son vostra, schiva, selvatica e straniale, e allora impudiche, senza permesso e in codice, a tratteggiar distanze, fino a toccarmi suolo. Fino a morir nei nei. Sulla mia pelle.

Oh.

Fottute stelle.

ORION’S BELT IOVA (cover by Sabrina Claudio)
This mess of emotions got his body questioning
Is this feeling alright?
He studying my freckles like the constellations
And he’s looking for signs
I know that you’re not used to this
Boy will you let me teach you
Your mind is asking for my love
And you just need to hear it
Try not to wander off too much
Don’t let your feels control you
Keep you attentive with authentic kisses
Filled with amor
I’ll show you
How it’s supposed to feel
When we meet
At Orion’s Belt
I’ll show you
How it’s supposed to feel
Running my fingers through your hair I’m feeling
That your thoughts have left this Earth
Is it worth it? Yes
Is it genuine? Can I love like this?
Let me give you some reasons
I know that you’re not used to this
Boy will you let me teach you
Your mind is asking for my love
And you just need to hear it
Try not to wander off too much
Don’t let your feels control you
Keep you attentive with authentic kisses
Filled with amor
I’ll show you
How it’s supposed to feel
When we meet
At Orion’s Belt
I’ll show you
How it’s supposed to feel
When your hands running down my body
It’s like a ticket to a cosmic sky
Let your body get used to this
Let your body get used to this
It don’t matter where we are
Cause when we’re touching we’re caressing stars
Let your body get used to this
Let your body get used to this
I’ll show you
How we’re supposed to feel
When we meet
At Orion’s Belt
I’ll show you
How we’re supposed to feel

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Una settimana

STARÒ VIA PER 7 GIORNI

LASCIO QUI QUALCHE LETTURA, UN PO’ DI MUSICA, UN RECAPITO E IL TEMPO PASSERÀ IN FRETTA.

endorsement@virgilio.it

qualche vecchio raccontino

unodietrol’altro

story-lenny

extra-lenny

musiche

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Amore, ti aspetto…

In attesa dello Story-Lenny 5, ecco un mio vecchio raccontino.

– Hai aperto la finestra?

– Certamente, ho anche chiuso il gas.

– Hai fatto bene, dobbiamo essere prudenti e aspettare che Ping arrivi.

– Si chiama Ping?

– Sì, da un paio di giorni.

– Non lo sapevo, ma come facciamo a essere sicuri che venga?

– Ho lasciato del vitello sul tavolo.

– Allora aspettiamo.

– Dovremmo andare nell’altra stanza.

– Ma come facciamo a sapere se arriva?

– Non so, ogni tanto diamo un’occhiata, ma silenziosamente, che non si accorga.

Ping non passa.

– Sono tre giorni che gli tendiamo questa trappola e lui lo sente e non passa. La carne ormai è da buttare e non possiamo continuamente porgergli carne fresca per farlo entrare.

– Secondo me non ci si comporta così con un gatto.

– E cosa dobbiamo fare allora?

– Fregarcene, magari ha voglia di compagnia e arriva lo stesso.

– Allora facciamo le nostre cose di sempre e non ci pensiamo.

– Mi sembra una buona idea.

La vita continua, aspettando il gatto.

– Sono cinque anni che lo aspettiamo e la nostra relazione forse funziona bene per questo, per l’attesa.

– Ma se non dovesse mai entrare?

– Dovremmo cercare qualcos’altro da attendere.

– Perché?

– Perché così stiamo insieme per un motivo.

– Non è insensato.

– No, infatti. Che dici, continuiamo ad aspettare Ping o ci diamo ai piccioni?

– Un topo? Che ne pensi di un topo?

– Proviamo con un topo.

– Come lo chiamiamo?

– Stong.

– Va bene.

Per far venire Stong abbiamo lasciato la casa sporca per mesi fino a quando non sono comparsi gli scarafaggi, ma non aspettavamo loro e li abbiamo ammazzati.

– Stong non arriva più, sono due anni che gli prepariamo l’ambiente giusto, ma non arriva più.

– Sono arrivati gli scarafaggi, quelli ci sono sempre.

– Che si sia sbagliata bestia?

– Forse…

– Vuoi dire che eravamo destinati agli scarafaggi e li abbiamo uccisi con l’insetticida? Sarebbe terribile!

– No, secondo me dobbiamo provare con un piccione, è facile un piccione.

– Sei forse stanco di me?

– No, no di certo.

– E allora perché vuoi che il piccione arrivi in fretta?

– Non è ciò che vuoi anche tu?

– Ah, sì.

– Lo chiamiamo Tep.

– Ma non saranno i nomi, dico, magari i nomi non li invogliano.

– E come lo chiamiamo?

– Ancora non si è nemmeno fatto vivo, aspettiamo di vederlo, poi vedremo a che nome risponde.

– Mi sembra un passo avanti.

Il pane sul davanzale non manca mai. Per mesi abbiamo trovato solo passeri a beccare e li abbiamo guardati come si guarda un bimbo brutto, con enfatica compiacenza.

– Cosa si fa dei passerotti?

– Niente si fa, qui del piccione nemmeno l’ombra, togliamo il pane.

– Sì, ma se non aspettiamo il piccione, cosa aspettiamo?

– Ormai è estate, proviamo con un pipistrello.

– Ma sì, il soffitto è alto, potrebbe anche farci un nido.

– Finestre spalancate allora.

– Ok.

Sono passati i ladri. Ci hanno portato via tutto.

Peccato non averli aspettati, ora sarei ancora in coppia.

H.E.R. – Wait for it
Uber on the way, my phone is chargin’
He keep callin’
I wanna pick it up, but I keep stallin’
I feel some type of way
It’s late at night, and babe
I ain’t get dressed for nothin’
I ain’t put on this dress for nothin’
So I’m comin’, baby
Wait for it, wait for it, wait for it, yeah
I’ma need for you to wait for it, wait for it, wait for it
Baby can you wait for it, wait for it, wait for it?
Baby can you wait for it? Wait for it
Can you?
Yeah, I know you on the way, but now I want it
I can’t take it
I’m merely tryna chill, but I’m impatient
Stay on my mind
Can’t sleep at night
And I ain’t get dressed for nothin’
I ain’t put on this dress for nothin’
I know you’re comin’
Wait for it, wait for it, wait for it, yeah
I’ma need for you to wait for it, wait for it, wait for it
Baby can you wait for it, wait for it, wait for it?
Baby can you wait for it? Wait for it
Can you?
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(Lo sa)

(foto presa qui)

Giallo, quanto giallo. Fragili piume pronte al volo. Forza d’unione in volontà di branco.

Avvicinarsi. Avvicinarsi un attimo in gesto. La mano è morbida sui suoi capelli. La carezza, inascoltata. (Lo sa.)

Lui è preso dalla sua nuova impresa e non s’accorge. Di tanto in tanto interrompe l’attività frenetica allungando le braccia fin sopra il capo, distendendo la schiena.

Assistere inermi a quanto accade: è l’unico modo. Sono mesi che è felice, pieno di voglia di vita. E assenza.

Ma non ora, intento in una scrittura a stampatello, a nascondere, ancora a nascondere l’ovvio, quasi per delicatezza, con pudore virile.

Sono 526 i post-it scritti; coprono il tavolo, parte del divano, il piano cucina e la porta d’ingresso.

– Manca qualcosa su questi foglietti.

– Lo so.

– Non serviranno incompleti.

– Lo so.

(Lo sa.)

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Eppure

Vilhelm Hammershøi, Interno con donna di spalle (1898; olio su tela, 51,5 x 46 cm; Stoccolma, Nationalmuseum)

Ciao. Sì, ciao.

Così comincia e così finisce.

Sono una pazza, mi dico e me lo dico pensando a quant’altro ho perso. Non ho idea del lasciato, non voglio tenerne conto, so che è perso.

Eppure.

Una relazione quotidiana sul filo del ci sono-ci sei e ingordo il mio sguardo a frugare, mai pago. I soliti gesti, ormai, va da sé, solo talvolta più celeri.

Di quale soddisfazione si stia parlando non lo so più. L’andarmene ogni volta. Il suo stare. Il suono felpato delle mie scarpe da ginnastica, mai diverso, costantemente risolutivo a ogni incontro.

Chiara la luce, per non confondere, per non giocare con percezioni errate, per essere certa di quanto accade, e sempre buono il profumo. Da amare.

Eppure.

Di giorno in giorno m’interrogo: se potessi fare a meno di ciò che ha il sapore di un rito? Ma quale rito, è così e basta. Talvolta è la prova, la prova che cerco, intima, di riuscire a uscirne e cerco due occhi diversi, due mani migliori.

Legati.

Attimi sempre legati, al bisogno. E osservare il bisogno a pupille cattive, sviscerare il motivo fino al cuore: della dipendenza. Per scuotere ogni volta il capo, arresa. Che io scuoto il capo, lì ci sono le ragioni, lì i torti.

Oggi.

Rieccomi, con le solite vecchie speranze e il timore. Sempre presente. Rieccomi, con la lingua sulle labbra, ancora. E lo spazio chiaro. E una supplica: “Ciao, due mantovanine, grazie”.