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È primavera

immagine presa qui

– È il primo giorno di primavera, Annarita.
– È il primo giorno di primavera, Ferruccio.

E anche quest’anno il rito è compiuto. L’antica promessa pagana ha preso forma, riscaldando in loro la certezza di aver tenuto fede a qualcosa di soprannaturale.

Certo vi è stato qualche particolare fuori posto: le voci arrochite dal tempo, o dall’emozione di trovarsi finalmente di fronte; la forza e la pervasività di una canzone oggi ancor più viva nelle loro menti; l’esitazione (visibile nell’accento carico di sentimento appoggiato sul nome altrui) nel riconoscere la primigenia gerarchia di fede dopo decenni dedicati alle rispettive missioni di vita.

Nella canonica del paese che li ha cresciuti in una fanciullezza carica di ideali e promesse dirette al e dal futuro, riescono ora, trapassati gli anni, a guardarsi finalmente negli occhi.

Le mani di Ferruccio si rifugiano in quelle di Annarita, portando una primula e Annarita ha un piccolo cedimento al ginocchio destro. Ferruccio allunga la mano e l’avambraccio a sostegno del gomito di Annarita e lei veloce raggiunge con la mano libera la spalla di lui.

In un attimo si accorciano tutte le distanze. Non rimane che accennare un passo di valzer.

– Non mi hai detto cosa ci fai qui.
– Avevo espresso il desiderio di morire circondato dai canti dei nativi. Figurarsi! Sono stato strappato dalla Missione e riconsegnato al luogo di partenza. Ora sono un vecchio parroco che non potrà far troppi danni, dato il dolore per la privazione del sogno e l’età avanzata. E tu?
– Sto terminando la conta dei beni di famiglia al fine di lasciar l’eredità alle consorelle. Per convincermi della necessità del gesto, nell’ultimo decennio mi hanno spostata dall’educativo al gestionale. Una vecchia suora senza parenti non può che pensare alle giovani bisognose di mezzi e aiuti.

Si sorridono. I passi di danza continuano. La musica si consolida tra le menti. Lo sguardo complice fotografa un pensiero comune.

– È il primo giorno di primavera, Annarita.
– È il primo giorno di primavera, Ferruccio.

I Dik Dik – Il Primo Giorno Di Primavera (ORIGINAL 1969)

Musalogia!

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Rossa

Immagine da qui

Mesi, ti eri detto. Quanti mesi. Prima di.
E quel giorno era giunto docile, senza forzare la presa, semplicemente aspettando.
Poi avevi dovuto rivolgere una richiesta, diretta, decisa, ma senza enfasi e il gioco si era messo in moto: i tempi maturi, la situazione giusta e l’avevi lasciata venire. Sì. Fin sotto il tuo sguardo.

Ah, quanta bellezza! Vestita solo di coriacea resistenza, ancora, anche così, impudente e nuda.

La tua saliva bloccata intorno alla lingua. La curiosità sfrenata. Le mani immobili e timorose d’errori. Lo sguardo affamato, di una visione esplicita, per te, tutta per te.

Pronto, in fondo pronto ad averla, a toccarla. Pronto a scoprirne il sapore segreto. La sola idea a farti aprire le labbra, e a leccarle, di punta, con il brivido del bagnato accarezzato dall’aria. I denti a morsa, imprigionando il labbro inferiore, per trattenere un pensiero proibito.

Lei lì, come mai prima. Distesa, sicura in offerta. Quasi violenta su quel bianco e in attesa di un gesto, di un’intenzione.

E tu ancora assente, presente, consapevole d’essere senza quella speciale perizia per addentrarti. In lei. Intimamente.

Il coraggio forse, o l’audacia. Magari.

Facesti l’unica cosa sbagliata e l’aggredisti, incapace d’altro.
Al tocco della lama lei schizzò via. Dal piatto. Rossa di vergogna, per te.

– Le porto un’altra arogosta?

– No, non la merito.


Dua Lipa – We’re Good
I’m on an island
Even when you’re close
Can’t take the silence
I’d rather be alone
I think it’s pretty plain and simple
We gave it all we could
It’s time I wave goodbye from the window
Let’s end this like we should and say we’re good
We’re not meant to be like sleeping and cocaine
So let’s at least agree to go our separate ways
Not gonna judge you when you’re with somebody else
As long as you swear you won’t be pissed when I do it myself
Let’s end it like we should and say we’re good
No need to hide it
Go get what you want
This won’t be a burden if we both don’t hold a grudge
I think it’s pretty plain and simple
We gave it all we could
It’s time I wave goodbye from the window
Let’s end this like we should and say we’re good
We’re not meant to be like sleeping and cocaine
So let’s at least agree to go our separate ways
Not gonna judge you when you’re with somebody else
As long as you swear you won’t be pissed when I do it myself
Let’s end it like we should and say we’re good
Now you’re holding this against me
Like I knew you would
I’m trying my best to make this easy
So don’t give me that look, just say we’re good
We’re not meant to be like sleeping and cocaine
So let’s at least agree to go our separate ways
Not gonna judge you when you’re with somebody else
As long as you swear you won’t be pissed when I do it myself
Let’s end it like we should and say we’re good

Sono su un’isola
Anche quando sei vicino
Non sopporto il silenzio
Preferisco essere solo
Penso che sia abbastanza chiaro e semplice
Abbiamo dato tutto quello che potevamo
È il momento di salutare dalla finestra
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Non siamo fatti per essere come il sonno e la cocaina
Quindi almeno accettiamo di andare per la nostra strada
Non ti giudicherò quando sarai con qualcun altro
Finché giuri che non ti incazzerai quando lo farò io
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Non c’è bisogno di nasconderlo
Vai a prendere quello che vuoi
Questo non sarà un peso se entrambi non serbiamo rancore
Penso che sia abbastanza chiaro e semplice
Abbiamo dato tutto quello che potevamo
È il momento di salutare dalla finestra
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Non siamo fatti per essere come il sonno e la cocaina
Quindi almeno accettiamo di andare per la nostra strada
Non ti giudicherò quando sarai con qualcun altro
Finché giuri che non ti incazzerai quando lo farò io
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Ora me lo stai rinfacciando
Come sapevo che avresti fatto
Sto facendo del mio meglio per renderlo facile
Quindi non guardarmi così, dì solo che siamo a posto
Non siamo fatti per essere come il sonno e la cocaina
Quindi almeno accettiamo di andare per la nostra strada
Non ti giudicherò quando sarai con qualcun altro
Finché giuri che non ti incazzerai quando lo farò io
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
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Musalogia!

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Ava

Ava Gardner – immagine presa da Nonsolocinema

Questo raccontino mi è stato ispirato da due articoli:
Ava Gardner, esuberante e indomabile di Raffa;
Mogambo (1953) di Raffa (l’altro suo blog).

I processi propri dell’ispirazione sono un mistero, sì, ne convengo.

Buona lettura.


Ava

Giandomenico è Ava.
Da 35 anni.

L’occhio verde, l’arco sopracciliare, la fossetta al mento. Il naso no, è diverso.

Per lui è normale aver collezionato 35 anni di onorato lavoro notturno in un locale dedicato al travestitismo, come si diceva una volta.

Giandomenico è Ava di notte e un serio professionista di giorno, anche questo per lui è normale. Adesso è normale quasi per tutti, lo sdoganamento ha fatto molto. Troppo. Negli ultimi vent’anni la clientela è aumentata proprio per la sua notorietà in quanto Ava. Ne è stato lieto durante i primi anni.

«Ava, dove hai detto che ti sei fatta la ceretta l’ultima volta?»
«Non l’ho detto.»
«Che strano, ma da chi sei andata?»
«Da un’estetista qualsiasi. Devi firmare questo.»
«Ah, sì, scusa, ma un’estetista qualsiasi, che risposta è? Non è da te!»
«Domani portami tutte le fatture.»
«Ah, certo, ma per la pelle del viso, dico, per la pelle hai fatto qualcosa?»
«Mi rado con un rasoio a mano libera.»
«Ma dai! Fantastico!»
«Insegnamento paterno.»
«Stupendo!»
«Sì. Ciao, adesso ho un altro cliente.»
«Io non sono capace.»
«Succede. Ciao.»
«Questo gusto antico per le tradizioni, il passaggio generazionale di un gesto…»
«Infatti. A domani.»
«È un rimasuglio di mascolinità così pittoresco!»
«Pittoresco un par di palle! È UNA COSA PER UOMINI VERI!»
Lo urla esasperato con voce da baritono. Ecco, questo per Giandomenico non è normale.
Il cliente si zittisce, strabuzza gli occhi, le mani sulla bocca aperta in stupore, un flap-flap di ciglia e, con voce soprana, ribatte eccitato.
«Mi insegni?!»


(È il mio 500° articolo! cin-cin!)

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Il guscio d’ostrica

immagine da Wikipedia

Dopo l’ultimo articolo di ilnoire, mi è stato impossibile astenermi. Di seguito il guanto di sfida.

“L’anello di congiunzione tra passato e presente… il rimasuglio di quella stirpe che erano i dinosauri, uccelli che tutt’ora sono le creature (dopo i micro organismi e le zanzare) più resistenti e forti della Terra. Un paio di (innocui) uccelli di scogliera scacciano un orso affamato a colpi di becco… becco con cui spaccano il guscio delle ostriche. Ed ecco il là per un nuovo racconto (potresti scriverlo tu!).”

È così che ilnoire mi ha buttato una provocazione creativa. La raccolgo. (E qui la sua ripubblicazione! Grazie 🙂 )

Buona lettura!


Che quel becco abbia scacciato un orso, è ormai storia (ne porta ancora i segni).
Che quello stesso becco abbia aperto l’ostrica, invece, è storia in divenire.

Stremato dopo il lungo viaggio, la vista di cibo pronto su una barca a vela bialbero è un dono, il dono di benvenuto in questo luogo caldo.

E il dono è raccolto in un canestro metallico di facile accesso, quindi lo si ghermisce, lo si porta in alto e dall’alto lo si lascia cadere su una pietra: che s’apra. E poi ancora a picco, sulle valve esposte, a mangiarne.

Così, da resto, il guscio vuoto ha ora la sua storia, rotolando a riva, trovando alla fine un assetto non banale, incastrandosi tra cocci levigati e sassi appena baciati dall’acqua dolce.

«Serrate i ranghi! Serrate i ranghi!» Esclama l’uomo con gli auricolari e fermo sulla battigia.
L’ordine è indiscutibile ed è l’unico sensato per evitare il declino.
Dall’altro capo della conversazione si odono rumori di una serrata confusa; disordine; mezze frasi.
L’incombenza del declino agita l’uomo e gli provoca un reflusso esofageo, ma si piega, raccoglie la conchiglia vuota per ricevere conforto dal toccarne l’interno liscio. Sembra funzionare.

Raddrizza la schiena. Parte un altro ordine.
«Che non si dica! Che non si nomini la sconfitta
Invece eccola che si autoavvera: la perdita.
Ma non della partita, che chissà se di quella importa ancora. Ma di lei.

«Lei lei. Mia bella lei. Dove sei? Chi si avvicina alle tue labbra? Chi si riscalda il cuore?» Si domanda a voce bassa l’uomo. (Come se non lo sapesse, con tutti i pedoni perduti in piccoli passi. Ce n’è una lista: quello bellicapelli, quello senzacapelli, quello dallo sguardo sprezzante, quello dallo sguardo intenso…)
«Lei lei. Mia bella lei. Cosa fai? Cosa farai? Smetterai di giocare alla cazzo?» Si domanda con voce isterica l’uomo. (Giocatrice non certo scaltra, no, ha solo quel maledetto intuito e quei maledetti pedoni a regina, in una moltiplicazione infinita di mosse a spruzzo. A spruzzo, porcaputtana! Come si fa a giocare in modo così arrangiato e far cadere uno a uno i pezzi migliori?)

«Le sono rimasto sotto io!» Grida una torre.
«Ce l’ho! Ce l’ho!» Gli risponde il cavallo impagliato.
Silenti gli alfieri, suicidati quando troppo vicini.

«Che manica d’imbecilli! … Regiiiina!» E con moto di stizza lancia in acqua la conchiglia vuota.

La Regina non ama occuparsi del lavoro sporco, soprattutto se per garantire il successo al Re (eh no!) e la malavoglia la prende in un modo così indolente e sfacciato da provocarle l’arresto, a un passo da lei.

«No, no, noooooooo! Perché devo occuparmi di tutto io? Sempre! Pezzi di scacchiera malandati! Pezzi di scacchiera usata! Pezzi di sc-ACCO!» Urla l’uomo.

Una speranza! Finalmente una mossa buona! Ci voleva ingegno-astuzia-conoscenza da giocatore esperto e così non perderà, in ordine: la faccia, la speranza, lei.

Peccato, l’ordine dei 3 elementi è errato.

La conchiglia ritorna al piede, spinta dalla scia di un motoscafo. Lì, da vuoto, gli lambisce un vuoto.
Poi rotola in risacca.
(Ma questa è un’altra storia.)


IL BLOG CHIUDE PER FERIE.
SI RIAPRE A SETTEMBRE.
BUONE VACANZE A TUTTI!

(Io le trascorrerò con la mia piccola cabrio, non ancora verniciata.)

Вера Брежнева – Я не святая
Ты понимаешь, тут такое дело –
В двух словах не скажешь то, что накипелось давно.
Ты понимаешь, я сказать хотела –
Был то плюс, то минус, а теперь вдруг стало равно.
[Переход]: Не потому, что мне так кажется;
Не потому, что всё надоело мне –
А потому что не хочу каяться
И разбираться, кто виноват.
Я не могу в пол силы любить тебя
И потому мне снова покоя нет.
И потому, когда душа мается –
Я повторяю эти слова:
[Припев]: Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
[Куплет 2, Вера Брежнева]: Ты понимаешь, тут такое дело –
Просто утомилась, то взлетать, то падать на дно.
Ты понимаешь, я сказать хотела:
Был то плюс, то минус – а теперь вдруг стало равно.
[Переход]: Не потому, что мне так кажется;
Не потому, что всё надоело мне –
А потому что не хочу каяться
И разбираться, кто виноват.
Я не могу в пол силы любить тебя
И потому мне снова покоя нет.
И потому, когда душа мается –
Я повторяю эти слова:
[Припев]: Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
[Инструментал]
[Припев]: Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.

Vera Brezhneva – Non sono una santa
Vedi, il fatto è questo.
Non puoi dire in due parole quello che si è accumulato per così tanto tempo
Sai, stavo per dire.
C’era un più o un meno, e ora è tutto uguale.
[Transizione]: Non perché ne ho voglia;
Non è perché ne ho avuto abbastanza.
È perché non voglio pentirmi
E non voglio sapere di chi è la colpa.
Non posso amarti la metà di quanto dovrei
Ecco perché non posso riposare di nuovo.
Ed è per questo che quando la mia anima soffre
Ripeto queste parole:
[Coro]:
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non corrispondiamo.
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se ti tengo nelle mie mani.
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non siamo uguali
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se è nelle tue mani
[distico 2]:
Sai, il fatto è questo –
Sono solo stanco, ora vado su e ora vado giù.
Sai, volevo dire:
C’era un più, poi un meno – E ora è improvvisamente uguale.
[Transizione]:
Non perché ne ho voglia;
Non è perché sono annoiato
È perché non voglio pentirmi
E non voglio sapere di chi è la colpa.
Non posso amarti la metà di quanto dovrei
Ecco perché non posso riposare di nuovo.
Ed è per questo che quando la mia anima soffre
Ripeto queste parole:
[Coro]:
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non corrispondiamo.
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se ti tengo nelle mie mani.
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non siamo uguali
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se è nelle tue mani.
[Strumentale]
[Coro]:
Non sono una santa e conosco i miei peccati con certezza,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non corrispondiamo.
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se è nelle tue mani
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Dove credi di andare?

immagine presa da qui, ma elaborata da me

Dove credi di andare?

Domanda idiota. Non vedi? Sto per uscire dal portone, con tutte e due le borse colme e la voglia di essere altrove, via, lontano da quella voce allarmata. La macchina mi aspetta, c’è un uomo alla guida (un bell’uomo) e il fragore del traffico tra poco mi avrà a riempirlo. Inutile la presa del polso, il trattenermi impulsivo. Strattono. Sono già con un piede fuori e la luce del giorno colora la scarpa di amaranto acceso. Inutile togliermi la borsa dalle dita e appoggiarla a terra, sono davvero decisa e la riprendo con tutto ciò che contiene, non uno spillo di meno. Anche l’altra scarpa si è tinta alla luce e la mia schiena non è un messaggio sufficiente per capire di che natura siano le intenzioni? Infantile cercar di trattenere le spalle. Le scuoto a liberarmi di mani e pensieri e la portiera si apre e un braccio mi cinge la vita e il mio è un urletto d’esasperazione perché prima o poi si deve mollare, perché una donna che ti lascia indietro ha un motivo e il motivo è la macchina che si accende, la portiera aperta, l’uomo che sorride e… graffio. Sì, graffio la pelle scoperta e l’esclamazione sorpresa e dolente accompagna la mia libertà. Sii coraggioso, non ululare di un graffio, non sprecare parole indecenti e lasciami i capelli, cazzo! Mi volto, ci guardiamo. Lui è affranto, vedermi gli occhi gli crea un dolore e lascia. I capelli. La donna. La mattina di sole.
Salgo in macchina.

«40 foulard d’Hermes. Parti!»
«Bel colpo.»


Un contributo che ci sta a pennello (grazie Tony Pastel!)

The Smiths – Shoplifters Of The World Unite (Official Music Video)
Learn to love me /Assemble the ways /Now, today, tomorrow and always /My only weakness is a list of crime /My only weakness is… well, never mind, never mind
Oh, shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world
Hand it over – Hand it over – Hand it over
Learn to love me /And assemble the ways /Now, today, tomorrow, and always /My only weakness is a listed crime /But last night the plans of a future war /Was all I saw on Channel Four /Shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world
Hand it over – Hand it over – Hand it over
A heartless hand on my shoulder /A push – and it’s over /Alabaster crashes down
(Six months is a long time) /Tried living in the real world /Instead of a shell /But before I began… /I was bored before I even began / Shoplifters of the world /Unite and take over
Shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world /Take over.
“I taccheggiatori del mondo si uniscono”
Impara ad amarmi /Riunisci i modi /Ora, oggi, domani e sempre /La mia unica debolezza è una lista di crimini /La mia unica debolezza è… beh, non importa, non importa /Oh, taccheggiatori del mondo /Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Consegnatela -Passamela -Passamela
Impara ad amarmi /E riunisci i modi /Ora, oggi, domani e sempre /La mia unica debolezza è un crimine elencato /Ma ieri sera i piani di una guerra futura /Era tutto ciò che ho visto su Channel Four /I taccheggiatori del mondo /Unitevi e prendete il controllo
Taccheggiatori di tutto il mondo /Consegnatela – Consegnalo – Passamela
Una mano senza cuore sulla mia spalla /Una spinta – ed è finita /L’alabastro crolla /(Sei mesi è un tempo lungo) /Ho provato a vivere nel mondo reale /Invece di un guscio
Ma prima di iniziare… /Mi annoiavo prima ancora di iniziare /Taccheggiatori del mondo
Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Prendere il controllo.
Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)

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Cosa ho scritto un anno fa? Il racconto “Ping pong”.

PING PONG è un racconto un po’ furetto. Ovviamente ci sono palline, punti, giocatori e un prima, un dopo. Vado a giocare la mia partita (non esattamente quella qui descritta). Vediamo chi la vince.

A martedì!


Mulitplayer (immagine da qui)

«NiiiiHAaaaaa!»

Esce dalle labbra a mo’ d’acuto spasmo e rientra in risucchio verso la macina sciocca dei denti. Il collo issa un capo pesante d’ingombri e gli occhi si aprono piano in controllo. Nessuno.

«Alvì-na!»

Dall’ombra si palesa la donna; premura e azione animano un corpo stanco.

«Signora?»

«Le ciabatte.» la e è ancora nell’aria quando il collo cede all’estrema fatica, e molla: planf!

«State bene Signora?»

«Ma sì… ho sete.»

«Quella sete, Signora?»

«Mh.»

Alvina raccoglie l’abito a teli di georgette arancione ed esce dalla camera senza produrre un rumore.

«Ah…» suono troppo evanescente: si riprova «Aaaah»; non basta «AAAAAAAH!!!» bene, ora si ode. Una mano esce furetta allo scoperto, saggia il mento, la mobilità del naso e spiana la fronte di palmo. La gemella la raggiunge e coordinate massaggiano piano le tempie.

«Porca vacca che ciucca!»

Che ciucca? La bocca si apre, i ricordi li organizza così. Dunque: cena da Gianna (discreta); spostamento al cinema per caricare Patrizio (non guida); rientro da lei con Gianna e Patrizio per la partita di ping pong (settimanale). Punto.

Chi ha vinto? Lei, Gianna, Patrizio. Ok. Arriva Lenny (Lenny…). Il gioco non s’interrompe (e perché mai). Lenny arriccia il naso e in sala accende l’impianto hi fi (si distrae). Il gioco non s’interrompe. Lui si impegna preparando dei cocktails (come in uso). Il gioco non s’interrompe. Lenny vede bene di cadere portando da bere (porcazzozza!). Ha il punto.

Il punto a Lenny l’ha dato Onorina al pronto soccorso che, sul finir del turno, si è proposta per il 4° in coppia. Rientro. Lenny, dopo il punto, ha visto bene di non vincere altro e si è accasciato in poltrona col braccio pendulo.

«Lenny! La pallina è finita da te!» lui guarda la piccola e insignificante rompicazzo, abbandona la poltrona per andarle incontro e, con suola decisa, la schiaccia: crack! Al suono si affacciano i quattro con diverse modulazioni d’insulto. Punto a Lenny.

Gliel’ha dato Onorina, dopo che Gianna ha tirato furiosa la clutch gioiello, prendendogli il naso.

E dopo?

Dopo, il nostro imbastisce una lunga lamentela quasi esiziale, con accuse d’insipienza agli amici. Passaggio di mano in mano di un colmo bicchiere di whisky scozzese. Approdato alla salda stretta del tumefatto, la richiesta è, a lingua scoccata al palato, di aver compagnia. Gianna lo punzecchia, Onorina gli controlla il cucito, Patrizio si serve un cognac.

E poi? Non ricorda. Punto.

Si alza dal letto, nuda. Le duole una natica, palpeggia. Si sposta allo specchio a parete e si torce. Segno di denti.

«Merda!»

Doccia, intimo e un sospetto. Apre piano la porta e osserva la scena: sull’enorme divano firmato un intreccio carnoso a quattro corpi sogna, boccheggia, russa. Sorride, si veste in silenzio e piano esce, sorpassa i sopravvissuti agli amplessi e raggiunge la cucina. Alvina le serve il dovuto, le mostra una busta e le consegna il telefonino.

«Hanno chiamato cinque volte, Signora.»

«Grazie.»

Mangia con infinita lentezza e sul finire fuma la sigaretta mattutina. Qualche boccata e la spegne. Ricorda. Sorride. Adesso ha fatto il punto.

«Pensa tu ai ragazzi. Questa notte non torno. Resto in convento con le consorelle.»

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Il ladro di acqua pazza

(immagine da qui)

Mezzelune al bruzzo;

razza all’acqua pazza;

pizza con cozze;

mozzarella in carrozza.

Di contorno abbiamo le verdure in tazza (cotte o crude).

Questo è quanto.

No, niente pastasciutta. Il menù è deciso dal cuoco giorno per giorno: “procedo per suggestioni”, dice. Ieri sera, prima di andare a dormire, gli sono piaciute le doppie in zeta. Ogni suo desiderio è un ordine. No, non ciò che desidera Lei, ciò che desidera lui.

Sì, qui funziona così. Cosa vuole che le dica, ogni giorno ha un capriccio nuovo e qualcuno ci ha fatto passare dei guai, guai seri, intendo. Io annoto sempre, abituato a prendere le comande, annoto tutto, su questo blocchetto, vede?

No, non posso sedermi al tavolo, sono in servizio.

Ah, è interessato a ciò che ho scritto, sì, e cosa ordina nel frattempo? Razza all’acqua pazza e tazza di zucchine. Da bere? Davvero vuole gazzosa? 1 bicchiere di gaz-zo-sa. Sì, mi dica.

Guardi, secondo il mio modesto parere dovrebbe chiedere prima al cuoco, è roba sua, io sono solo un testimone. Ma, mi scusi, Lei di cosa si occupa? Ah, scrittore.

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Sangria

(immagine presa da qui)

Dov’è la sangria? L’ultima volta che l’ho vista era sul tavolo della cucina, nella brocca grande, profumata e con la frutta in galleggiamento e dio solo sa quanto tempo ci ho messo per pulire e tagliare tutta quella frutta, che non sono uno di quelli pratici in queste cose, ma la sangria la preparo io, da sempre, è il mio benvenuto speciale quando abbiamo ospiti, non che accada spesso, solo quando serve, quando c’è qualcosa da festeggiare e la mia sangria è un po’ un regalo con il quale accolgo chi deve condividere con il sottoscritto, con noi diciamo, un momento felice, anche se, a ben vedere, di momenti felici di recente non è che ce ne siano stati chissà quanti, uno, due, forse tre negli ultimi dieci mesi, pochini a ben vedere e a forza di vedere bene, mi sa che, mi sa che non la trovo, giuro non sono ancora rincoglionito del tutto, come dice lei, che non lo dice spesso, ma quando lo dice fa paura, sembra vero, credo sia per la bravura nello scandire le sillabe, rin co glio ni to, è maestosa in certe circostanze, la provoco apposta, mi piace tantissimo come articola, davvero, forse l’amo per questo, forse l’amo anche per come mi rovista dentro ogni volta che s’incazza (e quanto è sexy), ormai, lo posso dire? mi si rizza solo quando s’incazza, che detto così magari mi fa sembrar sulla china, ma non sono io sulla china, è lei a essere tremendamente sexy e, e niente, non c’è nemmeno qui la sangria, ero sicuro di averla messa qui sopra, in parte ai tramezzini mignon, non fatti da me quelli, non ho la manina chirurgica per tagliare alla perfezione i triangoli monoporzione, posso avere la mano allegra, musicale, ma chirurgica no, io sono solo l’addetto sangria, la mia famosissima sangria, la mitica, quella che tutti si ricordano, mai troppo bene in verità, quella che a vederla si arrossano le orecchie e qualche gota, quella che fa perdere la testa in letizia al secondo bicchiere e poi, da lì, via ogni freno, sciolte le lingue, caldo in corpo e poi, e poi succedon cose, come in ogni festino domestico che si rispetti, quando si scelgono con cura gli invitati, perché è importante sapere chi perderà la testa, chi le mutande, chi le inibizioni e chi la verginità riverginata ogni volta, e diciamolo, è sempre una bella prospettiva se ci si conosce bene o se non ci si conosce affatto, che a volte è pure meglio, ma è importante condividere lo spirito della serata ed essere disposti a berli quei due bicchieri della mia storica sangria, se no col cavolo che parte tutto, che inizia la festa, se non fosse per quella benedetta frutta, per zucchero e alcol, bisognerebbe ricorrere a un superalcolico e quello, si sa, può risultare pesante, infastidire lo stomaco, lo sappiamo, ormai siamo tutti vaccinati agli eccessi, invece alla sangria non è vaccinato nessuno, fa gioia, spensieratezza, è solo vino e frutta e qualche additivo mio, personale, spezie, altro zucchero e, e non la trovo però, la brocca che ho preparato un paio di ore fa qui non c’è, a ben vedere non ci sono nemmeno i tramezzini, la festa, e non ci sono loro; e non c’è lei…
troppe feste sangria: rin co glio ni to.

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Piccolo racconto neozelandese

È ORA DI CONFRONTARMI CON UN ALTRO LUOGO MITICO: LA NUOVA ZELANDA!

Buona lettura!


Sottotitolo: soliloquio

(Immagine presa da qui)

Come va la scrittura?
(Bene.)
Fammi un po’ leggere:
“Il Pifferaio Magico, eliminati tutti i riferimenti culturali, si svegliò senza peso. Leggero, etereo, librante. Andò a sbattere contro il muro dei ricordi, si fece un ematoma grosso così e decise che suonare lo avrebbe aiutato sia a liberarsi dal dolore dell’amata ita, sia dal dolore alla fronte.”
(Che c’è?)
No, pensavo. Chi è questo?
(Subito devi arrivare alla conclusione che debba essere qualcuno. Non è mai così, lo sai da te, non mi ispiro a Musi.)
Lo dici sempre, anche con il Piccolo racconto andino… chi è il neozelandese?
(Un personaggio di fantasia!)
Ti piace molto?
(È ardito.)
E perché sbatte contro il muro? Cosa hai combinato questa volta?
(Ma niente, dai, le solite cose.)
Quali solite cose?
(Ma sì, le solite incomprensioni.)
Incomprensioni?
(Superficialità.)
Tu?
(Ma ti pare? Lui!)
Un altro?
(Eh…)
E che ha fatto?
(Bionda.)
Ti ha dato della bionda?
(E mi ha chiamata Giulia.)
Porco!
(Artista.)

My Heart Will Go On – Recorder By Candlelight by Matt Mulholland

Ringrazio Nina per la felice scoperta del Muso.

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Piccolo racconto andino

ECCOMI QUI, NEL SOLCO DELLA TRADIZIONE, ULTIMA TRA ILLUSTRISSIMI, SENZA ESSERE TALE. MI CONFRONTO CON LE ANDE!

Buona lettura!

Sottotitolo: soliloquio

(immagine presa da qui)

È andino.
(Sì).
È un piccolo racconto andino.
(Sì).
Ci vogliono le Ande.
(Uff).
L’hai appena scritto.
(Bene).
Hai presente la catena montuosa?
(Non ne ho voglia).
Ma come!
(Eh).
Non è difficile, piazzaci qualcosa da scoprire, lì.
(No).
No?
(Non ne ho voglia).
Mettici quacluno almeno!
(Sì, figurati, per poi lasciarmi trascinare chissà dove).
Là!
(Appunto, ci sei andata tu sulle Ande?).
E che vuol dire? E Salgari? Ma che dico Salgari, De Amicis!
(A parte che De Amicis da quelle parti c’è stato. Comunque, grossa fatica).
Allora cosa vuoi fare?
(Cancello “andino”).
No! È così musicale!
(Ecco, la musica, adesso ascolto un po’ di musica.)
Prima chiudi il racconto.
(Non ci penso proprio).
Non vedo altre forme di distrazione all’orizzonte.
(Lo dici tu!).
Cosa stai facendo?
(Ginnastica).
Ma quando mai!
(Adesso. Mi preparo per andare sulle Ande).
Ma quando mai?
(Ipocrita).

Dieci minuti dopo

L’andino ti chiama.
(Mh).
Balla tutto e fa smorfie ammiccanti.
(Mh).
È pieno di sentimento.
(Certo).
Accarezza i cespugli, cammina scalzo e si strofina contro l’albero.
(Uff).
É corredato da oggetti vagamente allusivi.
(Non avevo dubbi).
Si è lavato i capelli con il tuo shampoo preferito.
(Bastardo…).
È triste.
(Io non lo volevo scrivere il racconto andino!)

Leo Rojas – El Condor Pasa
Versione in quechua
“Yaw kuntur llaqtay urqupi tiyaq
maymantam qawamuwachkanki,
kuntur, kuntur
apallaway llaqtanchikman, wasinchikman
chay chiri urqupi, kutiytam munani,
kuntur, kuntur.
Qusqu llaqtapim plazachallanpim
suyaykamullaway,
Machu Piqchupi Wayna Piqchupi
purikunanchikpaq”
Versione in italiano
Oh maestoso Condor delle Ande
portami a casa mia, sulle Ande
Oh Condor
Voglio tornare alla mia amata terra e vivere
con i miei fratelli Inca, che è ciò che più rimpiango
Oh Condor
A Cuzco, nella piazza principale
aspettami
affinché sul Machu Picchu e sull’Huayna Picchu
andremo a passeggiare.
(testo e traduzione da qui)

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Seamen

Sono molto contenta: ringrazio DiDì per le bellissime fotografie e per l’individuazione del titolo.

Questa narrazione per immagini era perfetta. Poi ho aggiunto il testo.

Buona visione.


Eccoti.
Onda bell’Onda. Mia bella, mia carezza cazzara… he he!
Oh che permalosa!
Bella.
Bella-bella. La schiuma salata in faccia mi schiaffi. E mi strappi. Che forza hai, eh? Mia dolce, che porti? Che prendi?
Io sto bene, lo sai, si resiste. Si resiste bene. Sì.
Ma aspettami. Aspetta che arrivo.

Dunque, vediamo. Guarda cosa hai combinato l’ultima volta. Mi hai rotto il secchio, he he! Velocità avrei dovuto avere. Giocare con te diventa come una volta: difficile.
Mia bella. Sei vigorosa oggi, sfacciata. Da un po’ non ti facevi così insolente.
Tra poco, eh? Ci troviamo al solito posto.

Sì, è nuova, ti piace? Ci voleva un pezzo fresco-fresco. L’altra l’hai amputata, ricordi? Mi è rimasta in mano solo la cima, il resto te lo sei preso tu.
Hai ragione, mai un dono, un omaggio, devi sempre far da sola. Onda mia bella. He he.
Cosa dici? Il caschetto? Normative. Non te l’aspettavi vero? Mi faccio bello anch’io sai? Ah, come sono elegante con quello in testa, sembro un edile… ok, non temere, niente edili all’orizzonte. Scherzavo. Un po’. Scherzavo un po’.

Mia bella. Ridiamo insieme? Vorrei ridessimo insieme, come una volta. Come quando stavi per rapirmi il braccio e solo ridere insieme ti ha convinta a ridarmelo. Lo sai che ti ho tatuata sulla spalla? Guarda, sei tu. E lui è tuo.
Io sono tuo. Bella che sei… Te ne ho chieste di cose eh? Te ne ho chieste sì. Mai questo: mi vuoi?

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Bianco horrorroh

(CLICCANDO SULL’IMMAGINE SI GIUNGE ALLA RADICE DI TUTTOimmagine presa qui)

Puntata precedente

Agglutinato alle zavorre e al di qua della porta, dicevamo.

Tremante, si sierò addosso.
Pianse, ingoiando lattosio amaro.
Freddo, caldo, rischio di caglio e un lieve massaggio all’arto mancante.

Poi si alzò alle gioie del mondo. Mise lo stato d’animo consono e si prese a cuore. Il pensiero ondeggiò per atterrare a piedi uniti su un concetto chiaro, denso, come lui: matrice orrorifica non piange sul latte versato. Gli bastò.

Ancora lento il passo, umido l’intento indagativo d’uno spazio ambiguo. Si sentì come parte e tutto. Accolse ciò che più non era: Candido fuggito nelle fauci del mostro; Verginità perduta.
Chissà, forse un Omero… Omero? Chi cazzo è Omero?

Ascoltò le parole e capì, per uno strano balzo del pensare, d’essere eroe narrato e di dover proseguire il viaggio. Vagò incerto, ma con postura regale, che tanto chiede la vita al viaggiatore e tanto offre nel profondo incespicare: un palo.

Se davanti al muro fu muta, ora l’intelligenza si mostrò garrula e gridò: “Le zavorre da testare in aderenza al legno!”. Ecco il moto a luogo e con esso la prova. Il salire. La forza e la gestione d’insieme.

Fatica. Arrivo. E nell’attimo si librò in buffo tuffo, prendendo forma in vitrea dimora.

Scoprì, nella contemplazione del bordo, ciò che divenne oggetto di infinite trattazioni, pronunciamenti e studi, immagini e immaginazioni, di scuse e di prego, di gioie poste e malriposte, di titoli, neretti, grassetti e sottolineature, di tranquillità erose, di musiche d’accompagnamento e di caldo e peloso sollievo: la comfort zone.

Fine (per ora)


CONTRIBUTI EXTRA AL TESTO

E quando finalmente posò la sua ormai molliccia zavorra nel taumaturgico contenitore, erse sguardo per un’ultima e sola volta a quella propaggine grezza che tanto gli costò in fatica e divisioni liquide, e con una sola e potente voce gridò al suo indirizzo: “A stronzo!“, magnificendosi poi compiaciuto per ciò che aveva fatto riposando finalmente nella comfort zone.

Adriano

…. prendendo forma in vitrea dimora,(( trasparente, luminosa quasi riflettente ed ebbe per un breve istante coscienza di sè, viaggiatore ondulante refrattario ai confini desidero di espandersi, si allargò e)) scoprì, nella contempalzione ….

Nonna Pitilla

Un momento! Fermi tutti! Su questo blog sta nascendo un nuovo genere letterario!

Horroble? Una specie di crasi fra ‘horror’ e ‘fable’?

Antartica
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Bianco horrorro

(CLICCANDO SULL’IMMAGINE SI GIUNGE ALLA RADICE DI TUTTOimmagine presa qui)

Puntata precedente

Un po’ di qua e un po’ di là, si diceva.
Scoperto il linguaggio, avvertì che nell’imminenza non gli sarebbe stato d’aiuto: parlare a chi, perché, per cosa.
Cantare forse? Provò.

Il canto del latte è musica baciata dal sublime. In età adulta.
Espressa in tonalità oblunghe, tocca la culla gastrica, rievocando infiniti ricordi.
Di vitello.

endorsum

La posizione non migliorò. Ricorse al pensiero.
Essendo questo ancora in modalità “Mah”, non servì ad alcunché.

Restò così, con le zavorre immobili dall’altra parte della soglia.
Stanco del conflitto, si allargò supino e comodo a osservare il nuovo ambiente, con qualche organo di senso già in moto e vigile. Presto si percepì inquieto. Sempre un po’ di più. Fino a distinguere nei pressi una nuova presenza viva. Vicina. Vicinissima.

Dalla massa scura uscì una propaggine grezza che gli staccò violenta in tre colpi la parte destra del corpo. Si ritirò con flusso celere, aggregandosi alle zavorre al di là della soglia. La propaggine grezza tentò di raggiungerlo. Invano. Un miagolio fece cessare l’incontro.

E sì, scoprì la paura (che mette gambe a vivi e a morti).

continua…

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Bianco horrorr

(immagine presa qui)

Il latte si diceva. E della sua posizione. Un bianco horror.

Quando si rialzò, prese una manciata di briciole da terra e le compattò a zavorra, per darsi un peso. Per darsi un tono alzò il mento e allargò le spalle. Quindi s’incamminò.

Nel buio la perdita di colore, nel silenzio un moto impercettibile di grazia. O così gli sembrò, sentendosi finalmente libero tra la terra e il cielo. Tra piastrelle e soffitto.

Avanzò disegnando onde umide e attrezzandosi man mano agli imprevisti. Tipo il muro. Oh bene, quale intelligenza assegnarsi? Quale forma di pensiero? Mah.

Un’aria fredda gli rovistò la guancia. Scansare il fastidioso far fronte al continuo rimodellamento dei tratti o andarle incontro? La incontrò, fin dove la sua forza fu più sottile e tagliente. Le resistette e s’infilò sotto la porta, in passaggio.

Rapido e veloce, per non disperdersi in gocce, fu presto là, di là, e ritirò in fretta le zavor… le zavorr… cazzo le zavorre!

Scoprì il linguaggio.

continua…

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La paura

Mr. FEAR – SIAMÉS
(Directed and Animated by RUDO Co. http://www.rudocompany.com)

PRIMA DI LASCIARE QUESTE LANDE DESOLATE, L’EX-SOCIO ALESSANDRO GIANESINI MI HA FATTO DONO DI ALCUNI RACCONTI RIGUARDANTI CIASCUNO UN’EMOZIONE. LI CONSIDERO DEI REGALONI. ECCONE UN ALTRO PARTICOLARMENTE CENTRATO… (i puntini di sospensione sono una citazione che gli devo)

PER L’OCCASIONE NON USERÒ UNA SEMPLICE IMMAGINE, MA UNA CANZONE CON UN’ANIMAZIONE STUPENDA.

(GRAZIE ALE!)

Buona lettura!


«No, non spegnete la luce, vi prego…» gratto con le unghie contro la porta chiusa, ma anche lo spiraglio che c’era sotto scompare: stop, finito, buio totale.

Mi metto con la schiena contro il legno, che improvvisamente è freddo, ostile. Il formicolio sale dalle dita e scorrere attraverso le mani fino ai gomiti: mi gratto, ma non si ferma, e un sibilo spezza il silenzioso nero che mi avvolge e mi striscia addosso con le sue viscide squame.

Ho gli occhi sbarrati, ma nessuna luce mi permette di trafiggere quella nebbia bituminosa che fluttua davanti a me, attorno a me, occultandomi il mondo… occultandomi al mondo…

Mi si mozza il respiro riempiendomi i polmoni di un gelido fluido ribollente.

Era una risata quella? «Ehi, c’è qualcuno?» giro di scatto la testa, ma è tutto nero, tutto lontano dai miei sensi amputati.

Tutto tace, ma il vuoto è rotto dalla risata che mi gira intorno, da un orecchi all’altro, carezzandomi con l’alito graffiante del suo rauco ripetersi.

Agito le mani, ma i fendenti delle mie dita graffiano solo l’aria, che si fa intensamente pungente e mi trafigge la pelle. Torno a grattarmi, i palmi, i dorsi delle amni e sento che tutto si lacera e anche quel tepore di sangue che ne esce, si congela, evaporando via dal mio corpo.

No, no: non urlerò come ieri, non lo farò di nuovo: quell’ago mi ha fatto vivere un sogno che… ma io ci sono già dentro, non è così?

Ancora quella voce, così carezzevolmente spietata che mi lacera i timpani col suo sussurro di piacevole morte: mi metto in posizione fetale cacciando la testa tra le ginocchia, ma la voce sembra ancor più distinta e mi attira ancor di più lontano dalla luce, dove il pensiero non riesce a penetrare il velo di oscurità che l’ha intrappolato. Ansimo a bocca aperta e l’aria non ne vuol sapere di riempire il mio corpo.

Non ce la faccio più, ora urlo… ora urlo… ora urlo!

Sento il sangue colarmi dall’angolo della bocca e scorrermi in gola, refluo di tepore già destinato a estinguersi.

Ogni respiro s’affanna a inseguir quello prima, ma la risata cresce di volume e ora sento il suo odore davanti a me e i suoi occhi mi fissano bui e profondi come la notte che mi tormenta col suo scherno.

Serro le palpebre, ma queste mi si ribellano e gli occhi scrutano quel che non si vede, quel che mi aggira e mi perseguita: sento il suo tocco sul corpo, tra i capelli e i suoi passi silenziosi mi aggirano in una danza macabramente rituale e dal sapore di fine.

Il sale delle lacrime si mischia al sentore ferroso del sangue sulle mie labbra e la lingua ferita ne raccoglie gli umori per ricacciarli nel corpo a cui appartengono.

Il cuore smette di martellare, la voce stavolta è vera e la porta si apre sul corridoio abbagliante.

«Ti sei pisciato addosso anche stanotte, stronzo?» il secondino mi assesta due calci nei reni, ma il mio corpo ancora tremante non si muove dalla posizione. La luce mi lacera le pupille, ma ora respiro, vivo.

Il sangue, le lacrime, il piscio… di quello poco m’importa.

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Atlas-A

GIOCO DI RIMBALZO PER RIPROPORRE DAL SITO WORLDOFSPHAERA.COM L’OTTIMO RACCONTO DI MOONRAYLIGHT.
PARE NON SIA STATO SEMPLICE CONVINCERLA A SCRIVERLO… CHI VI È RIUSCITO HA TUTTA LA NOSTRA GRATITUDINE.
BUONA LETTURA!

Hades’ Star –Warp Lane Hub by GabrielBStiernstrom (deviantart)

“Ferma, devi restare assolutamente immobile.” il raggio bluastro era gelido più del ghiaccio e lei doveva sforzarsi di non contrarre i muscoli ad ogni passaggio.
“Ci siamo quasi, l’ultima scansione, poi è fatta.”
Per tutta la vita il suo difetto di fabbrica l’aveva emarginata.
Adesso quel difetto era diventato di interesse Ghe-politico, addirittura. Ironico, no?
Si strinse nelle braccia sfregando il maglione, per richiamare un po’ di calore nel corpo.
“Ecco qua” Gala le consegnò una lastra blu-violacea grande quanto una noce.
“Distruggerò tutto il macchinario e tu, tu non perderla e soprattutto non fartela fregare. Sai cosa…”
“Si lo so, lo so benissimo.” rispose Khary in tono sbrigativo.
“Domani verso l’ora di pranzo.”
“Ok.”
Khary si tirò su il cappuccio e corse veloce sotto la pioggia, saltò al volo sulla navetta e scese con un balzo dieci minuti dopo, senza mai alzare lo sguardo.
Soffiò nella toppa, la porta si aprì e appena entrata i vestiti scivolarono sul pavimento. Una bella doccia calda, sì!
Mentre si asciugava indugiò con lo sguardo sul riflesso nello specchio.
Quando era stata l’ultima volta che si era guardata? E quando si era veramente vista?
Gli occhi seguirono le chiazze verdastre che disseminavano il suo corpo in un ricamo senza senso.
Quanto dolore, quanta solitudine a causa loro. Eppure, erano un dono, un dono scoperto tardi e che forse avrebbe preferito non scoprire mai.
Seguendo le chiazze sul corpo di Khary con quel puntatore glaciale, si otteneva la mappa tridimensionale dell’accesso X-J che conduceva al portale di Atlas-A: l’origine di tutto, e dove tutto avrebbe avuto fine.
Ad Atlas-A si generava il Destino dei Mondi: ecco perché nessuno doveva sapere dove fosse.
Gala aveva rivelato a Khary delle sue nobili origini Atlassiane e del suo ripudio, quando fu profetizzato che la bambina greenspot avrebbe aiutato i Mondi e cambiato per sempre il Sacro Finale.
Da allora la sua vita ed il suo destino erano cambiati completamente.

L’orologio scoccò mezzogiorno. Gala era già lì, in attesa. Giocherellava con i capelli fingendo di guardare i mosaici, per non dare nell’occhio.
“Eccomi, scusa ma stavolta non è stato facile seminarli.”
“Le spie di Mahov sono sempre più scaltre, ma noi lo siamo di più Greeenspot, puoi esserne certa.”
Salirono sulla navicella, Gala fece cenno e Khary inserì la lastra.
Si sentì un forte tremore, poi un sibilo ed ecco: davanti a loro l’imponente cascata di Thalyeniyt, lo sbarramento del portale di Atlas-A.
Si stavano ancora stabilizzando quando il lobo sinistro di Khary si illuminò.
“Klod? Ma come…”
“Lo sai che ti sento sempre arrivare molto prima del salto lungo le greenlines, sciocchina.”
“Sì, lo so, ma ne resto ancora stupita, ogni volta.”
“Avanti, vi ho liberato il canale.”
La navicella scivolò via veloce e alla fine del canale rallentò la corsa, per atterrare dolcemente su di un prato cremisi.
Khary premette il pulsante di apertura e la porta si scostò di lato. Klod era lì, la guardò. E sorrise.
Scese le scalette in un lampo e gli corse incontro.
“Khary, lo sai.” tuono’ Gala dalla navicella.
“Sì, lo so, lo so molto meglio di te.”
Klod estrasse una tessera dalla tasca “Ecco, questo è quanto hanno deciso per i prossimi tre mesi riguardo B-Nyja, Y-Ka e Epsylon-S.”
“Oddio, no! Io… Cavolo, stavolta non so se riuscirò a mutare i flussi.”
“Lo so, gli investimenti sul potenziamento delle Determinazioni hanno dato risultati notevoli. Ma tu sei più tosta di qualsiasi scienziato, perche’ tu hai il Dono.”
“Klod…”
“Shhh. Ce la puoi fare e ce la farai, io lo so.”
“Sbrigatevi: tre minuti.”  Gala controllava l’orologio picchiettando il piede contro la scaletta.
Khary cinse Klod in un profondo, avvolgente abbraccio. Lui sfiorò la chiazza verde che le tagliava trasversalmente il viso e lei si ritrasse cercando di sottrarsi al suo tocco.
“Perché? Lo sai che a me piaci così come sei. Così sei tu e tu soltanto.”
“Lo sai che adesso siamo già a tre minuti? Lo sai che se resti a contatto con me e le mie chiazze oltre tre minuti, morirai?”
“Lo so. Tu invece sembra non lo sappia.”
“Che cosa?”
“Che non mi importa.”
“Folle, sei uno stupido folle!”
“Ascolta, ragazzina…”
“Khary!” Gala lanciò un urlo di terrore.

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moonraylight

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Speciosità dei rapporti

(immagine da qui)

«Non ti vedo, dove sei?»

«Sono qui, raggiungimi!»

«Ma non ti vedo…»

«Dai!»

La mano s’immerge in un latte nero. Cercando il corpo morbido ne teme l’impatto. La stanza s’illumina e tutto cambia colore. Una voce di donna chiede.

«Cosa stai facendo Amore?»

«Cerco la mozzarella mamma.»

«Ma ti ho sentito parlare.»

«Sì, parlavo con lei.»

«Tesoro, lo sai che poi non riesci a mangiarla.»

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Stai da me questa notte?

“Stai da me questa notte?”. Sì.

Non è la prima volta che ti svegli nel suo letto. E che lo trovi vuoto. Vuoto.

È la prima volta che ti svegli nel suo letto e decidi di portarti via le lenzuola. Via le lenzuola. Via il tuo odore. Riprendersi il dato. Con un sacco.

Allora ti guardi un po’ in giro. Via tutto ciò che ha avuto l’onore di un tuo tocco. Nobilitare il nulla. In tre bauli.

Via tutto ciò di cui hai consigliato l’acquisto. Il tuo gusto per il suo abitare. Quattro borsine.

Via anche ciò che ti piace, tutto ciò che ti è sempre piaciuto di quell’appartamento. Il ratto di uno stimolo estetico. Tre scatoloni.

Quanti i ricordi degli amori che ti hanno preceduta, ma tu sei l’ultimo amore, quello significativo, hai già strappato le facce alle altre, le hai già annegate nella massa di ricordi nuovi e indelebili, portarti via le loro minute pendenze non offenderà nessuno. Lo scalpo. Un sacco nero.

C’era qualcosa che non andava. Via le fotografie. Nella mia immagine la mia anima. Una cartellina.

Cosa non avete fatto sul tavolo, sul tappeto, sul divano. Frammenti di vita. Via.

Certo, qualcosa non andava.

“Sì, porti via anche questo” hai detto all’uomo dei traslochi “e dove portiamo tutto?”, eh, e dove portano tutto? “Al mercatino dell’usato”, “Lei abita lì?”, no, non abito lì.

Poi sei uscita sul balcone, hai dato un colpetto con il piede alla gamba dell’uomo seduto sulla panchina liberty. Il corpo si è lasciato cadere sul fianco. Hai controllato che non respirasse e sei uscita seguendo un TIR.

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Ieri

Ieri l’ha fatto.

Marte, il mio pianeta, è finalmente venuto a trovarmi.

Non pratico molto le evenienze intorno agli spostamenti dei pianeti, ma devo dire che arrivando ha portato doni.

Di più:

3 REGALONI!!!


Allegropessimista, l’altro ieri, approfittando di una mia errata lettura di uno dei suoi magnifici aforismi, ha buttato lì un “Bella la metto a nome tuo, dammene altre 3 e la battuta del giorno è tua”. Non frequento il genere (aforismi), ma la cosa mi ha divertita. Ecco il primo esperimento e il REGALONE di Allegro è, al di là della visibilità, l’avermi invogliata a sperimentare qualcosa di nuovo.
(Grazie.)

Battuta del giorno endorsum

unallegropessimista umorismo 28 giugno 2020 1 Minute

Endorsum per gli amici Endy scrittrice aforista e altro per sopravvivere. bravissima il genere è l’ermetico bisogna pensarci un po, un po, un po….. comunque pensare non fa male.

L’uomo è….. ecco la donna è……ecco.

L’alito non fa il monaco, ma aiuta.

Capita che il soliloquio esca dalla porta, per incontrare simili al bar.

Se un giovane ragazzo belloccio e benportante ti saluta per strada dicendoti ” ciao bella” è chiaro che vuole i tuoi soldi; se tu gli rispondi “ciao bello” è chiaro che vuoi la percentuale.

Variazione alla battuta di ieri

Il cretino ha le sue ragioni che l’assonnato non conosce.

Mi raccomando tante stelline.


FA minore, generosamente, ha sollevato dal gruppetto un aforisma in particolare e gli ha dato un abito bellissimo.
(Grazie FA minore!)

Il monaco

di Endorsum

L’alito non fa il monaco, ma aiuta.

https://endorsum.wordpress.com/

da un post di unallegropessimista
https://wordpress.com/read/blogs/150551507/posts/6509#comment-10266

P. S. Grazie alla caustica Lu per la dritta sulle mentine.


Sempre ieri Alessandria today ha ripubblicato il mio racconto LEI SULLE TUE DITA
(Grazie!)