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Prossimamente

– Embè?

– Eh…

– Ah bé!

– Eh!

– Ma quando?

– Poco pochello.

– Ecco.

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È primavera

immagine presa qui

– È il primo giorno di primavera, Annarita.
– È il primo giorno di primavera, Ferruccio.

E anche quest’anno il rito è compiuto. L’antica promessa pagana ha preso forma, riscaldando in loro la certezza di aver tenuto fede a qualcosa di soprannaturale.

Certo vi è stato qualche particolare fuori posto: le voci arrochite dal tempo, o dall’emozione di trovarsi finalmente di fronte; la forza e la pervasività di una canzone oggi ancor più viva nelle loro menti; l’esitazione (visibile nell’accento carico di sentimento appoggiato sul nome altrui) nel riconoscere la primigenia gerarchia di fede dopo decenni dedicati alle rispettive missioni di vita.

Nella canonica del paese che li ha cresciuti in una fanciullezza carica di ideali e promesse dirette al e dal futuro, riescono ora, trapassati gli anni, a guardarsi finalmente negli occhi.

Le mani di Ferruccio si rifugiano in quelle di Annarita, portando una primula e Annarita ha un piccolo cedimento al ginocchio destro. Ferruccio allunga la mano e l’avambraccio a sostegno del gomito di Annarita e lei veloce raggiunge con la mano libera la spalla di lui.

In un attimo si accorciano tutte le distanze. Non rimane che accennare un passo di valzer.

– Non mi hai detto cosa ci fai qui.
– Avevo espresso il desiderio di morire circondato dai canti dei nativi. Figurarsi! Sono stato strappato dalla Missione e riconsegnato al luogo di partenza. Ora sono un vecchio parroco che non potrà far troppi danni, dato il dolore per la privazione del sogno e l’età avanzata. E tu?
– Sto terminando la conta dei beni di famiglia al fine di lasciar l’eredità alle consorelle. Per convincermi della necessità del gesto, nell’ultimo decennio mi hanno spostata dall’educativo al gestionale. Una vecchia suora senza parenti non può che pensare alle giovani bisognose di mezzi e aiuti.

Si sorridono. I passi di danza continuano. La musica si consolida tra le menti. Lo sguardo complice fotografa un pensiero comune.

– È il primo giorno di primavera, Annarita.
– È il primo giorno di primavera, Ferruccio.

I Dik Dik – Il Primo Giorno Di Primavera (ORIGINAL 1969)

Musalogia!

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Giornata mondiale

immagine da qui

Oggi è un giorno triste. Adriano ha chiuso il blog. Era stufo e stufo e stufo. Bon direte voi, ma io son triste e ho sentito di dover fare una cosa importante per ricordare questo giorno.

Ho così deciso di istituire la:

GIORNATA MONDIALE DELLA CHIUSURA DEL BLOG,
il 2 dicembre!

(Non dimenticate questo magnifico sito: GIORNATAMONDIALE.IT)

Come ho già detto altrove, a me le giornate mondiali non piacciono molto, alzano il polverone, fanno girare qualche cifra interessante, mettono in evidenza un problema, dettano ai Media l’argomento da trattare, alcune personalità di caratura istituzionale affermano impegno e il giorno seguente è la giornata mondiale degli animali da cortile.

Ma per Adriano uno strappo è d’obbligo e così, in questo giorno commemorativo, vorrei ricordarlo con la nostra prima collaborazione, di un esatto anno fa(lacrimuccia)

Orfani ti diciamo: adottac… (no, scusate, era un altro appello) CI MANCHI!


Autori: endorsum e Adriano

GM (giornata mondiale)

https://www.tp24.it/immagini_articoli/31-01-2016/1454256591-0-giornata-mondiale-delle-zone-umide-martedi-un-convegno-al-centro-polivalente-di-petrosino.jpg
c’è tutto in questa immagine: yin e yang (da qui)

Il raccontino narra della nascita delle “Giornate Mondiali” (o Internazionali, a piacere).

È a 4 mani, le mie due e le due mani di ADRIANO.

Trovaticisi sul sentiero del fastidio fisico nei confronti di questa nobile istituzione, abbiamo deciso di rendere almeno piacevole la percorrenza.

Buona lettura!

P.S.: le giornate mondiali nominate sono tutte realmente esistenti, tranne due: quali?


Da quando esiste il mondo, lo scorrere del tempo è stato sempre scandito dalle giornate. Queste, di giorno in giorno, di epoche in epoche, di lustri e lustrini vari, hanno segnato la vita di qualunque essere presente sul pianeta, anche dei sassi. Esse sono sempre passate uguali e placide, ma negli ultimi anni si è sentito il bisogno quasi fisiologico di prendere alcune di queste e di renderle speciali per ricordare fatti, avvenimenti, curiosità, nomi, città e cose da far conoscere a tutto il mondo. Sono nate così le giornate mondiali.

Enrichetta, detta Richy, pianta nella neve la tavola fucsia da snowboard e con i denti strappa la fascetta con velcro del guanto, spoglia la mano e con dita irrigidite dallo sbalzo termico tira la zip della tasca fluorescente sul petto: estrae il cellulare. Chi caspita la disturba prima di una discesa? L’ONU. Richy risponde alla telefonata e sì, da adesso è in missione per conto dell’ONU.  

Richy ascolta la voce misteriosa che parla dall’altra parte del telefono con una inaspettata parlantina, e sta lì lì per tirarle un accidente coi controfiocchi che ecco la voce la blocca subito dicendole che non può dire nulla poiché oggi è la Giornata Mondiale della prosopopea e quindi deve sentire e basta. Richy ingoia il rospo chiedendosi quando sarà la Giornata Mondiale delle maledizioni al telefono, e dopo aver salutato mestamente la voce dell’ONU con un: “Obbedisco!”, si rimette il cellulare nella tasca fluorescente a norma di legge, chiude la zip con tutto il guanto e, noncurante di quanto stava succedendo, ridotta ormai a un blocco di ghiaccio con le gambe, si avvia a scendere la pista come meglio può, pronta per avventurarsi in quello che è un ricco calendario di giornate da rispettare.  

Obbedienza.
Si obbedisce per timore, per indolenza spirituale, per mancanza di iniziativa, per economia energetica, per profondissima credenza. Aggiungerne si può, ma si obbedisce. Obbedendo, Richy avrebbe creato nuove parole d’ordine per altre innumerevoli obbedienze sane-sante-savie, ma quali? La parete del salotto decorata con le 15 tavole appese. La parete del salotto decorata con le 15 tavole appese e il profumo di vin brulé nell’aria. La parete del salotto decorata con le 15 tavole appese e il profumo di vin brulé nell’aria e: una visione biblica.   Dal fumo sprigionato dal vin brulé si ode una voce come di tuono dal tono solenne.

“Richy!” esclama la voce.
“Chi è?” esclama Richy stupita.
“Io”
“Io chi?”
“António!”
“Da Padova?”
“Macchè, da Lisbona!”
“Oh scusate, adesso non posso, tengo la pentola sul fuoco, lasciate pure il depliant sotto la porta.”
“Io non ho bisogno di depliant, sono il tuo capo!”
“Uuuh signore, scusate tanto, avete detto Antonio ho pensato al santo. Cosa posso fare per lei?”
“Hai letto le 15 tavole che ti ho mandato?”
“Sì.”
“E?”
“Sono carine, fanno proprio un bel figurone in salotto.”
“Devi rispettarle e farle rispettare tutte!!!”
“Tutte?”
“Sì.”
“Anche quella della migrazione dei pesci?”
“Sopratutto quella.”
“Ammazza che culo!”
“Vai e diffondi nel mondo col sorriso!”
“Sia fatta la sua volont… ehm… ok.”

E come è venuta, la voce sparisce, tra risate alcoliche e di chiodi di garofano.  

Oh che investitura! Ma che bello. E che onore. Che responsabilità. Che eccetera eccetera! Tra il bere, i profumi, gli ordini e la nuova fantastica avventura creativa, Richy si sente eccitata e frenetica, in cerca di carta e penna ove scrivere di getto… cosa? L’ispirazione, si sa, nasce dove l’occhio cade e l’occhio cade, si sa, mosso dal desiderio e il desiderio di Richy, si sa, è concentrato sulle splendide tavole: Giornata mondiale dello snowboard! Fantastico, ecco l’abbrivio! Si volta verso il computer e un pensiero urgente l’assale: Giornata mondiale del backup! Un sospiro di sollievo, come se ideandola si fosse materializzato l’evento. Magico. Chissà se funziona anche con le lingue straniere: Dia internacional del Tango! Ah, che ispirazione seducente, tanto seducente, troppo: Giornata mondiale delle zone umide, e Giornata mondiale dell’orgasmo! Doppietta!  

L’aver pensato alla Giornata mondiale dell’orgasmo le fa tornare alla mente quelli avuti prima di lasciarsi col suo fidanzato, e dal ricordo di tanti momenti felici pensa alla Giornata mondiale dell’uccello migratore. Ma lo spremersi le meningi manda in crisi Richy, anche perché riempire 15 tavole non è uno scherzo. Con lo sguardo della disperazione, alza per un attimo la faccia e vede il frigo. Una certa fame inizia a prenderla sentendo brontolare lo stomaco come se fosse un temporale. Ricordandosi che ha ancora della pizza avanzata dalla sera prima, le viene il colpo di genio: Giornata internazionale della pizza italiana, che insieme a quella delle torte ci sta proprio bene.
“Cavoli, perché non ci ho pensato prima?” e scrive e mangia.
“Che vada al diavolo la dieta!” esclama con tono solenne. Nel mentre che mette il tutto nero su bianco, l’occhio le cade su una rivista che stava guardando con la pagina aperta sull’evoluzione dell’uomo, e quale occasione migliore di questa nel comporre una lista che verrà ricordata dall’umanità intera?
“Chissà cosa avrebbe pensato Darwin di questa nostra evoluzione… Ci sono! Facciamo il Darwin Day così per ricordarmi di tutto questo.” In realtà pensa anche ad altri tipi di evoluzioni ma meglio non scriverle. Gli occhi a questo punto cominciano a diventare sempre più pesanti fino a quando non si addormenta sul tavolo. Nasce così al suo risveglio la Giornata mondiale del sonno.  

“Antò.”
“…”
“Antòòòò! Ho fatto.”
“Sto giocando a frisbee. L’hai inserita la Giornata mondiale del frisbee?”
“No.”
“Non importa, mi piace che resti uno sport di nicchia. Dimmi dunque.”
“Ho finito.”
“Vediamo, sì, buon lavoro, ma manca ancora una giornata fondamentale. Vai ai Bagni di Trevi e…”
“La Fontana di Trevi.”
“Non è la stessa cosa con quel bel piscinozzo?”
“No.”
“Allora ti ordino di immergerti, fare due bracciate, pescare qualche monetina e avrai l’ispirazione ultima e fondamentale. Corri!”
“Adesso?”
“Adesso!”  

Richy obbedisce anche se con molte perplessità. E se non avesse trovato le monetine? E se i vigili l’avessero trovata nuotando e fatto un mazzo tanto? E se i trentatrè trentini non entrano a Trento? Una volta arrivata a destinazione, si immerge furtiva nella fontana alla ricerca delle Monetine della Sacra Ispirazione Ultima (MSIU). Nuotando con la stessa grazia e agilità dei pesci migratori che vanno incontro al proprio destino, Richy tenta di compiere il suo ultimo incarico con le sacre monetine, e avendone trovate solo qualche migliaio, i dubbi aumentarono ancora di più. In compenso, però, pensava a come spenderle. Dopo aver raggiunto per un attimo la pace interiore immaginando l’armadio pieno come un outlet, un cartello la riporta alla dura realtà: le monetine se le deve scordare.
“Aaaaaaa mannaggia i pescetti!” esclama con un certo disappunto. Piena di tristezza per aver fallito la missione che le era stata affidata, sta per scavalcare il muretto della fontana quando all’improvviso vede una monetina più scintillante delle altre. In quel preciso momento è come folgorata sulla Piazza di Trevi ed è lì, finalmente, che trova la sua ultima e definitiva ispirazione per la giornata mondiale mancante all’appello: quella della carbonara.


Musalogia!

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Dei

@didiluce ha scattato attimi che trovo di un’infinita serena intimità. La ringrazio per avermeli concessi. Ringrazio anche il Muso per il rischio preso!
Ho provato ad aggiungere il testo.

Buona visione e buona lettura!


Dei

Ti ricordi quando il mondo tra le mani era perfetto? Ancora piccolo, ma grandioso e alla nostra portata. Sfera che rifletteva sogni, vi si nutriva, e noi pure. Beati, lì, rapiti, a giocare agli Dei.

Fotografia di @didiluce photo blog

Poi abbiamo alzato lo sguardo, ricordi? Attirati finalmente dall’intorno. La natura ci ha soffocati di bellezza e il mondo si è schiacciato ai poli.

Fotografia di @didiluce photo blog

E poi noi. Sai. Ci siamo visti strani, per la prima volta. Senza capire abbiamo mescolato tutto, anche i nostri profili. E non c’è stata gioia più grande. E il mondo ha inclinato l’asse.

Fotografia di @didiluce photo blog

Ti ricordi poi come andò? Mi senti? Ricordi come andò poi?


MUSALOGIA?

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E del mare?

Ho preso in prestito alcune fotografie di Ivanchiafotolab e ho aggiunto un testo.

Buona visione!


Autore delle fotografie: Ivanchiafotolab (dall’articolo Fotografia subacquea arte di illuminare colori sommersi.)

Autrice testo: endorsum

Fotografia subacquea arte di illuminare colori sommersi . — Ivanchiafotolab

– Hai visto lì?
– Una sfera in mano.
– Bellissima, è una sfera magica!
– Ma no, non è magica.
– È magica di sicuro, levita!
– Sì, forse hai ragione, qualcosa di magico ce l’ha.
– Te l’ho detto!
– Ma c’è anche un indizio scientifico, quella lente di ingrandimento indica l’analisi, il bisogno di capire.
– Indica miopia!
– Ma come? Distruggi così la mia interpretazione?
– Sei troppo materiale.
– Tu lo sei stato con la storia della miopia!.
– Scherzavo, ti prendevo in giro.
– E se ti dico che ci sono due murene in amore?
– Romanticismo, è chiaro!
– Romanticismo eh?
– Molto, moltissimo romanticismo.
– Potrebbe essere perfino un complimento.
– In compenso c’è un pesce Mago.
– Non credo proprio.
– Io quei colori li spiego solo con una volontà fantasiosa di darsi un tono.
– Sì, un tono sopra le righe: un pagliaccio.
– Ecco, dal romanticismo al dileggio, deciditi.
– E quello nascosto?
– Dirai che è timido.
– Lo dico sì. È timido.
– E io dico che aspetta solo di sferrare il suo attacco migliore!
– Non mi piace come sta andando, facciamo piazza pulita di tutto?
– Non ci penso proprio, alle mie opinioni ci tengo.
– E ho anche insistito per portarti qui oggi!
– Avrai voluto il mio parere.
– Magari la tua compagnia.
– Sì, può anche essere… come due farfalle allora?
– Sembrano proprio due farfalle.
– Siamo finalmente d’accordo.
– Sono stupende, non credi?
– Come noi?
– Noi un po’ meno.
– Non ti lasci mai prendere, come quella stella marina, anzi, lei si è lasciata prendere.
– Non gradirà la presa di sicuro.
– Sei così… così! Sei come quell’essere dagli occhi blu!
– E tu il solito merluzzo!
– Non so se è un merluzzo.
– Nemmeno io.
– Però felice che tu abbia insistito per portarmi.
– Lo sono anch’io.
– Pesce per cena?
– Facciamo gallinacei.

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Rossa

Immagine da qui

Mesi, ti eri detto. Quanti mesi. Prima di.
E quel giorno era giunto docile, senza forzare la presa, semplicemente aspettando.
Poi avevi dovuto rivolgere una richiesta, diretta, decisa, ma senza enfasi e il gioco si era messo in moto: i tempi maturi, la situazione giusta e l’avevi lasciata venire. Sì. Fin sotto il tuo sguardo.

Ah, quanta bellezza! Vestita solo di coriacea resistenza, ancora, anche così, impudente e nuda.

La tua saliva bloccata intorno alla lingua. La curiosità sfrenata. Le mani immobili e timorose d’errori. Lo sguardo affamato, di una visione esplicita, per te, tutta per te.

Pronto, in fondo pronto ad averla, a toccarla. Pronto a scoprirne il sapore segreto. La sola idea a farti aprire le labbra, e a leccarle, di punta, con il brivido del bagnato accarezzato dall’aria. I denti a morsa, imprigionando il labbro inferiore, per trattenere un pensiero proibito.

Lei lì, come mai prima. Distesa, sicura in offerta. Quasi violenta su quel bianco e in attesa di un gesto, di un’intenzione.

E tu ancora assente, presente, consapevole d’essere senza quella speciale perizia per addentrarti. In lei. Intimamente.

Il coraggio forse, o l’audacia. Magari.

Facesti l’unica cosa sbagliata e l’aggredisti, incapace d’altro.
Al tocco della lama lei schizzò via. Dal piatto. Rossa di vergogna, per te.

– Le porto un’altra arogosta?

– No, non la merito.


Dua Lipa – We’re Good
I’m on an island
Even when you’re close
Can’t take the silence
I’d rather be alone
I think it’s pretty plain and simple
We gave it all we could
It’s time I wave goodbye from the window
Let’s end this like we should and say we’re good
We’re not meant to be like sleeping and cocaine
So let’s at least agree to go our separate ways
Not gonna judge you when you’re with somebody else
As long as you swear you won’t be pissed when I do it myself
Let’s end it like we should and say we’re good
No need to hide it
Go get what you want
This won’t be a burden if we both don’t hold a grudge
I think it’s pretty plain and simple
We gave it all we could
It’s time I wave goodbye from the window
Let’s end this like we should and say we’re good
We’re not meant to be like sleeping and cocaine
So let’s at least agree to go our separate ways
Not gonna judge you when you’re with somebody else
As long as you swear you won’t be pissed when I do it myself
Let’s end it like we should and say we’re good
Now you’re holding this against me
Like I knew you would
I’m trying my best to make this easy
So don’t give me that look, just say we’re good
We’re not meant to be like sleeping and cocaine
So let’s at least agree to go our separate ways
Not gonna judge you when you’re with somebody else
As long as you swear you won’t be pissed when I do it myself
Let’s end it like we should and say we’re good

Sono su un’isola
Anche quando sei vicino
Non sopporto il silenzio
Preferisco essere solo
Penso che sia abbastanza chiaro e semplice
Abbiamo dato tutto quello che potevamo
È il momento di salutare dalla finestra
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Non siamo fatti per essere come il sonno e la cocaina
Quindi almeno accettiamo di andare per la nostra strada
Non ti giudicherò quando sarai con qualcun altro
Finché giuri che non ti incazzerai quando lo farò io
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Non c’è bisogno di nasconderlo
Vai a prendere quello che vuoi
Questo non sarà un peso se entrambi non serbiamo rancore
Penso che sia abbastanza chiaro e semplice
Abbiamo dato tutto quello che potevamo
È il momento di salutare dalla finestra
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Non siamo fatti per essere come il sonno e la cocaina
Quindi almeno accettiamo di andare per la nostra strada
Non ti giudicherò quando sarai con qualcun altro
Finché giuri che non ti incazzerai quando lo farò io
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Ora me lo stai rinfacciando
Come sapevo che avresti fatto
Sto facendo del mio meglio per renderlo facile
Quindi non guardarmi così, dì solo che siamo a posto
Non siamo fatti per essere come il sonno e la cocaina
Quindi almeno accettiamo di andare per la nostra strada
Non ti giudicherò quando sarai con qualcun altro
Finché giuri che non ti incazzerai quando lo farò io
Finiamola come dovremmo e diciamo che siamo a posto
Tradotto con http://www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)

Musalogia!

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Ostinatamente accanto – Stubbornly alongside

Il testo è stato ispirato da una fotografia di Yolanda. Grazie per avermi permesso di portarla qui sulle pagine beige!
(Il testo è tradotto in inglese con deepl.com)

The text was inspired by a photograph of Yolanda. Thank you for allowing me to bring it here on the beige pages!
(The text is translated into English with deepl.com)

Immagine di Yolanda – Image made by Yolanda

Ostinatamente accanto.

E così sei tu il secondo, il lindo, quello chiaro. Il gemello buono che la notte dorme. Il fratello senza buchi nei calzini. L’amico sorridente e con la ragazza giusta, la principessa del quartiere.

Sempre tu. Fedelmente vicino. Ostinatamente accanto, sempre impegnato in giuste cose, e quanti altri smaglianti aggettivi potrei trovare per le tue cose.

Non ti avevo mai visto di fronte, ho sempre e solo avuto la vicinanza del costone rugoso. Consola che l’uso logori anche te. Non abbastanza, mai abbastanza, un bel confronto non c’è che dire.

Potrei morire appassito per questo confronto, ma so, io so: tu sei lo specchio che non riflette.


English version

Stubbornly alongside.

So you’re the second one, the clean one, the clear one. The good twin who sleeps at night. The brother with no holes in his socks, The smiling friend with the right girl, The neighbourhood princess.

Always you. Faithfully close. Stubbornly near, always engaged in the right things, and how many other bright adjectives could I find for your things.

I had never seen you in front of me, I only had the proximity of the wrinkled edge. it’s comforting that use wears you down too. Not enough, never enough, a good comparison no doubt.

I could die withered by this comparison, but I know, I know: you are the mirror that does not reflect.
(in Italian the verb reflect also has the meaning of think.)

Speglar, arbetsplats — Yolanda – “Det här är mitt privata krig”
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Ava

Ava Gardner – immagine presa da Nonsolocinema

Questo raccontino mi è stato ispirato da due articoli:
Ava Gardner, esuberante e indomabile di Raffa;
Mogambo (1953) di Raffa (l’altro suo blog).

I processi propri dell’ispirazione sono un mistero, sì, ne convengo.

Buona lettura.


Ava

Giandomenico è Ava.
Da 35 anni.

L’occhio verde, l’arco sopracciliare, la fossetta al mento. Il naso no, è diverso.

Per lui è normale aver collezionato 35 anni di onorato lavoro notturno in un locale dedicato al travestitismo, come si diceva una volta.

Giandomenico è Ava di notte e un serio professionista di giorno, anche questo per lui è normale. Adesso è normale quasi per tutti, lo sdoganamento ha fatto molto. Troppo. Negli ultimi vent’anni la clientela è aumentata proprio per la sua notorietà in quanto Ava. Ne è stato lieto durante i primi anni.

«Ava, dove hai detto che ti sei fatta la ceretta l’ultima volta?»
«Non l’ho detto.»
«Che strano, ma da chi sei andata?»
«Da un’estetista qualsiasi. Devi firmare questo.»
«Ah, sì, scusa, ma un’estetista qualsiasi, che risposta è? Non è da te!»
«Domani portami tutte le fatture.»
«Ah, certo, ma per la pelle del viso, dico, per la pelle hai fatto qualcosa?»
«Mi rado con un rasoio a mano libera.»
«Ma dai! Fantastico!»
«Insegnamento paterno.»
«Stupendo!»
«Sì. Ciao, adesso ho un altro cliente.»
«Io non sono capace.»
«Succede. Ciao.»
«Questo gusto antico per le tradizioni, il passaggio generazionale di un gesto…»
«Infatti. A domani.»
«È un rimasuglio di mascolinità così pittoresco!»
«Pittoresco un par di palle! È UNA COSA PER UOMINI VERI!»
Lo urla esasperato con voce da baritono. Ecco, questo per Giandomenico non è normale.
Il cliente si zittisce, strabuzza gli occhi, le mani sulla bocca aperta in stupore, un flap-flap di ciglia e, con voce soprana, ribatte eccitato.
«Mi insegni?!»


(È il mio 500° articolo! cin-cin!)

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Tutte le fini (Story-Lenny!)

Bulb Boy (immagine presa da qui)
Ci siamo, le fini son giunte…
Sono tante e bellissime!!!
Ognuno può scegliere la propria, quella che sente più vicina.
Io le amo tutte-tutte e ringrazio chi ha partecipato a questa avventura!
Presto produrrò la resa ultima dello Story-Lenny, nel frattempo buone letture!
(Non c’è una data di scadenza, i finali sono aggiungibili, per chi desiderasse proporne altri.)
Buon divertimento!

(STORY-LENNY CONTINUA A ESSERE UN TESTO MANIPOLABILE DAL LETTORE, SIA NELLA SINGOLA PUNTATA CHE NELLA TRAMA COMPLESSIVA, A PIACERE.)

BREVE RIASSUNTO
Il Narratore irrompe nella quotidianità di un suo personaggio: Cara. Considerandola una propria creatura, assume l’atteggiamento di un Creatore Onnipotente. Cara reagisce e resiste, ha una vita e in essa è presente Lenny.
Il Narratore, invaghito, alterna seduzione e irrispettoso interventismo per costringerla a lasciare Lenny e dedicarsi a lui soltanto.
Lenny ha però raggiunto la maturità dell’eroe e, con uno stratagemma, va a riprendersi Cara, portandola via dall’appartamento.
Il Narratore resta in casa di Cara solo e sconsolato.


Ringrazio (in ordine di apparizione) brunonavoni, Yleniaely, andream2016, Ettore Massarese (fu Franz), raccoltaedifferenziata, Nonna Pitilla, Marco, Sara Provasi, Adriano, Alidada, eleonorabergonti, Evaporata, Giuseppe La Mura, ArcadioLume, Alessandro Gianesini, ivano f !!!


I FINALI POSSIBILI

Finale A

gioco di specchi in cui anche il narratore è narrato…

ArcadioLume (ore 15:30 del 27/9/2021)

Finale B

Silenzio. Poi un canto in lontananza che si avvicina sempre di più alla porta. Odore di incenso e fumo provenire dalla fessura sotto la porta.

Chi è? Quali personaggi staranno arrivando e a chi farò fare il MIO racconto?

Non distinguo bene le parole ma sembrano in una lingua strana, forse antica. Latino. Sembra latino. Non ne sono sicuro, ma delle lingue che conosco, questa non mi risulta familiare. Ci sarà sempre tempo per indagare, o per farmelo dire.

Ancora silenzio.

I passi, che prima si udivano sotto il canto di tante voci, si sono fermati improvvisamente insieme ad esso. Passano secondi interminabili, rotti soltanto dal movimento della maniglia della porta con un cigolio familiare.

La porta si apre piano con movimento diffidente. Una donna non più giovane ma vestita elegante entra dentro per vedere chi ci possa essere dentro l’appartamento.

È Jane Fonda.

Si ferma al centro della stanza muovendo la testa in ogni angolo per scrutare il posto dov’è entrata, domandandosi cosa ci facesse lì e perché. Non mi sembra vero che sia lei, e controllo e ricontrollo per vedere se sia vera o è solo una mia allucinazione dovuta alla mancanza di colei che c’era prima.

La guardo ancora a mia volta. Non ho più dubbi.

Ciao, cara…

Adriano (ore 17:30 del 27/9/2021) – Piace a ivano f

Finale C

Un asteroide colpisce il mondo e muoiono tutti.

Alessandro Gianesini (ore 6:30 del 28/9/2021) – Piace a Tony Pastel

Finale D

Cara mentre si trova ad una festa al ristorante insieme alle sue amiche, intravede Lenny in compagnia di un’altra ragazza e con grande tristezza, si rende conto che lui la tradisce. Cara ferita nei suoi sentimenti, scoppia in lacrime e si allontana in auto lasciando il locale e rientra a casa. Si dirige tremante verso la sua camera e si butta sul letto piangendo a dirotto. Il narratore, nel frattempo lontano da casa, percepisce il dolore di Cara e decide, mosso dai suoi sentimenti nei confronti della ragazza, di ritornare da lei e si materializza nuovamente a casa di Cara.

Nuovamente al suo fianco, resta in silenzio per osservarla, non sopporta di vederla piangere .

« Mia Cara sono tornato da te. Sapevo che Lenny non era sincero nei tuoi confronti… l’ho sempre saputo, è per questo che cercavo di allontanarti da lui, ma tu ingenua e innamorata com’eri, non te ne rendevi conto. Il mio amore per te è più forte del rancore, non ti abbandonerò mai a differenza di Lenny…»

Cara riconosce quella voce così profonda e calda, autoritaria ma accogliente, si volta di scatto. Il narratore è nuovamente al suo fianco.

« Sei tornato… dopo tutto quello che ti ho fatto senti ancora dei sentimenti per me…» sussurra in un filo di voce roca dal pianto.

« Non ho il coraggio di abbandonarti, ti amo perdutamente nonostante tutto e se mi permetti un consiglio, non devi piangere per Lenny, non merita le tue lacrime. Avanti, ora riprenditi e guarda verso il futuro, hai tutta una vita davanti, non permettere a delle persone false, di spegnere la tua luce meravigliosa! »

Quelle parole così cariche di affetto ma severe al contempo, scuotono Cara nel profondo. Come presa da una nuova carica di vitalità, si alza dal letto, ha gli occhi ancora arrossati dalle lacrime, è bellissima, pensa il narratore.

« Non pensavo che provassi ancora dei sentimenti per me, io che ti ho sempre ignorato e mi ostinavo a stare fra le braccia di un uomo che non mi ha mai amata… mentre rientravo a casa pensavo a te che non eri più al mio fianco e che, probabilmente, ti avevo perso per sempre…» Cara abbassa lo sguardo, le lacrime colmano ancora una volta i suoi occhi, avrebbe voluto buttarsi fra le sue braccia per consolarla, ma non può poiché lui è un essere immateriale.

« Narratore… perdonami per tutto ciò che ti ho fatto… solo ora mi sto rendendo conto che ti ho sempre amato, ma accecata com’ero dai miei sentimenti per Lenny, non l’avevo mai capito. Non voglio più mentire, ho sofferto molto la tua lunga assenza, era come se un vuoto si fosse formato nella mia anima, era la nostalgia… mi sono resa conto che senza di te non posso vivere…» Cara solleva il viso rigato dalle lacrime come per guardare negli occhi il suo interlocutore, pur sapendo che non è possibile.

« Cara… le tue parole mi lasciano senza fiato… purtroppo la vita ci è avversa e il destino ha voluto che io fossi un essere immateriale, un Ultracorpo, così come viene chiamata la nostra specie, la nostra relazione a livello fisico è impossibile. Ma potrò stare al tuo fianco sempre e comunque. Vivo in te, nella tua mente e questo mi permette di viverti ogni attimo. »

Cara stringe le braccia attorno al suo corpo come per simulare un abbraccio. È così che Cara e il narratore sono diventati inseparabili.

Yleniaely (ore 21:15 del 28/9/2021) – Piace a unallegropessimista

Finale E

Caro?

– Non c’è nessun caro .

Questo lo decido io.

– E tu chi saresti?

Indovina. Ti aiuto, fa’ attenzione.
Risate dal pianerottolo. Sul pavimento della stanza imballi sballàti. Mai sottovalutare un imballo. Il mistero, le potenzialità. Soprattutto in un Finale poi.

– Non può esserci un Finale adesso, lascio una porta aperta nel caso che Cara…

SBAM! Non tornerà, Caro. Il tuo sguardo appassionato ma limitato ha escluso certi amici di Cara e Lenny, ed eccomi qua.

– Io non ti vedo.

Lo so.
Caro crede ancora di essere un Narratore. Si sforza ma non capisce cosa è successo. Non può farlo perché è legato alle sue consuetudini narrative. Inutili.
Ero in quell’imballo, Caro. Ero ma non ero. Ora però sono.

– Ho mal di testa.

Lo so, Caro. Poi ti passa.

– Non ti ho vista uscire dall’imballo.

Indosso un muta integrale a specchio, Caro. Ma già non sono più qui, non più di quanto sia là.
Questo Caro lo capisce, ma ci sono dei passaggi troppo ostici per lui. Ha bisogno di logica. Della sua. Si sente perduto. Lo è.

– Ma cosa vuoi?

Voglio solo guardarti, Caro. Amarti da lontano, amare te e tutti i tuoi atteggiamenti e i tuoi piccoli vizi. Ti sentirai forse un po’ meno libero, ma la tua Narratrice si prenderà cura di te e ti regalerà un corpo giovane e prestante.
Caro sorride fra sé a quel pensiero, già pregustando momenti di estasi.

– Oh non cominciamo eh!

Ssst! Lascia fare a me.

ivano f (ore 2:30 del 29/9/2021) – Piace a silvia e ad alemarcotti

Finale F

VOCE FUORI CAMPO

“Il Narratore, nel buio d’una notte illuminata dalla luna, lasciò che Lenny fissasse la sua immagine riflessa nello specchio e in quel preciso istante Lenny intuì che il riflesso di Narratore non era altro che il suo Ego. Capì che Narratore mai si sarebbe sottomesso a nessuna rinuncia. Sfrontato, arrogante, sfacciato, con tutti e soprattutto con Cara di cui voleva possederne il corpo.

Lenny pensò subito a Cara e avrebbe voluto in quell’istante dirle tutto per metterla in guardia. Ma come avrebbe reagito Cara? Già, Lenny immaginava che a Cara sarebbe piaciuta una situazione misteriosa e intrigante, sarebbe andata fino in fondo per capire se il desiderio nascosto di Narratore, che pulsava nel suo Ego e nelle sue mutande, fosse per amore o soltanto per un desiderio carnale. Si ma perché, si sarebbe chiesta Lei? Cara era forse bella, interessante, intrigante a tal punto da scatenare la passione in quell’Ego così spudoratamente sfrontato? E allora Jane Fonda era interessante quanto Lei o soltanto una banale tattica utilizzata da Narratore per farla Ingelosire?

Lenny conosceva bene Cara, il suo interesse verso gli uomini così spavaldi, conosceva i suoi pensieri, le sue voglie, le pulsioni più recondite.

Lenny guardò Narratore e poi si guardò anche lui allo specchio. Ma vide la stessa immagine, quella di un uomo sottomesso, senza particolari pulsioni, senza interesse verso il piacere estremo e il godimento della carne e dello spirito. Lenny, ammise allo specchio guardando l’Ego di Narratore, che Lui non era così. E, in questo scontro con l’immagine di Narratore, a Lenny venne un’intuizione. Era forse il figlio dell’Ultracorpo? Il figlio nascosto dell’Ego, di Narratore?  Il figlio della colpa?

Lenny da quell’istante non ebbe più pace e capì che questa storia, l’intreccio con Cara, di Narratore, il suo Ego ultracorpale, sarebbe durata in eterno, non avrebbe mai avuto la parole fine. Oppure era soltanto un sogno, un’elucubrazione onirica da cui prima o poi si sarebbe svegliato?”

Giuseppe La Mura (ore 17:00 del 29/9/2021)

STORY-LENNY è un gioco di trame. Ecco qualche informazione in più QUI.

Si può giocare in diversi modi:

  1. Contributi interni alla singola puntata (comunque autoconclusiva);
  2. contributi di stravolgimento della trama complessiva;
  3. contributi esterni a piacere.

Per chi vuol cercare il pelo nell’uovo ammetto che sì, camuffate vi sono alcune pubblicità occulte… trovatele se ne siete capaci!
Ricordo mestamente che a chi tocca non s’ingrugna e che i botta e risposta sono leciti, anzi sono i benvenuti.
Da oggi è possibile attaccare trame a quelle altrui! Anche nelle puntate precedenti.

Poi ci sono i super supporti HARD e DIVERSAMENTEHARD alla trama, i divertenti Extra-Lenny 1, Extra-Lenny 2 e Extra-Lenny 4 e Extra-Lenny 5 di Andream2016 e l’Extra-Lenny 3 di Sara Provasi – Ma anche Film-Lenny, da un’idea di eleonorabergonti – (Grazie a tutti!)


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Le età dell’innocenza 9

– Hai lasciato gli occhiali nel lavabo…
– Impossibile!
– Ti dico di sì.
– Li hai spostati tu per farmi sembrare rincoglionito.
– No.
– Sì!
– No ti dico, non c’è nessun bisogno che ti aiuti in questo.
– Puttana!
– Abbiamo passato da tempo quella fase.
– Zoccola!
– Anche quella.
– Bel mignottone porco.
– Ah, quella poi.
– Sceriffa!
– Durata poco.
– Moglie!
– Ma mi prendi in giro?
– Suocera!
– Ok, ti sei rincoglionito.
– No!!!
– Ma sentiti!
– Mh, non hai torto.
– E quindi?
– Badante!
– Badante no! Facciamo che li ho spostati io?

“La Badante” – Fifty Six

Le età dell’innocenza 1 – 2 – 3 – 45 – 6 – 7 – 8


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I finali possibili (Story-Lenny 12-13-14).

immagine presa da qui

Ci siamo, la fine è giunta…
Sarei tentata dalla retorica del caso, ma dirò solo: puoi scrivere un finale o scegliere quello che ti piace di più!

Buon divertimento!


(QUESTO È UN TESTO MANIPOLABILE DAL LETTORE, SIA LA SINGOLA PUNTATA CHE LA TRAMA COMPLESSIVA, A PIACERE.)

BREVE RIASSUNTO
Il Narratore irrompe nella quotidianità di un suo personaggio: Cara. Considerandola una propria creatura, assume l’atteggiamento di un Creatore Onnipotente. Cara reagisce e resiste, ha una vita e in essa è presente Lenny. Il Narratore, invaghito, alterna seduzione e irrispettoso interventismo per costringerla a lasciare Lenny e dedicarsi a lui soltanto.
Qui, siamo al punto in cui il Narratore dopo essersene andato per un battibecco, va a casa di Lenny per spaventarlo e convincerlo a lasciare Cara.


Ringrazio (in ordine di apparizione) brunonavoni, Yleniaely, andream2016, Ettore Massarese (fu Franz), raccoltaedifferenziata, Nonna Pitilla, Marco, Sara Provasi, Adriano, Alidada, eleonorabergonti, Evaporata, Giuseppe La Mura, ArcadioLume, Alessandro Gianesini, ivano f !!!

I materiali sono tutti in fondo. Buon divertimento!


Lenny, vieni! (12)

(immagine presa da qui)

– Sola. Alla fine son da sola. E per forza! Lenny scappa per colpa di QuelloQuello scappa per colpa di Lenny. Ma si può? Ma è giusto? Vigliacchi tutti e due! Non si fa così, non se ci sono io di mezzo! Ecco! Ecco… oh mioddio… che dubbio brutto brutto! Non è che magari? Eh? Non è che magari quei due si stanno comportando come innamorati spaventati all’idea di amarsi? Oh mioddio-mioddio! Non è che il premio non è altro che la scusa per incrociare le spade? Eh? Eh??? … Naaaa. Avranno studiato all’Accademia Dell’In Amore Vince Chi Fugge, ma se fuggono entrambi chi cazzo rimane? Io. Sempre io… Lenny, Lenny, sei così tenero, audace, fantasioso e così pavido certe volte. Il Narratore non è mica un fantasma, ma chi te lo spiega? Mi prenderesti per pazza credendo a ciò che si crede di solito quando le porte si aprono e si chiudono da sole (contraria a parte). Già, le porte, non sbattono più, non si aprono quando ho la spesa in mano, non si chiudono se me le dimentico aperte. Narratore, Narratore, cosa ci fai intorno a me sempre a rompere piani e sequenze? Chi ti ha mandato? E chi mi ci ha messa in questa situazione? Intanto adesso non c’è nessuno. Dalla porta alla finestra. Vuoto vero. Silenzio. Non l’ho nemmeno chiusa, la finestra, non si sa mai. Anche in bagno ci vado meno volentieri da quando non mi devo più nascondere. La tua presenza, l’esserci sempre, sempre troppo, troppo e con invadenza! Ma l’esserci… Ci si abitua a tutto. Quando ci si abitua alla presenza, arriva anche la mancanza. Mi manchi. Un po’. Un po’ tanto. Non ha senso. Non ha davvero senso: dai, alzati e telefonagli, che la vita continua. Dove ho messo il cellulare? Ah, eccolo. Chiama… Ciao Lenny, come stai?… davvero? … no-no, non c’è più il fantasma! … sei quasi arrivato? … Lenny, vieni!

La porta si apre piano e un giovane uomo sta per varcare la soglia.

TA-DÀ!!! Sono il Narratore! E non sono un fantasma!

Sono diventato l’ultracorpo di me stesso…

Giuseppe La Mura (ore 16 del 27/9/2021)

Il giovane uomo fugge, non contando i gradini.


Lenny, non scappi? (13)

(immagine presa qui)

La porta si chiude piano. Cara è sul divano, lancia le scarpe al vento. Urla. Un urlo delizioso.

– Non puoi fare sempre così!

Sì, posso.

– No, non puoi!

Sì, posso!

– Sono stufa di te!

Non è vero!

Cara si alza dal divano col broncio e un piagnucolio senza lacrime, va buttarsi sul letto.

– Non entrare!

Entro.

Il pianto senza lacrime continua, la faccia sprofondata nel cuscino, le spalle in sussulti ritmici. Nulla si bagna. Poi un sospiro lungo. E… un pisolino.

Passa il tempo. Cos’è cambiato in mia assenza? Qualche vestito nuovo (interessante), la spazzatura quasi come quando me ne sono andato (preoccupante), gli appunti e i libri di studio in un luogo diverso (strano), alcuni titoli freschi d’acquisto (caspiterina), uno di questi sul comodino (perdindirindina!). Cara si sveglia al suono della mia voce. Sto recitando a memoria alcuni brani del testo ora vicino al suo capo. Riconosce le pagine (le prime, per non sbagliare), allunga il braccio e inizia a leggere ad alta voce, sostituendomi. Il tono le si ammorbidisce, come la postura, il respiro inizia ad affannarsi, le labbra si inumidiscono e le cosce, oh le cosce si cercano piano. Eccola, è lei, è proprio lei, quella che ho sempre desiderato.

DLIN-DLONG!

– Sei stato tu?

No.

– Vado a vedere.

Si alza svelta abbandonando il poemetto erotico sul letto. Risponde al citofono, sorpresa preme l’interruttore del portone d’ingresso e apre la porta, aspettando.

– È Lenny! Proprio adesso?

Non guardarmi così, non ne so nulla.

Il giovane uomo è già sulla soglia. Con un gesto rapido toglie dalle tasche dei pantaloni due tappi di cera e li infila fulmineo nelle orecchie. Lo sguardo è risoluto, troppo risoluto e… dove vai? Fermati!

BUÙ! TA-DÀ! SONO UN FANTASMA! NON È VERO, SONO MOLTO PEGGIO: SONO IL NARRATORE… CAZZO FERMATI!

Il giovane uomo afferra Cara per la mano, risucchiato dalla visione delle labbra umide la bacia appassionatamente. Lei ricambia, già ingentilita dalla lettura. In breve i corpi si pretendono. Lei si stacca un attimo, come riavendosi da un sogno.

– Lenny, non scappi?

Muto, sorride malizioso.

COSA RIDI STRONZO! SCAPPA! SCAPPA FIFONE DEI MIEI STIVALI!

Si srotola la fune cinta in vita, la lancia in bagno e, con sguardo fiero, prende in braccio Cara, trasportandola nella zona franca. Chiude la porta a chiave. Rumori di discesa (dalla finestra).

Silenzio.


Lenny? (14)

Jane Fonda, 83 anni, alla premiazione degli Oscar 2020 (immagine presa da qui)

Luce. Penombra. Buio. Penluce. I giorni si consumano cambiando rifrazione. Porta e finestre aperte ad accogliere. Un profumo di fiori di ciliegio ad aggraziar la vita in quattro mura. Desolazione a tratti. E a punti. A suggerire linee dall’imminente senso compiuto. Ribelle al segno tracciato da una volontà non mia, ripercorro gli angoli del perduto amore e trovo, negli oggetti che vi stanziano, il rarefatto pulviscolo di momenti sempre a filo di tangente. Cara, Mia Cara, te ne sei andata. L’abbandono brucia gli occhi di un Narratore senza corpo, occhi di fuoco, occhi d’inappetenza e fame, occhi brulicanti angoscia, che solo quella vedo in riempimento all’aria vuota. Di te.

Cara, Mia Cara… quando cazzo torni?

Non torni, già so, senza potere e inerme sto.

Oh, ecco, la porta si apre piano. Entrano uomini nerboruti dotati di imballi. Fuori dalla porta… Lenny?

BRUTTO BASTARDO FIGLIO DI PUTTANA!

Ma non sente, nessuno mi sente più.

Va bene. Si faccia: cambio genere!

Abbandonare il noto per il nuovo è eccitante e controverso, ma che sia! Solo uomini nelle future stesure! Monaci, magari! Monaci e di altri tempi, che la mia voce salga a equiparare quelle note! Non temo alcun confronto! Monaci, sì! E poche donne! Magari ottuagenarie!

SÌ, SOLO OTTUAGENARIE!


I FINALI POSSIBILI

Finale A

gioco di specchi in cui anche il narratore è narrato…

ArcadioLume (ore 15:30 del 27/9/2021)

Finale B

Silenzio. Poi un canto in lontananza che si avvicina sempre di più alla porta. Odore di incenso e fumo provenire dalla fessura sotto la porta.

Chi è? Quali personaggi staranno arrivando e a chi farò fare il MIO racconto?

Non distinguo bene le parole ma sembrano in una lingua strana, forse antica. Latino. Sembra latino. Non ne sono sicuro, ma delle lingue che conosco, questa non mi risulta familiare. Ci sarà sempre tempo per indagare, o per farmelo dire.

Ancora silenzio.

I passi, che prima si udivano sotto il canto di tante voci, si sono fermati improvvisamente insieme ad esso. Passano secondi interminabili, rotti soltanto dal movimento della maniglia della porta con un cigolio familiare.

La porta si apre piano con movimento diffidente. Una donna non più giovane ma vestita elegante entra dentro per vedere chi ci possa essere dentro l’appartamento.

È Jane Fonda.

Si ferma al centro della stanza muovendo la testa in ogni angolo per scrutare il posto dov’è entrata, domandandosi cosa ci facesse lì e perché. Non mi sembra vero che sia lei, e controllo e ricontrollo per vedere se sia vera o è solo una mia allucinazione dovuta alla mancanza di colei che c’era prima.

La guardo ancora a mia volta. Non ho più dubbi.

Ciao, cara…

Adriano (ore 17:30 del 27/9/2021)

Finale C

Un asteroide colpisce il mondo e muoiono tutti

Alessandro Gianesini (ore 6:30 del 28/9/2021)

Finale D

Cara mentre si trova ad una festa al ristorante insieme alle sue amiche, intravede Lenny in compagnia di un’altra ragazza e con grande tristezza, si rende conto che lui la tradisce. Cara ferita nei suoi sentimenti, scoppia in lacrime e si allontana in auto lasciando il locale e rientra a casa. Si dirige tremante verso la sua camera e si butta sul letto piangendo a dirotto. Il narratore, nel frattempo lontano da casa, percepisce il dolore di Cara e decide, mosso dai suoi sentimenti nei confronti della ragazza, di ritornare da lei e si materializza nuovamente a casa di Cara.

Nuovamente al suo fianco, resta in silenzio per osservarla, non sopporta di vederla piangere .

« Mia Cara sono tornato da te. Sapevo che Lenny non era sincero nei tuoi confronti… l’ho sempre saputo, è per questo che cercavo di allontanarti da lui, ma tu ingenua e innamorata com’eri, non te ne rendevi conto. Il mio amore per te è più forte del rancore, non ti abbandonerò mai a differenza di Lenny…»

Cara riconosce quella voce così profonda e calda, autoritaria ma accogliente, si volta di scatto. Il narratore è nuovamente al suo fianco.

« Sei tornato… dopo tutto quello che ti ho fatto senti ancora dei sentimenti per me…» sussurra in un filo di voce roca dal pianto.

« Non ho il coraggio di abbandonarti, ti amo perdutamente nonostante tutto e se mi permetti un consiglio, non devi piangere per Lenny, non merita le tue lacrime. Avanti, ora riprenditi e guarda verso il futuro, hai tutta una vita davanti, non permettere a delle persone false, di spegnere la tua luce meravigliosa! »

Quelle parole così cariche di affetto ma severe al contempo, scuotono Cara nel profondo. Come presa da una nuova carica di vitalità, si alza dal letto, ha gli occhi ancora arrossati dalle lacrime, è bellissima, pensa il narratore.

« Non pensavo che provassi ancora dei sentimenti per me, io che ti ho sempre ignorato e mi ostinavo a stare fra le braccia di un uomo che non mi ha mai amata… mentre rientravo a casa pensavo a te che non eri più al mio fianco e che, probabilmente, ti avevo perso per sempre…» Cara abbassa lo sguardo, le lacrime colmano ancora una volta i suoi occhi, avrebbe voluto buttarsi fra le sue braccia per consolarla, ma non può poiché lui è un essere immateriale.

« Narratore… perdonami per tutto ciò che ti ho fatto… solo ora mi sto rendendo conto che ti ho sempre amato, ma accecata com’ero dai miei sentimenti per Lenny, non l’avevo mai capito. Non voglio più mentire, ho sofferto molto la tua lunga assenza, era come se un vuoto si fosse formato nella mia anima, era la nostalgia… mi sono resa conto che senza di te non posso vivere…» Cara solleva il viso rigato dalle lacrime come per guardare negli occhi il suo interlocutore, pur sapendo che non è possibile.

« Cara… le tue parole mi lasciano senza fiato… purtroppo la vita ci è avversa e il destino ha voluto che io fossi un essere immateriale, un Ultracorpo, così come viene chiamata la nostra specie, la nostra relazione a livello fisico è impossibile. Ma potrò stare al tuo fianco sempre e comunque. Vivo in te, nella tua mente e questo mi permette di viverti ogni attimo. »

Cara stringe le braccia attorno al suo corpo come per simulare un abbraccio. È così che Cara e il narratore sono diventati inseparabili.

Yleniaely (ore 21:15 del 28/9/2021) – approvato da unallegropessimista

Finale E

Caro?

– Non c’è nessun caro .

Questo lo decido io.

– E tu chi saresti?

Indovina. Ti aiuto, fa’ attenzione.
Risate dal pianerottolo. Sul pavimento della stanza imballi sballàti. Mai sottovalutare un imballo. Il mistero, le potenzialità. Soprattutto in un Finale poi.

– Non può esserci un Finale adesso, lascio una porta aperta nel caso che Cara…

SBAM! Non tornerà, Caro. Il tuo sguardo appassionato ma limitato ha escluso certi amici di Cara e Lenny, ed eccomi qua.

– Io non ti vedo.

Lo so.
Caro crede ancora di essere un Narratore. Si sforza ma non capisce cosa è successo. Non può farlo perché è legato alle sue consuetudini narrative. Inutili.
Ero in quell’imballo, Caro. Ero ma non ero. Ora però sono.

– Ho mal di testa.

Lo so, Caro. Poi ti passa.

– Non ti ho vista uscire dall’imballo.

Indosso un muta integrale a specchio, Caro. Ma già non sono più qui, non più di quanto sia là.
Questo Caro lo capisce, ma ci sono dei passaggi troppo ostici per lui. Ha bisogno di logica. Della sua. Si sente perduto. Lo è.

– Ma cosa vuoi?

Voglio solo guardarti, Caro. Amarti da lontano, amare te e tutti i tuoi atteggiamenti e i tuoi piccoli vizi. Ti sentirai forse un po’ meno libero, ma la tua Narratrice si prenderà cura di te e ti regalerà un corpo giovane e prestante.
Caro sorride fra sé a quel pensiero, già pregustando momenti di estasi.

– Oh non cominciamo eh!

Ssst! Lascia fare a me.

ivano f (ore 2:30 del 29/9/2021)

Finale F

VOCE FUORI CAMPO

“Il Narratore, nel buio d’una notte illuminata dalla luna, lasciò che Lenny fissasse la sua immagine riflessa nello specchio e in quel preciso istante Lenny intuì che il riflesso di Narratore non era altro che il suo Ego. Capì che Narratore mai si sarebbe sottomesso a nessuna rinuncia. Sfrontato, arrogante, sfacciato, con tutti e soprattutto con Cara di cui voleva possederne il corpo.

Lenny pensò subito a Cara e avrebbe voluto in quell’istante dirle tutto per metterla in guardia. Ma come avrebbe reagito Cara? Già, Lenny immaginava che a Cara sarebbe piaciuta una situazione misteriosa e intrigante, sarebbe andata fino in fondo per capire se il desiderio nascosto di Narratore, che pulsava nel suo Ego e nelle sue mutande, fosse per amore o soltanto per un desiderio carnale. Si ma perché, si sarebbe chiesta Lei? Cara era forse bella, interessante, intrigante a tal punto da scatenare la passione in quell’Ego così spudoratamente sfrontato? E allora Jane Fonda era interessante quanto Lei o soltanto una banale tattica utilizzata da Narratore per farla Ingelosire?

Lenny conosceva bene Cara, il suo interesse verso gli uomini così spavaldi, conosceva i suoi pensieri, le sue voglie, le pulsioni più recondite.

Lenny guardò Narratore e poi si guardò anche lui allo specchio. Ma vide la stessa immagine, quella di un uomo sottomesso, senza particolari pulsioni, senza interesse verso il piacere estremo e il godimento della carne e dello spirito. Lenny, ammise allo specchio guardando l’Ego di Narratore, che Lui non era così. E, in questo scontro con l’immagine di Narratore, a Lenny venne un’intuizione. Era forse il figlio dell’Ultracorpo? Il figlio nascosto dell’Ego, di Narratore?  Il figlio della colpa?

Lenny da quell’istante non ebbe più pace e capì che questa storia, l’intreccio con Cara, di Narratore, il suo Ego ultracorpale, sarebbe durata in eterno, non avrebbe mai avuto la parole fine. Oppure era soltanto un sogno, un’elucubrazione onirica da cui prima o poi si sarebbe svegliato?”

Giuseppe La Mura (ore 17:00 del 29/9/2021)

STORY-LENNY è un gioco di trame. Ecco qualche informazione in più QUI.

Si può giocare in diversi modi:

  1. Contributi interni alla singola puntata (comunque autoconclusiva);
  2. contributi di stravolgimento della trama complessiva;
  3. contributi esterni a piacere.

Per chi vuol cercare il pelo nell’uovo ammetto che sì, camuffate vi sono alcune pubblicità occulte… trovatele se ne siete capaci!
Ricordo mestamente che a chi tocca non si ingrugna e che i botta e risposta sono leciti, anzi sono i benvenuti.
Da oggi è possibile attaccare trame a quelle altrui! Anche nelle puntate precedenti.

Poi ci sono i super supporti HARD e DIVERSAMENTEHARD alla trama, i divertenti Extra-Lenny 1, Extra-Lenny 2 e Extra-Lenny 4 e Extra-Lenny 5 di Andream2016 e l’Extra-Lenny 3 di Sara Provasi – Ma anche Film-Lenny, da un’idea di eleonorabergonti – (Grazie a tutti!)


RIEPILOGO AGGIORNATO DEL CAPITOLO

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Lenny? (1)

(Lenny ha un anno! Lo ripropongo per rientrare nel clima per poter andare in chiusura dello Story-Lenny, tra 2 giorni. Per chi volesse fare un salto nel passato o nel futuro, ecco la pagina dedicata a Lenny: Il mondo di Lenny)


We Can Do It!, poster di J. Howard Miller del 1943 ispirato a Rosie the Riveter

– Lenny?

Non c’è, cara.

– E tu chi sei?

Il Narratore.

– È uno scherzo? Lenny?

Non è uno scherzo, cara.

– Ma quale cara e cara, io non mi chiamo “cara”. Lenny? Dove sei finito?

Non c’è.

Cara smette di girare per la stanza e inizia a fissare gli angoli del soffitto.

– Da dove viene la voce? Ci sono delle telecamere?

No.

– Palle.

Io non mento mai, cara.

– La smetti? Lenny!

Cara è indecisa se cercare l’uomo o apparecchiature tecnologiche. Toglie il cellulare dalla borsa e avvia una chiamata.

– Lenny, santo cielo, rispondi… ciao Lenny, sono io, sono nel tuo appartamento, la porta era aperta, dove sei finito? Ti aspetto qui per una decina di minuti, poi vado, ciao. – Biiiiit

Non verrà, cara.

– Come sarebbe a dire? E cosa ne sai tu?

Sono il Narratore, io so tutto.

– E ‘sti cazzi?

Ah! Ah! Ah! Sei simpatica.

– Ma vaffanculo!

Cara, non essere volgare.

– Senti non so chi sei e non sai chi sono, non potremmo finirla qui?

No, non potremmo, devo finire il racconto.

– E che devi raccontare? Di come mi muovo in un appartamento cercando chi non c’è?

Anche.

– Frustrato!

Non offendere.

– Cioè, fammi capire, io sarei un tuo “personaggio”?

Esattamente.

– E mi farai fare ciò che credi?

Per esempio.

– No! No caro!

Cara parla voltando alternativamente il capo a destra e a sinistra (con un piglio singolare, in effetti).

– Stai parlando di me?

E di chi altrimenti?

– Non mi piace.

Non ha importanza.

– Stronzo!

Attenta…

– È una minaccia?

Non amo definirla in questo modo.

– Ah! Sei clemente con te stesso!

Se mi garba, lo sono.

– Ma che gran pezzo di merda! Senti un po’ onnipresente e onnisciente, se esco da qui continuerai a rompermi i cosiddetti?

Non ho ancora deciso.

– Allora, se non dico parolacce da scaricatore di porto, mi lasci uscire da qui senza seguirmi?

Mi stai proponendo un patto?

– Figliodiputtanarompicoglionimaledetto!

Su cara, non ti donano, davvero, non ne esci bene.

– Imbecillepuzzolentenanomalefico!

Oh, andrai avanti per molto?

– Scemostupidopezzentecialtrone!

Non sei carina, per niente.

– Facciadimerdastercoschifoso!

Ok. Si può fare.

– Ciao.

Cara esce dalla porta. Con un sorriso.

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Romanzo breve in cerca di immagini – Incipit

Immagine proveniente da qui

Il sonno rigenera.

«Sono stanca, voglio dormire.» Disse assecondando le palpebre.
E il lenzuolo l’avvolse morbido.
«150 anni.» Finì di dire.
E il piumino la coprì fino alle labbra.
Le porte si sbarrarono, così le finestre; la temperatura variò. Un profumo di lavanda irruppe nell’aria e il mondo si chiuse fuori.

La dimora sprofondò nella terra.
Il tetto divenne un parcheggio, di quelli belli, verniciati di fresco, pieno di vita diurna, di incontri notturni, ricco di rollii, chiacchiere e del prezioso disinteresse al luogo.

Quando un’amministrazione locale decise di sostituirlo con un parcheggio sotterraneo, arrivarono dei sacralizzatori di terreno, che lo sacralizzarono. Al posto del parcheggio fu edificata una piccola struttura lignea sotto la quale iniziarono a essere dispensati buoni auspici di varia natura, per modiche cifre.

La struttura presto si trasformò in uno stabile in muratura e al cambio di religione potè sfoggiare un’enorme insegna luminosa gialla visibile da diversi chilometri di distanza.
Il culto fu florido e lo stabile conobbe una ricca vita diurna, incontri notturni, scalpiccii, chiacchiere e un prezioso interesse al luogo.

Quando giunse l’abolizione dei culti, lo stabile fu raso al suolo. Al suo posto comparve un cerchio di terra battuta adibito all’insegnamento dell’equitazione.
Non durò a lungo, la nuova tipologia di governo dimostrò in poco cupidigia e sul cerchio fu costruito un palazzetto cilindrico.

Quanti rumori concilianti il sonno da quella meraviglia architettonica!
Ma fu troppo sensibile all’usura. Esplosioni programmate le fecero vibrare le palpebre. Cambiò il fianco d’appoggio e continuò a dormire.

In sostituzione del palazzetto cilindrico fu innalzata una grande scultura moderna; metalli con memoria cambiavano continuamente lo schema compositivo, per la gioia di tutti. Terminati gli anni dell’abbuffata tecnologica, alla scultura furono assegnati schemi naturalistici e, tra una figura d’aria e una floreale, lei aprì gli occhi.
Il tempo era infine passato.

La dimora emerse.
Nel trambusto, i metalli confusi cercarono strutture nella terra mossa e poi nei muri. Non potendo più eseguire gli schemi si raccolsero intorno alle parti metalliche della casa e scoprirono, con sorpresa, di potersi aggregare in nuovi schemi-non schemi già attivi. Cambiamento.

Quando lei alzò il busto seduta sul letto, notò gli insoliti spessori per casa e anche qualche libera iniziativa, come le ciabattine in lega leggerissima e un paio di orecchini filiformi appoggiati sul piumino. Sorrise. Sbadigliò e salutò il giorno.

CONTINUA…

Per chi vuole provare la lettura con un accompagnamento musicale, questa è la mia proposta.

Nature and Organisation – Skeletontonguedworld
And as she sleeps around her bed
The blinding deadbled world spins
Black sightless firepierced black universe
Empty the fire as she sleeps
The sleepy skeletontongued world
Massed blast of storms and sand rolls
Oh lovely world – come alive for me
The longtongued god is not real
He drags the chain clasped in his wickerfingered hands
This brother is paperthin – form but no substance
Neverlived so he is not dead
This is man’s fear made trash…
…And as you light the incense stick
I pray that your fingers may burn

E mentre lei dorme intorno al suo letto
Il mondo accecante e stordito gira
Universo nero senza vista e pietrificato dal fuoco
Vuoto il fuoco mentre lei dorme
Il sonnolento mondo dalla lingua di scheletro
Un’esplosione massiccia di tempeste e rotoli di sabbia
Oh, bel mondo, prendi vita per me
Il dio dalla lingua lunga non è reale
Trascina la catena stretta nelle sue mani di vimini
Questo fratello è di carta sottile – forma ma non sostanza
Non ha mai vissuto quindi non è morto
Questa è la paura dell’uomo resa spazzatura…
…E mentre accendi il bastoncino d’incenso
Prego che le tue dita possano bruciare
Tradotto con http://www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)
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Il guscio d’ostrica

immagine da Wikipedia

Dopo l’ultimo articolo di ilnoire, mi è stato impossibile astenermi. Di seguito il guanto di sfida.

“L’anello di congiunzione tra passato e presente… il rimasuglio di quella stirpe che erano i dinosauri, uccelli che tutt’ora sono le creature (dopo i micro organismi e le zanzare) più resistenti e forti della Terra. Un paio di (innocui) uccelli di scogliera scacciano un orso affamato a colpi di becco… becco con cui spaccano il guscio delle ostriche. Ed ecco il là per un nuovo racconto (potresti scriverlo tu!).”

È così che ilnoire mi ha buttato una provocazione creativa. La raccolgo. (E qui la sua ripubblicazione! Grazie 🙂 )

Buona lettura!


Che quel becco abbia scacciato un orso, è ormai storia (ne porta ancora i segni).
Che quello stesso becco abbia aperto l’ostrica, invece, è storia in divenire.

Stremato dopo il lungo viaggio, la vista di cibo pronto su una barca a vela bialbero è un dono, il dono di benvenuto in questo luogo caldo.

E il dono è raccolto in un canestro metallico di facile accesso, quindi lo si ghermisce, lo si porta in alto e dall’alto lo si lascia cadere su una pietra: che s’apra. E poi ancora a picco, sulle valve esposte, a mangiarne.

Così, da resto, il guscio vuoto ha ora la sua storia, rotolando a riva, trovando alla fine un assetto non banale, incastrandosi tra cocci levigati e sassi appena baciati dall’acqua dolce.

«Serrate i ranghi! Serrate i ranghi!» Esclama l’uomo con gli auricolari e fermo sulla battigia.
L’ordine è indiscutibile ed è l’unico sensato per evitare il declino.
Dall’altro capo della conversazione si odono rumori di una serrata confusa; disordine; mezze frasi.
L’incombenza del declino agita l’uomo e gli provoca un reflusso esofageo, ma si piega, raccoglie la conchiglia vuota per ricevere conforto dal toccarne l’interno liscio. Sembra funzionare.

Raddrizza la schiena. Parte un altro ordine.
«Che non si dica! Che non si nomini la sconfitta
Invece eccola che si autoavvera: la perdita.
Ma non della partita, che chissà se di quella importa ancora. Ma di lei.

«Lei lei. Mia bella lei. Dove sei? Chi si avvicina alle tue labbra? Chi si riscalda il cuore?» Si domanda a voce bassa l’uomo. (Come se non lo sapesse, con tutti i pedoni perduti in piccoli passi. Ce n’è una lista: quello bellicapelli, quello senzacapelli, quello dallo sguardo sprezzante, quello dallo sguardo intenso…)
«Lei lei. Mia bella lei. Cosa fai? Cosa farai? Smetterai di giocare alla cazzo?» Si domanda con voce isterica l’uomo. (Giocatrice non certo scaltra, no, ha solo quel maledetto intuito e quei maledetti pedoni a regina, in una moltiplicazione infinita di mosse a spruzzo. A spruzzo, porcaputtana! Come si fa a giocare in modo così arrangiato e far cadere uno a uno i pezzi migliori?)

«Le sono rimasto sotto io!» Grida una torre.
«Ce l’ho! Ce l’ho!» Gli risponde il cavallo impagliato.
Silenti gli alfieri, suicidati quando troppo vicini.

«Che manica d’imbecilli! … Regiiiina!» E con moto di stizza lancia in acqua la conchiglia vuota.

La Regina non ama occuparsi del lavoro sporco, soprattutto se per garantire il successo al Re (eh no!) e la malavoglia la prende in un modo così indolente e sfacciato da provocarle l’arresto, a un passo da lei.

«No, no, noooooooo! Perché devo occuparmi di tutto io? Sempre! Pezzi di scacchiera malandati! Pezzi di scacchiera usata! Pezzi di sc-ACCO!» Urla l’uomo.

Una speranza! Finalmente una mossa buona! Ci voleva ingegno-astuzia-conoscenza da giocatore esperto e così non perderà, in ordine: la faccia, la speranza, lei.

Peccato, l’ordine dei 3 elementi è errato.

La conchiglia ritorna al piede, spinta dalla scia di un motoscafo. Lì, da vuoto, gli lambisce un vuoto.
Poi rotola in risacca.
(Ma questa è un’altra storia.)


IL BLOG CHIUDE PER FERIE.
SI RIAPRE A SETTEMBRE.
BUONE VACANZE A TUTTI!

(Io le trascorrerò con la mia piccola cabrio, non ancora verniciata.)

Вера Брежнева – Я не святая
Ты понимаешь, тут такое дело –
В двух словах не скажешь то, что накипелось давно.
Ты понимаешь, я сказать хотела –
Был то плюс, то минус, а теперь вдруг стало равно.
[Переход]: Не потому, что мне так кажется;
Не потому, что всё надоело мне –
А потому что не хочу каяться
И разбираться, кто виноват.
Я не могу в пол силы любить тебя
И потому мне снова покоя нет.
И потому, когда душа мается –
Я повторяю эти слова:
[Припев]: Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
[Куплет 2, Вера Брежнева]: Ты понимаешь, тут такое дело –
Просто утомилась, то взлетать, то падать на дно.
Ты понимаешь, я сказать хотела:
Был то плюс, то минус – а теперь вдруг стало равно.
[Переход]: Не потому, что мне так кажется;
Не потому, что всё надоело мне –
А потому что не хочу каяться
И разбираться, кто виноват.
Я не могу в пол силы любить тебя
И потому мне снова покоя нет.
И потому, когда душа мается –
Я повторяю эти слова:
[Припев]: Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.
[Инструментал]
[Припев]: Я не святая и грехи свои точно знаю,
Но ты не хочешь их делить на двоих.
Я не святая, иногда мы не совпадаем –
Только взять себя в руки, я смогу если в руки твои.

Vera Brezhneva – Non sono una santa
Vedi, il fatto è questo.
Non puoi dire in due parole quello che si è accumulato per così tanto tempo
Sai, stavo per dire.
C’era un più o un meno, e ora è tutto uguale.
[Transizione]: Non perché ne ho voglia;
Non è perché ne ho avuto abbastanza.
È perché non voglio pentirmi
E non voglio sapere di chi è la colpa.
Non posso amarti la metà di quanto dovrei
Ecco perché non posso riposare di nuovo.
Ed è per questo che quando la mia anima soffre
Ripeto queste parole:
[Coro]:
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non corrispondiamo.
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se ti tengo nelle mie mani.
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non siamo uguali
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se è nelle tue mani
[distico 2]:
Sai, il fatto è questo –
Sono solo stanco, ora vado su e ora vado giù.
Sai, volevo dire:
C’era un più, poi un meno – E ora è improvvisamente uguale.
[Transizione]:
Non perché ne ho voglia;
Non è perché sono annoiato
È perché non voglio pentirmi
E non voglio sapere di chi è la colpa.
Non posso amarti la metà di quanto dovrei
Ecco perché non posso riposare di nuovo.
Ed è per questo che quando la mia anima soffre
Ripeto queste parole:
[Coro]:
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non corrispondiamo.
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se ti tengo nelle mie mani.
Non sono una santa e conosco i miei peccati,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non siamo uguali
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se è nelle tue mani.
[Strumentale]
[Coro]:
Non sono una santa e conosco i miei peccati con certezza,
Ma non vuoi condividerli.
Non sono una santa, a volte non corrispondiamo.
Posso prendere me stesso nelle mie mani solo se è nelle tue mani
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Dove credi di andare?

immagine presa da qui, ma elaborata da me

Dove credi di andare?

Domanda idiota. Non vedi? Sto per uscire dal portone, con tutte e due le borse colme e la voglia di essere altrove, via, lontano da quella voce allarmata. La macchina mi aspetta, c’è un uomo alla guida (un bell’uomo) e il fragore del traffico tra poco mi avrà a riempirlo. Inutile la presa del polso, il trattenermi impulsivo. Strattono. Sono già con un piede fuori e la luce del giorno colora la scarpa di amaranto acceso. Inutile togliermi la borsa dalle dita e appoggiarla a terra, sono davvero decisa e la riprendo con tutto ciò che contiene, non uno spillo di meno. Anche l’altra scarpa si è tinta alla luce e la mia schiena non è un messaggio sufficiente per capire di che natura siano le intenzioni? Infantile cercar di trattenere le spalle. Le scuoto a liberarmi di mani e pensieri e la portiera si apre e un braccio mi cinge la vita e il mio è un urletto d’esasperazione perché prima o poi si deve mollare, perché una donna che ti lascia indietro ha un motivo e il motivo è la macchina che si accende, la portiera aperta, l’uomo che sorride e… graffio. Sì, graffio la pelle scoperta e l’esclamazione sorpresa e dolente accompagna la mia libertà. Sii coraggioso, non ululare di un graffio, non sprecare parole indecenti e lasciami i capelli, cazzo! Mi volto, ci guardiamo. Lui è affranto, vedermi gli occhi gli crea un dolore e lascia. I capelli. La donna. La mattina di sole.
Salgo in macchina.

«40 foulard d’Hermes. Parti!»
«Bel colpo.»


Un contributo che ci sta a pennello (grazie Tony Pastel!)

The Smiths – Shoplifters Of The World Unite (Official Music Video)
Learn to love me /Assemble the ways /Now, today, tomorrow and always /My only weakness is a list of crime /My only weakness is… well, never mind, never mind
Oh, shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world
Hand it over – Hand it over – Hand it over
Learn to love me /And assemble the ways /Now, today, tomorrow, and always /My only weakness is a listed crime /But last night the plans of a future war /Was all I saw on Channel Four /Shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world
Hand it over – Hand it over – Hand it over
A heartless hand on my shoulder /A push – and it’s over /Alabaster crashes down
(Six months is a long time) /Tried living in the real world /Instead of a shell /But before I began… /I was bored before I even began / Shoplifters of the world /Unite and take over
Shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world /Unite and take over /Shoplifters of the world /Take over.
“I taccheggiatori del mondo si uniscono”
Impara ad amarmi /Riunisci i modi /Ora, oggi, domani e sempre /La mia unica debolezza è una lista di crimini /La mia unica debolezza è… beh, non importa, non importa /Oh, taccheggiatori del mondo /Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Consegnatela -Passamela -Passamela
Impara ad amarmi /E riunisci i modi /Ora, oggi, domani e sempre /La mia unica debolezza è un crimine elencato /Ma ieri sera i piani di una guerra futura /Era tutto ciò che ho visto su Channel Four /I taccheggiatori del mondo /Unitevi e prendete il controllo
Taccheggiatori di tutto il mondo /Consegnatela – Consegnalo – Passamela
Una mano senza cuore sulla mia spalla /Una spinta – ed è finita /L’alabastro crolla /(Sei mesi è un tempo lungo) /Ho provato a vivere nel mondo reale /Invece di un guscio
Ma prima di iniziare… /Mi annoiavo prima ancora di iniziare /Taccheggiatori del mondo
Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Unitevi e prendete il controllo /Taccheggiatori di tutto il mondo /Prendere il controllo.
Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)

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Cosa ho scritto un anno fa? Il racconto “Ping pong”.

PING PONG è un racconto un po’ furetto. Ovviamente ci sono palline, punti, giocatori e un prima, un dopo. Vado a giocare la mia partita (non esattamente quella qui descritta). Vediamo chi la vince.

A martedì!


Mulitplayer (immagine da qui)

«NiiiiHAaaaaa!»

Esce dalle labbra a mo’ d’acuto spasmo e rientra in risucchio verso la macina sciocca dei denti. Il collo issa un capo pesante d’ingombri e gli occhi si aprono piano in controllo. Nessuno.

«Alvì-na!»

Dall’ombra si palesa la donna; premura e azione animano un corpo stanco.

«Signora?»

«Le ciabatte.» la e è ancora nell’aria quando il collo cede all’estrema fatica, e molla: planf!

«State bene Signora?»

«Ma sì… ho sete.»

«Quella sete, Signora?»

«Mh.»

Alvina raccoglie l’abito a teli di georgette arancione ed esce dalla camera senza produrre un rumore.

«Ah…» suono troppo evanescente: si riprova «Aaaah»; non basta «AAAAAAAH!!!» bene, ora si ode. Una mano esce furetta allo scoperto, saggia il mento, la mobilità del naso e spiana la fronte di palmo. La gemella la raggiunge e coordinate massaggiano piano le tempie.

«Porca vacca che ciucca!»

Che ciucca? La bocca si apre, i ricordi li organizza così. Dunque: cena da Gianna (discreta); spostamento al cinema per caricare Patrizio (non guida); rientro da lei con Gianna e Patrizio per la partita di ping pong (settimanale). Punto.

Chi ha vinto? Lei, Gianna, Patrizio. Ok. Arriva Lenny (Lenny…). Il gioco non s’interrompe (e perché mai). Lenny arriccia il naso e in sala accende l’impianto hi fi (si distrae). Il gioco non s’interrompe. Lui si impegna preparando dei cocktails (come in uso). Il gioco non s’interrompe. Lenny vede bene di cadere portando da bere (porcazzozza!). Ha il punto.

Il punto a Lenny l’ha dato Onorina al pronto soccorso che, sul finir del turno, si è proposta per il 4° in coppia. Rientro. Lenny, dopo il punto, ha visto bene di non vincere altro e si è accasciato in poltrona col braccio pendulo.

«Lenny! La pallina è finita da te!» lui guarda la piccola e insignificante rompicazzo, abbandona la poltrona per andarle incontro e, con suola decisa, la schiaccia: crack! Al suono si affacciano i quattro con diverse modulazioni d’insulto. Punto a Lenny.

Gliel’ha dato Onorina, dopo che Gianna ha tirato furiosa la clutch gioiello, prendendogli il naso.

E dopo?

Dopo, il nostro imbastisce una lunga lamentela quasi esiziale, con accuse d’insipienza agli amici. Passaggio di mano in mano di un colmo bicchiere di whisky scozzese. Approdato alla salda stretta del tumefatto, la richiesta è, a lingua scoccata al palato, di aver compagnia. Gianna lo punzecchia, Onorina gli controlla il cucito, Patrizio si serve un cognac.

E poi? Non ricorda. Punto.

Si alza dal letto, nuda. Le duole una natica, palpeggia. Si sposta allo specchio a parete e si torce. Segno di denti.

«Merda!»

Doccia, intimo e un sospetto. Apre piano la porta e osserva la scena: sull’enorme divano firmato un intreccio carnoso a quattro corpi sogna, boccheggia, russa. Sorride, si veste in silenzio e piano esce, sorpassa i sopravvissuti agli amplessi e raggiunge la cucina. Alvina le serve il dovuto, le mostra una busta e le consegna il telefonino.

«Hanno chiamato cinque volte, Signora.»

«Grazie.»

Mangia con infinita lentezza e sul finire fuma la sigaretta mattutina. Qualche boccata e la spegne. Ricorda. Sorride. Adesso ha fatto il punto.

«Pensa tu ai ragazzi. Questa notte non torno. Resto in convento con le consorelle.»

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EX – Individuazione (11)

(immagine da qui)

dialogo precedente


– Ciao, ti trovo splendidamente!
– Anche tu Mister!
– Ci beviamo qualcosa?
– Volentieri.
– Sai, ti ho pensata di recente.
– Strano.
– Sì, lo so. Lo è.
– Ma sei ancora un collezionista?
– Sempre.
– Già, “Alla natura non si comanda” dicevi.
– Qualche volta dispiace.
– Ma non direi, troppo impegnato nella ricerca di quella successiva, no?
– Sì, ah ah ah, è così in effetti.
– Quindi non capisco.
– È che tu sei…
– Sono?
– Tu sei… così schietta.
– No, ho sempre usato guanti di velluto con te. Sarà stata un’altra.
– Ah. Ok. Allora: tu sei sempre stata così… comprensiva.
– Ti ho lasciato una cicatrice (a forza di reprimere, eh!).
– Ah. Sì, ma quale cicatrice?
– Quella lì, tra indice e medio.
– Giusto. È che tu sei stata talmente difficile da soddisfare…
– No, guarda, quello non è mai stato un problema tra noi.
– Mh. Sei intrattabile.
– Neanche.
– Sadica.
– Riprova.
– Impegnata.
– Ce la puoi fare.
– Snodata.
– L’ho conosciuta la tua snodata.
– Ecco, bene, cioè male, ma sì, bene dai.
– E quindi?
– Tu sei così…
– Cosa ci fai qui Mister?
– Non ricordo cosa sei stata, mi manca il tassello.
– Quando sono troppe sono troppe, o la stronzaggine, o l’età: scegli.

(da qui)
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Il ladro di acqua pazza

(immagine da qui)

Mezzelune al bruzzo;

razza all’acqua pazza;

pizza con cozze;

mozzarella in carrozza.

Di contorno abbiamo le verdure in tazza (cotte o crude).

Questo è quanto.

No, niente pastasciutta. Il menù è deciso dal cuoco giorno per giorno: “procedo per suggestioni”, dice. Ieri sera, prima di andare a dormire, gli sono piaciute le doppie in zeta. Ogni suo desiderio è un ordine. No, non ciò che desidera Lei, ciò che desidera lui.

Sì, qui funziona così. Cosa vuole che le dica, ogni giorno ha un capriccio nuovo e qualcuno ci ha fatto passare dei guai, guai seri, intendo. Io annoto sempre, abituato a prendere le comande, annoto tutto, su questo blocchetto, vede?

No, non posso sedermi al tavolo, sono in servizio.

Ah, è interessato a ciò che ho scritto, sì, e cosa ordina nel frattempo? Razza all’acqua pazza e tazza di zucchine. Da bere? Davvero vuole gazzosa? 1 bicchiere di gaz-zo-sa. Sì, mi dica.

Guardi, secondo il mio modesto parere dovrebbe chiedere prima al cuoco, è roba sua, io sono solo un testimone. Ma, mi scusi, Lei di cosa si occupa? Ah, scrittore.

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EX – I conti tornano (10)

(immagine da qui)

Dialogo precedente


– Eccola!
– Eccolo!
– Mi sei mancata.
– Tu per niente.
– Ah ah ah! Caustica!
– Ogni tanto.
– Ma proprio con me? Che ti ho fatto di male?
– Ho l’elenco.
– Qui?
– Certo!
– Anch’io!
– Davvero?
– Sicuro!
– Ok, quanti punti hai segnato?
– 10, come al solito. Tu?
– 95.
– Minchia! Ma davvero?
– Guarda! Non scherzo.
– Ma, no, dai, non è possibile, sono troppi.
– L’idea è stata tua, vorrei ricordare.
– Sì, mi picciono queste cose, le liste, sono un fanatico delle liste.
– Lo so bene, è il punto numero 29!
– Ma dai, cosa ti hanno mai fatto le mie liste, a parte, lo ammetto, buttarti addosso un po’ di ansia?
– Un po’ di ansia? Ti fossi limitato a compilarle per te non sarebbero state un problema.
– Ma sì, lo sai, mi piace programmare, avere tutti sotto controllo.
– Sì, è il punto 7.
– Hai proprio messo tutto?
– Basta preliminari: scambiamocele.
– Noooooo! Non la voglio leggere!
– C’è! È la numero 12!


Vignetta di Roberto Mangosi (da qui)

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EX – Non volendo (9)

(immagine da qui)

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– Oh! Buonasera Signorina!
– Ciao.
– Ti trovo bene!
– Sì, anche tu stai bene.
– Già… sai, non volevo venire.
– Potevi dirmelo prima.
– Già, ma poi ho cambiato idea.
– Ecco.
– Ho cambiato idea perché voglio comunicarti alcuni fatti.
– Ah. Ok, ci sta.
– Già!
– Sento aria da “chiusura dei conti”.
– Senti bene.
– Mi sembra giusto.
– È giusto.
– Sai che potrei dire la mia, naturalmente.
– Preferirei di no, ma è giusto anche questo.
– Ok, sono qui, parla.
– Sai che mia madre ti odia?
– Sì, dal primo giorno, non è una novità.
– Vero.
– Poi?
– Sai che mia sorella ti odia?
– Sì, da quando le ho detto di mettersi con uno psichiatra.
– L’ha fatto.
– Ah…
– Sì, tra loro è finita male e dà la colpa a te.
– E cosa c’entro io? Me n’ero già andata!
– Glielo avevi detto tu, per lei è colpa tua.
– Ah ah ah, sì, tipico.
– Sai che ti odio?
– Sì, da sempre, non me l’hai mai nascosto. Dopo un po’ la cosa diventa pesante, sai com’è.
– Sì, comprensibile.
– Direi che abbiamo fatto 30. Facciamo 31?
– No, lui no… mio padre non ti odia. Nemmeno volendo. Neanche non volendo.


Particolare de I Nottambuli, di Edward Hopper. 1942. Art Institute of Chicago( da qui)

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EX – L’Om (L’Uomo) (8)

ID 94241479 © Anastasiia Bobko | Dreamstime.com (immagine da qui)

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– Ciao!
– Ciao…
– Che c’è?
– No, niente, sei molto cambiato.
– Trovi?
– Sì, oserei dire quasi esotico.
– Ah ah ah!
– Comunque stai benissimo. Ah ah ah!
– Com’è strano ridere ancora insieme. Sembra che sia passata una sola settimana.
– Infatti!
– Mi sento in vena di confidenze. Posso?
– Non c’è problema.
– C’è una cosa che non ti ho mai detto (e come avrei potuto?).
– Dimmi.
– Sei stata la mia unica minorenne.
– Anche tu. Ah ah ah!
– Ah ah ah! Che due cretini!
– Scusami, sto cercando di abituarmi al nuovo te… ma da quanto?
– Da quando mi hai lasciato.
– Ah, vuoi dire che è colpa mia?
– No no, anzi, ti devo ringraziare, ho capito solo dopo.
– Eh, sembra che tu ne abbia capite anche troppe.
– L’idea ti imbarazza?
– Ma no, figurati, è che non mi aspettavo di trovarti così.
– Così splendido? Ah ah ah!
– Ah ah ah, sì!
– Merito tuo, davvero sai?
– L’averti creato una crisi mistica?
– L’avermi spinto in braccio al tantra…
– Vendicativo!



ID 16492138 © Scott Griessel | Dreamstime.com (immagine da qui)

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EX – Esche (7)

(da qui)

Dialogo precedente


– E così poi ti sei messa con lui.
– Sì.
– E?
– Etciù! Allergia alle domande del cazzo.
– Ah ah, spiritosa.
– Sì, sono spiritosa.
– Non ho il senso dell’umorismo, ma non è mai stato un problema, no?
– Io vado di qui. Ciao.
– Ferma. (Fermati).
– Distanza.
– Ok, scusa… aspetta, ancora un minuto.
– Ho riscoperto la fretta.
– Devo dirtelo: mi hai creato un problema.
– Non ho intenzione di assecondarti.
– Te lo dico ugualmente: mia figlia ha voluto che le leggessi la tua favola, per un intero anno.
– Ci sei arrivato finalmente.
– Sì, è servito, molto.
– Ne sono lieta. Davvero, ma adesso vado.
– Appena te ne sei andata lei ha provato a imitarti in tutto. Ha provato a imitare anche la mia ex moglie. Si era messa in testa che conquistando la bambina si sarebbe presa tutto, attività commerciale di mia madre inclusa.
– Non voglio sapere com’è finita.
– Mi dominava.
– È sempre un ottimo sistema.
– Si è presa tutto, me, me, me e me. Tutto me. È stato… non puoi capire.
– Che vuoi che ti dica?
– Che mi farai un prestito.

Kirsten Dunst (da qui)

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Racconto nero (7)

immagine da qui

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CAPITOLO 14
– FANTASCIENZA –

La macchina del tempo.

Il letto è sfatto e la coppia è passata a cercare sui giornali qualche notizia piccina, inusuale, stravagante, che li possa riguardare. Nulla sui quotidiani, ma un articolo di Scientific American compare come un ratto dalla tana. Un mensile che ogni tanto compra lui, ogni tanto compra lei. È stimolante, sono attratti da tutto ciò che non conoscono e gli argomenti descritti sono spesso al di fuori della loro portata, ma il taglio e la capacità narrativa degli autori li rendono apparentemente comprensibili. Leggono ad alta voce e non riescono a trattenere ipotesi fantasiose e bizzarre: la pandemia dai bruchi; il nonno del Miocene; le origini dell’A.I.D.S.; il viaggio su Titano; le teorie sui buchi neri.
Già si vedono, su Titano, passati per un buco nero, in compagnia del nonno del Miocene a far penicillina ai bruchi per non ripetere gli errori commessi in Africa dai primi dottori europei. Ma su quel satellite di Saturno i bruchi ci saranno? Di certo! Se no a chi iniettare il vaccino? Non possono sicuramente al nonno che, con amorevole orgoglio per la progenie, li lecca e li spulcia come piccoli di orango.

– Nonno ci riconoscerà quando saremo là?
– Certo Tesoro, ci guarderà con occhi profondi e vedrà in noi i suoi geni modificati, ci tirerà via i parassiti e forse ci terrà in un abbraccio quasi animale.
– Ma noi lo sentiremo tanto umano…
– Per forza, è il nonno!

Lo scenario non li abbandona fino all’ora di cena.


CAPITOLO 15
– IL FRIGORIFERO

Il salto nel?

Sono al mini-market del campeggio, aperto praticamente per i nuovi clienti. Si muovono indisturbati sotto l’occhio annoiato della cassiera/barista/animatrice/bagnina che non vede l’ora se ne vadano per tornare alla sua occupazione preferita, il video poker. Comprano del prosciutto, delle uova, verdura, pasta, pomodoro, un quarto di litro di olio d’oliva e del pane, formaggio e latte. Per tre giorni dovrebbe bastare.

Iniziano ad avvertire il peso di ciò che accade. Sono spossati, si addormentano al primo buio senza aver cenato.

Si svegliano al mattino e si prestano finalmente a riporre gli alimenti nel frigorifero… è una festa! I quattro occhi si muovono nuovamente increduli, rimbalzando da una parete all’altra, all’interno di quell’invenzione magnifica. Riempire ciò che fu vuoto e svuotare ciò che fu pieno li rende elettrici e di ottimo umore.

Vanno a fare colazione al bar, leggono il giornale. Nulla che li riguardi. Ne sono lieti, anche se la mancanza di notizie li preoccupa un po’. Si concedono un giro per il villaggio e lì, dietro al baldacchino dei gelati, scorgono i fari, ora spenti, che li hanno cacciati in precedenza. Magari è solo una suggestione, ma. Senza dare nell’occhio sgattaiolano nel bungalow.
Lei decide di farsi bella, una doccia e via a indossare solo l’intimo. Lui decide di farsi ardito, la stessa doccia e via, costumino adamitico.

Splendono come Swarovski in vetrina.

Così messi decidono un agguato al ritrovato frigo, insieme, accucciati, come sempre. Rimirano i ripiani da poco riempiti, aprono il cassetto della verdura e, come d’incanto, ecco la piccola macchia nera. Li saluta.
La porta del bungalow traballa e con sonoro schianto plana a pelle d’orso nell’ingresso. Tre controfigure di Marlowe irrompono ansimanti. Li fissano minacciosi e meravigliati. Solo un attimo di distrazione nell’osservare l’eccentrico abbigliamento dei due. Fatale.

Marito e moglie si voltano, sorridono, danno il benvenuto ai nuovi ospiti e allungano le mani verso la piccola assenza di colore.

Scompaiono.

Fine

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Racconto nero (6)

Nastro di Möbius II / Möbius Strip II, 1963 (da qui)

Puntata precedente


CAPITOLO 11
– LA VOLVO S60 –

MIR.

Mario si chiama l’autista della Volvo S60 che li ha fatti salire pochi istanti prima. Deve fare molta strada e da solo rischia di addormentarsi. Chiede che lo tengano sveglio, la notte è monotona, ma le vie sono libere e percorribili. Vuole sapere di loro due, chi, come, dove e quando. Insomma: gli piace raccogliere storie della gente che incontra, lo fanno sentire depositario di esperienze, di vite, di aneddoti. Per essere uno che vuole soltanto non addormentarsi in viaggio è davvero invadente, ma, come per i parenti, quelli che ti danno passaggi non si possono scegliere, o non sempre.

Prende la parola lei.

– Siamo in luna di miele
– Di notte?
– Non c’è luna altrimenti…
– Hahahaha, ma siete dei pazzi!
– Siamo solo in ristrettezze economiche, quest’anno l’assicurazione ci ha chiesto una cifra incredibile per la macchina e abbiamo deciso di tenerla ferma per un po’.
– Non è un brutto modo per abbattere i costi, farò uno studio approfondito.
– Ci deve citare però, ci teniamo alla paternità dell’idea.
– Va bene, va bene, citerò due autostoppisti, sembra quasi poetica messa così.

La nottata si consuma tra risate, invenzioni di sorta e, soprattutto, verità nascoste. Perché Mario ne ha qualcuna, ma i nostri protagonisti ne hanno moltissime. Per l’occasione sono diventati due novelli sposi, senza parenti perché contrari alla loro unione, senza posto fisso, con una miriade di lavori fatti, con una grande passione per l’archeologia. Hanno dato inizio a una nuova religione, possono contare su una dozzina di adepti e, settimanalmente, si ritrovano indossando tutti gli indumenti sporchi di una settimana. La purificazione viene dall’insudiciamento, l’una senza l’altro non ha senso e su questa verità mistica si fonda tutta la teologia del nuovo culto. Glielo descrivono per decine di chilometri. Improvvisato lì per lì, come il resto.


CAPITOLO 12
– LA MULTIPLA –

Top Secret.

– Buona serata Signori, dove vi porta il vostro taxi notturno?
– Se dovessimo andare dove va Lei?
– Dove vado io non ve lo voglio far sapere, a me interessa dove volete andare Voi.
– Ci porti un centinaio di chilometri più in là.
– Sarà fatto Signori.

La Multipla che li ospita è spaziosa e accogliente, l’autista un rappresentante di carta da parati, ha uno spirito fuori dalla norma e giocare a uno scambio di ruoli non è nemmeno difficile. Pare che vi sia abituato e non nasconde l’ipocrisia di una bugia, detta male o bene, preferisce semplicemente una storia sensata e aiuta gli astanti in questo. Potrebbe essere una persona della quale fidarsi in un momento così critico, ma è tutto troppo aleatorio.

– Stiamo scappando.
– Chi non scappa da qualcuno o qualcosa.
– Noi scappiamo e basta.
– Voi avrete i vostri motivi, non discuto.
– Le sue carte sono molto belle.
– Non sono solo carte, sono Carte.
– Detta così sembra che lei trasporti oggetti pieni di segreto fascino.
– Posso nasconderlo forse?
– Non più di quanto noi si possa nascondere qualcosa.
– Ma voi nascondete qualcosa, sembra però che non sappiate cosa.

Restano in silenzio per un po’, la frase li colpisce a un fianco e davvero non hanno idea di cosa rispondere. Avessero una parte da interpretare avrebbero anche il segreto da celare, ma così, cosa sia da non dire non è chiaro, a loro poi…
Si sentono caldi e al sicuro su quella vettura ampia come il ventre di una balena, con un conducente discreto e saggio, avvezzo a tutto. Si addormentano l’uno nelle braccia dell’altra.
Li sveglia al mattino una mano discreta e gentile.

– Siete arrivati.
– Grazie, le dobbiamo molto.

L’uomo sorride e li lascia all’ingresso di un campeggio.


CAPITOLO 13
-LA META –

La striscia di Mobius: giri, giri, ma sei sempre sullo stesso nastro.

Per stravagante alchimia avvertono di essere nel posto giusto.
È giorno e hanno bisogno di un posto nel quale stare. Il campeggio ha la portineria aperta e prenotano un bungalow per tre giorni, poi vedranno il da farsi. L’abitazione è pulita e offre alcune comodità, compresa la mancanza di turisti. Si sdraiano sul letto, riposano qualche ora, si lavano, sistemano alcune cose alla loro maniera e, a giorno inoltrato, dopo una breve passeggiata sul lago e alcuni sassi lanciati con l’insuccesso di un solo rimbalzo, verificano in quale località siano finiti.
Li diverte non avere il controllo della meta. Non avendo loro il controllo, nemmeno gli inseguitori dovrebbero averlo.

Sembrano aver disegnato un otto sulla cartina geografica della loro regione. A questo punto devono aver fatto perdere orme, traiettoria e tutto ciò che si sono lasciati alle spalle, fosse anche d’infilata dritto davanti alla loro fronte. È stato così, per caso, e nel caso nutrono un’infantile fiducia.

Se la ridono. E amoreggiano sulla riva (ma questa abitudine ci è già nota).

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CAPITOLO 9
– LUNA DI MIELE –

Nebulosa.

Sono seduti su una coppia di sedili consunti e fintamente puliti. Gli schienali di quelli davanti mostrano opere d’arte grafica e plastiche composizioni, incastri solidificati di gomme da masticare e combustioni.

– È sempre romantico un viaggio in autobus.
– La mia romanticona…
– Prenderne uno il primo giorno di luna di miele è stata un’idea magnifica.
– Avevi dei dubbi?
– Solo quando quegli studenti hanno bivaccato sui nostri piedi.
– Probabilmente erano i loro posti.
– Dovevamo essere una visione insolita: finti pendolari abbracciati in una sequenza porno soft.
– Eh, va bene, gli abbiamo dato qualche lezione, dai!

Ricordano, conversano e si baciano. Infine decidono di continuare a replicare il viaggio di nozze, non tanto per i luoghi, quanto per la tipologia degli spostamenti.

Amici e parenti non l’avevano mandato a dire : “se non ci offrite la cena vi seguiremo per tutto il viaggio!”. Lasciati in pace la prima notte di nozze, la sfida si era aperta il giorno seguente; l’idea di scappare da tutti era un sogno che prendeva forma, un gran regalo! Inutile dire che riuscirono a far perdere ogni traccia, infliggendo anche un rigoroso silenzio, al ritorno, sui come, dove e quando.

Scendono a una fermata qualunque sulla statale di una provincia qualsiasi. Fa un po’ freddo e si stringono. Lui scrolla il braccio e sfodera un inequivocabile pollice.


CAPITOLO 10
– IL TIR –

Space Shuttle.

Il primo a offrire un passaggio è un confortevole Scania, condotto da un giovane uomo che, dopo anni di elucubrazioni politiche, aveva deciso di seguire il suo sogno di libertà e viaggiare per l’Europa guadagnando. Lamenta qualche problema con il carico, da tenere a bada, qualche incontro non piacevole, qualche inconveniente con la polstrada. Parla a lungo di sé, è poco curioso di loro e non fa domande.

Gli sono sembrati inoffensivi e, grazie al mutismo nel quale li ha costretti, anche simpatici.
Si fermano a una stazione di servizio e insiste per pagare lui panini, bibite e un’irresistibile confezione gigante di cioccolatini. Segue una filippica sul consumismo e sul boicottaggio delle grandi marche. Ripartono e l’autista non conosce ancora il suono della loro voce.

Lei si è addormentata e i due uomini iniziano una disquisizione sullo stato delle strade italiane, sulla politica e sul Real Madrid. Le opinioni non sempre convergono, ma è un buon modo per parlare del nulla, dopo la logorrea auto-referenziale delle tre due precedenti.

Quando si sveglia è accolta da una leggera musica di sottofondo, dal sorriso del compagno e da un gesto del mento del conducente. Passano alcuni chilometri e il camion accosta a destra.

È ora di scendere e cercare un altro mezzo, le loro strade si dividono per sempre, si salutano calorosamente e il TIR se ne va strombazzando.
Lei esce dal torpore, si stiracchia e sfodera un inequivocabile pollice.

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CAPITOLO 7
– STRANE COSE –

La paura non ha materia.

– Caro…
– Sì?
– È arrivato il momento dei carciofi.
– Dove sono adesso?
– Sul tappeto. Sai, non stanno così male.

Infatti fanno la loro porca figura su un tappeto rosso. L’accaduto trova nuovamente divertiti i due coniugi. Si siedono per terra e costruiscono scenari con altri oggetti in altri luoghi. Ridono di gusto e iniziano ad amoreggiare. Suona il campanello. Altra corsa per rispondere, lei lo tira per le braghe, abbassandole, lui cade con un tonfo sordo. Lo scavalca e arriva prima, ha vinto e apre. Prassi quotidiane.

Carlo entra in casa ed ha un’espressione inconsueta; si guarda intorno con circospezione e chiude subito la porta dell’ingresso.
In un filo di voce dice che stanno succedendo strane cose e che, forse, loro non sono al sicuro. Non sa spiegar nulla, ma ha paura. All’invito a sedersi e a prendere qualcosa da bere, fa seguire un gesto stizzito. Saluta, alza appena lo sguardo, accenna un sorriso e se ne va trafelato. I due restano attoniti e senza parole.
La paura di Carlo aleggia sui carciofi, si siede su una sedia e li osserva curiosa, ma è la serata del tresette e la coppia esce di casa lasciandola di guardia.

Bella rimpatriata, hanno giocato, vinto, perso, vinto e offerto da bere agli amici. Fanno per inserire la chiave nella toppa di casa e la porta si apre con una semplice spinta.

– Avevo chiuso…
– Avevi chiuso…

Un furto, uno strano furto, tutto alla rinfusa, ma le cose di valore sono al loro posto. Cosa cercassero i ladri non è chiaro, forse il filo interdentale? E si mettono a ridere. Vanno in cucina per prendere una bibita ed ecco: il frigorifero non c’è più.


CAPITOLO 8
– COME IN UN FILM D’AZIONE –

“Nemico pubblico”.

C’è un’aria spessa. Non si parlano nemmeno. La tensione li accelera. Prendono documenti e soldi e si dirigono di corsa alla macchina. Partiti.
Dietro di loro due fanali li seguono (e non hanno alcuna intenzione di lasciarli soli in quella buia serata.). Lui improvvisa una fuga per le viuzze del centro, ma quei fari sono sempre più vicini. In una zona poco illuminata spegne anabbaglianti e luci di posizione, parcheggia veloce, scendono e si mettono a correre in una diversa direzione. Guadagnano solo pochi minuti, utili per giungere al piazzale dei taxi e prenderne uno.

Destinazione: la stazione ferroviaria del paese più vicino. Arrivano, ma non hanno ben chiaro dove andare e come. Sembrava una buona idea prima, ma adesso, con il prossimo treno tra un’ora e mezza, iniziano a sentirsi nel posto sbagliato. Un momento utile per prendere un caffè, un paio di giornali, qualche sigaretta e consultare il tabellone degli orari degli autobus. Ne parte uno dopo dieci minuti e porta davvero fuori strada. Come inizio fuga può andar bene.

– Che si fa?
– Andiamo da Giovanna e Marco?
– Non credo sia una buona idea.
– Quando scendiamo potremmo…
– Potremmo?
– Fare come in viaggio di nozze!

La tensione cala e languidi si baciano a lungo.


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CAPITOLO 5
– SAN DANIELE E I SANITARI –

Sono da considerarsi in numero finito i modi utilizzabili per spostare una massa.
Quale sia questo numero è, tuttavia, indefinito.

– Cara!
– Dimmi Amore.
– C’è il prosciutto nel bidè!
– Ma dai?
– Sì, non me lo son portato perché mi sentivo solo…

Lei spegne la sigaretta e con un balzo è in bagno. Lui è un po’ spaesato, non gli piace essere osservato dal San Daniele mentre è sul water.
Nessuno dei due tocca il cartoccio; i quattro occhi si piegano pieni di interrogativi e il prosciutto, non visto, se la ride. Questa volta non possono soprassedere o fingere, rimettono il cibo in frigorifero e si siedono a discuterne. Ma di cosa bisogna parlare? In realtà l’oggetto sfugge, non solo metaforicamente.

Di cosa si deve parlare esattamente? Dello spirito del maiale che richiama a sé le sue parti? Della raggiunta inospitalità del frigorifero? Di azioni compiute e celate da irrimediabile amnesia? Di una visione collettiva dovuta alla fuga del gas? Dell’esistenza di un esperimento del quale, inconsapevoli protagonisti, subiscono le strane conseguenze?
Sono stati messi in una casa che produce ologrammi ed è sorvegliata da decine di telecamere per studiare le reazioni dei topini?


CAPITOLO 6
– UN OGGETTO CURIOSO –

La materia produce energia.

Altra settimana, altra partita, altra cena.

Gli amici sono affiatati. Gli uomini sono stanchi e la cena preparata non sembra saziarli a dovere. La pasta era ottima, ben condita e abbondante, ma si è fatta l’ora dei formaggi. Questa sera c’è bisogno di un tagliere, di pane fresco e di buon vino perché ciò di cui si apprestano a dissertare non è cosa da whisky.

La padrona di casa apre il frigorifero per togliere gli ignari alimenti. Dalla tasca di Carlo si alza un flebile ticchettio. Chiudendo lo sportello il suono cessa.
I coniugi non si sono accorti della cosa e re-imbandiscono la tavola per la continuazione della cena.

La voce dell’ospite si fa professionale, una cantilena nasale zeppa di termini tecnici ha preso il posto dell’amabile e schietta tonalità dei momenti di svago. Si stanno tutti e tre preparando a qualcosa, ma ignorano a vicenda l’argomento in preparazione dell’altro.

Carlo chiede di poter vedere il frigorifero, lo apre e il ticchettio fa di nuovo capolino dalla sua tasca, dalla quale estrae un minuscolo contatore geiger , attaccato alle chiavi del laboratorio. La coppia approva divertita l’originalità del portachiavi. In effetti l’amico è pieno di sorprese tecnologiche.

Una volta, durante un allenamento, per misurare la distanza di un tiro, aveva estratto dalla borsa un misuratore laser; definita la lunghezza aveva calibrato la potenza del lancio, sbagliandolo. La sua precisione in campo era e restava sommaria, qualunque strumentazione si adoperasse a usare. Avevano tutti riso per una settimana. Carlo stesso riportava spesso e con gusto l’episodio.

– In questo elettrodomestico ci sono delle radiazioni!
– Delle cosa?
– Signori… la cosa strana è che un frigorifero, in genere, è il posto migliore nel quale infilarsi in caso di radiazioni. Questa volta no, vengono da dentro.

Serata ricca di interrogativi, ma la coppia è tutto sommato tranquilla: nulla di male può venire dai loro fedeli elettrodomestici. Carlo, invece, è visibilmente turbato e parte salutandoli in fretta.


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Racconto nero (2)

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CAPITOLO 3
– SCAPOLI CONTRO AMMOGLIATI –

L’uomo è materia plasmabile.

Suona il telefono.
Breve gara a strattoni. Lei raggiunge per prima la cornetta, lui le assesta una culata e la sposta di peso. Ha vinto e risponde. Sono una coppia così e non hanno vicini.

È Carlo a chiamare; ricorda che quella sera c’è la partita canonica tra scapoli e ammogliati. Uno scrupolo, l’appuntamento è sacro.
Carlo è amico da tempo, conosciuto sul campetto da calcio all’epoca in cui tutti e due giocavano per gli scapoli. Allora lui insegnava scienze in una scuola media, ma, col tempo, era riuscito a metter piede al CERN. Amante delle abitudini, è disposto a farsi parecchi chilometri per non mancare a quell’impegno settimanale: una boccata d’aria fresca.

La coppia è una compagnia molto piacevole e, dopo la partita, capita si faccia tardi parlando di facezie e bevendo whisky, prima di ripartire in macchina.

Carlo milita da senior nella squadra degli scapoli e si domanda spesso come sia possibile che l’amico, da ammogliato, abbia preso a giocar meglio.
La domanda è stata oggetto di discussione una volta sì e due no, una volta sì e due no.
Una risposta chiara non l’ha mai avuta e il mistero si appresta a configurarsi come uno dei segreti di Fatima.


CAPITOLO 4
– COME CAMBIA LA VITA –

L’oggetto di una ricerca rigorosa può cambiare, in presenza di variabili o eventi significativi.

Questa sera Carlo, dopo l’atto agonistico, avrà la risposta ad anni di domande inevase.

L’amico è in un tale stato di grazia da decidere di spiegargli ciò che, sinceramente, gli risulta ovvio.
Obiettivo da scapolo: rincorrere quante più pollastre possibili; la cosa porta a indirizzare energie e tempo, lasciando poco altro ad allenamenti e partite.
Obiettivo da ammogliato: scappare da un’unica pollastra; la cosa porta a indirizzare energie e tempo proprio in allenamenti e partite.

Carlo è incredulo e guarda l’amica cercando segni di malcelato disappunto. Lei sorride soddisfatta, il suo uomo è assai più prestante da quando cerca di resisterle.
Certo, il matrimonio era stato sottotono perché lui non si turbasse troppo per l’impegno preso – al dito sfoggia un invisibile filino d’oro – e la cerimonia minuta e discreta.
Si erano presentati di fronte all’assessore di turno vestiti da sera, ma senza gran sfarzo e, dopo le nozze, avevano salutato i presenti andando a regalarsi una cenetta intima, per due, sul lago. L’indomani sarebbero partiti per un viaggio più o meno esotico.

Di quel viaggio non sa niente nessuno e non ci sono prove fotografiche a loro carico.


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EX – Testa dura (6)

(immagine da qui)

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– Sai che ti dico?
– Sentiamo.
– Mi piaci di più adesso.
– Oh santissimamadonna!
– … Ci vieni a Zurigo con me?
– No.
– Dai!
– No.
– Non sei curiosa di vedere Zurigo?
– No!
– Che testa dura!
– Sei in vena di complimenti?
– Una bella testolina! Dai! Sei sempre stata curiosa di vedere posti nuovi.
– No. Ma poi chi ti dice che non ci sia già stata?
– Ci sei già stata?
– Non sono fatti tuoi.
– Davvero, ci sei già stata?
– Una volta.
– Con chi?
– Con un amico.
– Quanto amico?
– Ma la smetti?
– Buon partito?
– Non sono cose che ti riguardino.
– No perché, se ti piacciono i buoni partiti, io…
– Non dire scemate.
– No, sono serio, io…
– Tu cosa?
– Ecco, noi partiamo per questo viaggio, la prendiamo un po’ larga, ci fermiamo qui e là a dormire, turismo di giorno, cene a lume di candela… se vuoi facciamo l’amore.
– Ma la smetti?
– Pacchetto completo!
– Smettila!!!
– Perché se no?
– Se no mi alzo e vado.
– Hi! Ok, ok.
– Oh!
– Allora ci vieni?
– No.
– C’è una parte anche per te!
– Eh?
– Sì, firmi qualche carta…
– Una testa di legno?
– Sì!!!! Bella testolina! (Bella.)

Greta Garbo e Melvyn Douglas (da qui)

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Racconto nero (1)

(immagine da qui)

Il racconto a puntate è datato 18 aprile 2005.
Ho deciso di riproporlo in questa sede.
Buon viaggio!


CAPITOLO 1
– LE SOTTILETTE –

Nel quotidiano si annida il mistero del creato.
È talmente schivo e poco propenso all’esibizionismo che difficilmente ci si rende conto dell’inesorabile cosmico.
Ma è lì.

– Caro!
– Dimmi Amore?
– Hai messo tu le sottilette sul pavimento della camera?
– No di certo Tesoro… le cosa?
– Le sottilette, Amore…

Lui si alza dal divano. Sorride sarcastico mentre si affaccia in camera. Lei è in piedi, fissa il pacchetto di sottilette in un punto qualsiasi del pavimento.
Si guardano, cercando di non tradire il reciproco sospetto. Tradiscono il reciproco sospetto.
Prima di raccoglierle da terra si siedono sul letto, si studiano un po’ e decidono di amoreggiare. Sono una coppia così, appena il dubbio si avvicina, si avvicinano.

Debellati i sospetti sulle loro persone, ipotizzano: una troppo longeva permanenza nel frigorifero delle sfoglie di formaggio fuso; una libera iniziativa di prendere e andare altrove, per diventare altro.
L’idea li soddisfa e, satolli per la spiegazione, si dirigono in cucina.


CAPITOLO 2
– IL POSTO CHE FU DELLA MUFFA –

La materia è in grado di stupire, anche quando si reputa di conoscerne ogni aspetto e comportamento.

Il frigorifero è aperto. Quattro occhi vigili ne studiano il contenuto.
Le sottilette erano lì, sul ripiano alto, vicino alle marmellate, ad altri formaggi e al cartoccio del prosciutto; lì le rimettono.

È un frigorifero pieno di cose, diversamente da altri momenti in cui era sembrato un vecchio albergo ad ore.
I quattro occhi si compiacciono della nuova disposizione degli ospiti alimentari; c’è del disordine, qualche odore forte, qualche colatura della quale non si riesce più a definire l’origine, resti vegetali e, nell’angolo del cassetto della verdura e frutta, a destra, in basso, un’audace chiazza di muffa.

No, fermi, la muffa non c’è più.

Nessun passaggio di straccio umido l’ha tolta, nessun tampone da microbiologo. La piccola coltura personale dei Signori è semplicemente scomparsa. Non potranno continuare a foraggiare idee di produzione artigianale dei vaccini.
Al suo posto è parcheggiata una piccola macchia nera. L’indole tollerante dei quattro occhi le dà il benvenuto silenziosamente.

Sbunf!


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EX – Reciprocità di effetti (5)

Robert Mitchum (da qui)

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– Ciao bella, come stai?
– Bene. Tu?
– …
– Nooooo!
– Che c’è?
– Davvero pensi possa funzionare ancora?
– Cosa?
– Cercare di farmi preoccupare!
– Non funziona più?
– Nooooo!
– Funzionava benissimo.
– Non sei cambiato.
– …
– Nooooo! Il silenzio passivo aggressivo nooooo!
– Mi hai detto che non sono cambiato!
– Va bene, riformulo: ti trovo bene.
– Solita vita, che ti devo dire.
– Nooooo! Ancora con il vittimismo?
– Non funziona più nemmeno quello?
– Riproviamo: che hai combinato in questi anni?
– Mah, niente di particolare.
– Noooooo! Ma dai!
– …
– Noooooo! Lo sguardo da gnagno! [vedi foto in altro – N.d.A.]
– Mi stai mettendo in difficoltà!
– È il minimo!
– Ok, ci sono, buttamene un’altra.
– Passate bene le vacanze?
– C’è il covid! Cazzo, ma lo fai apposta però!
– Sìììììì!!!

Ava Gardner e Walter Chiari (da qui)

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EX – Cop(p)ia e incolla (4)

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– Un caffè?
– Un caffè.
– Ordino io?
– Ordina tu.
– Carino qui.
– Ci vengo ogni tanto.
– Ogni quanto?
– Boh, una volta ogni 15 giorni, più o meno.
– Allora so dove trovarti.
– Non mi sembra il caso.
– Perché no?
– Perché ne è passata di acqua sotto i ponti.
– E Allora?
– E allora va bene così.
– Non sei cambiata.
– Sì invece.
– Non mi pare.
– Pare a me.
– E se ti dicessi che io…
– Lo so bene.
– E come fai a saperlo?
– Ho visto quelle con cui sei stato?
– Ah. Tu dici?
– Mah!
– Forse solo un pochino…
– Ho visto quelle con cui sei stato, ma non dopo di me, mentre eri con me.
– Ah.

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EX – Doppia sorpresa (3)

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– Quanto tempo!
– Hai ragione.
– Ti trovo molto bene.
– Grazie.
– Così hai deciso di non tingerti.
– Già.
– Lo sapevo. He he he! Conoscendoti immagino che…
– Cosa immagini?
– He he he!
– Dai, parla.
– Non l’hai capito? Una volta capivi sempre.
– Era importante.
– E adesso non lo è più?
– Non capisco dove vuoi andare a parare.
– Sempre là, alle recriminazioni.
– Grazie per avermi ricordato la tua arma segreta.
– Te la sei presa?
– Non ora.
– Bene, sarei fuori tempo massimo.
– Direi.
– Sai cosa mi manca?
– Oddio…
– Come sapevi sorprendermi… dai sorprendimi!
– E perché mai?
– Va bene, per una volta ti voglio restituire la cortesia: posso sorprenderti.
– Non è una novità.
– Ma questa volta potrei stupirti tantissimo, non sai quanto.
– Inizio a temerlo.
– Stupire non è spaventare.
– Dipende!
– Ah ah ah, su, lasciati stupire, tanto non ci vedremo per altri vent’anni.
– Non sono sicura, tutto sommato ho ancora qualche buon ricordo.
– Ah ah ah, sciocchina!
– Ok, ci posso riuscire: stupiscimi con effetti speciali.
– Sarà fatto.
– E fallo come se non ci fosse un domani.
– Come ti sei messa a parlare?
– Cattive frequentazioni, forza! E che sia indolore.
– Ma cattiva forte questa frequentazione.
– Uuuuuffff!
– Ok, sei pronta?
– Vai.
– Mi sono regalato un tatuaggio.
– Tutto qui? Tutti si fanno tatuaggi.
– Non è vero, tu no.
– Per te era solo una questione di tempo… non mi hai stupita.
– Un grosso tatuaggio: sulla pancia!
– Ok, hai la mia attenzione.
– Questo!
– AH! (Colpita e affondata.)



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EX – Teneramente con-traenti (2)

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– Te lo ricordi questo?
– Ce l’hai ancora?
– Un ricordo dolcissimo.
– Oddio, dolcissimo non direi.
– Sì invece, eravamo così…
– Così?
– Sì, così…
– Così come?
– Dolcissimi!
– No, dolcissimi in quel frangente no.
– Sì invece! Tu eri così…
– E tu eri cosà.
– Smettila, lo sai che è vero. Quando ci è mai ricapitato di essere così teneramente…
– Così teneramente cosa?
– Ma sì, ma sì, io ci ho pensato spesso sai? In tutti questi anni, ho pensato di venire a trovarti e mostrartelo.
– Cioè? Me lo stai mostrando per quel motivo?
– Sì!
– …
– Be’, che mi rispondi?
– Questo è il nostro contratto di trombo!
– Sìììììì! Non è meraviglioso? È dolcissimo!
– Ha quasi 30 anni questo coso… questo foglio macilento.
– E allora? Non c’è mica la scadenza! Non l’abbiamo messa apposta (eh!).
– Cioè, tu mi hai cercata per, cito, “trombare allegramente ogni volta che ci andrà“?
– Sì!!!!
– Ma ti rendi conto?
– È dolcissimo!!!
– Ma, scusa, a parte che, però, adesso, onestamente, non è che proprio, ma diciamola tutta, hai un’altra bambina piccola, hai bambine piccole con donne diverse ogni tre per due, anche senza contratto, diciamo poi, io potrei anche non essere disponibile, potrei considerarlo un’allegra cazzata, non avere voglia… MA SANT’IDDIO! NON LO RITENGO ESIGIBILE!
– Hai il mestruo?


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EX – Ricordo in prestito (1)

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– Quanti ricordi.
– Tanti, sì.
– Ti ricordi quando ti ho mostrato l’equino?
– Sì.
– È che tu…
– Già.
– Io però…
– Così dicevi.
– Era vero!
– Ne sono sicura.
– Sono sempre stato sincero. Anche l’equino.
– Beato lui.
– Ti ricordi quando ho camminato tre giorni tra i monti per raggiungerti?
– Sì.
– Ricorderò sempre quando ti ho vista appena arrivato. Così bella tutta preoccupata.
– Eri disidratato.
– Anche… però non mi hai dato nemmeno un bacio. Nemmeno all’equino.
– Dovevi pensare camminando, hai detto.
– Infatti.
– Ma non hai pensato.
– Infatti.
– Chissà cosa ti aspettavi.
– La ricompensa!
– Ho avuto il sospetto.
– Invece il giorno dopo mi hai rimandato giù a valle. E niente ricompensa.
– Mi hai detto che avresti pensato camminando.
– Esatto.
– Ma non hai pensato.
– Esatto.
– Inizio a credere che l’equino tolga facoltà mentali.
– Però poi, ti ricordi in tenda?
– Sì.
– E alla Sede?
– Sì.
– E a casa dei tuoi zii?
– Eh???
– Ma sì, a casa dei tuoi zii!
– Non ero io.
– Ah.
– Ok, tocca a me: ti ricordi quella volta nel furgone delle bibite? siamo usciti dopo 3 ore, io strisciavo.
– Sì! Sì! Sì!
– Non eri tu.


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Centri gravitazionali impermanenti

Ringrazio @didiluce per avermi dato la possibilità di lasciarmi suggestionare da un’altra sua affascinante opera fotografica.

Sì, lo so cosa succede a un centro di gravità impermanente, non credere. Lo so con esattezza: prolassa.
È inconcepibile, verissimo, verissimo. Abbiamo tutti un’altra idea a riguardo, quindi mi chiederai come sia possibile. Te lo racconto per come l’ho visto, due volte l’ho visto, perciò posso ben dire di saperlo. E te lo racconto.

La prima volta fu vicino a una scala di sicurezza, ero sotto a guardarla. Tutta la mia certezza era lì, nel suo essere sicura. Una bella scala che mi sarei messa volentieri in casa se ne avessi avuta una. Non importa.
Ero lì che la guardavo considerando la gravità del fatto che l’avrebbe resa grandiosa: salvare. Ah, la gravità che esercitava sulla mia attenzione, attirandola tutta. Ah, la gravità che esercitava sul mio sentirmi protetta dalla possibilità di fuga…
Non saprei, forse tutta quell’attrazione, forse altro, ma la scala iniziò a piegarsi su un lato. Mi spostai. Dovetti, per sicurezza. Un rumore orrendo di ferraglia stanca e d’impatto progressivo al suolo. Un prolasso di gravità, in tutti i sensi che mi ero data.

La seconda volta fu davanti a un cesto di frutta. Marcia.
La guardavo ormai da giorni e man mano si era trasformata in un luogo davvero pieno di vita: un ecosistema, ma aperto. Era divenuto fonte di interesse continuo e di nutrimento, crescita, certo, anche morte. La sua attrazione inesauribile si sprigionava invitando esseri sempre più grandi e affamati della vita che, instancabilmente, produceva.
Fu l’arrivo del cinghiale selvatico a spazzar via tutto. Ecco il prolasso. Capii come il cinghiale si sarebbe presto trasformato in un nuovo centro di gravità, forte, attrattivo. E impermanente.

Quindi, se adesso dici che sono splendida e perfetta come le visioni che attirando spiegano, sappi che il tuo interesse prolasserà, ricompattandosi intorno a una nuova visione dalla forte attrattiva.

Come dici? Non prolassa, ma rotola via al mutamento delle condizioni? Ah, sì, anche questo può essere.


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Bollicina

(immagine presa da qui)

Qui-qui il rigo azzurrino su cui scrivere dritta. Là-là il ranuncolo arancio fiorito in un dì. Su-su il cielo burgundo che tocca le dita. Lì-lì lo spazio aperto che chiama il domani. Giù-giù le scale che se cadi carezzano. E i pepi di fresia che nel volo mi speziano. E il ficomoro che ha un nome progràmmico. E un po’ di alloro. Che male non sta. Stando alla spiaggia come sto alla cadrega, questo è l’impulso a non esser stratega. Stando alla cima come sto al mio divano, credo che oggi ho toccato lontano. Liscio la treccia, aggroviglio un risvolto, placo la genesi e struscio l’arrocco. Macino passi, volto la carta, scopro un sorriso e mi vesto da Re. Se questo è il gaudio di un giorno qualunque, gioco a pescare e il pesce son me.

Vasco Rossi – Bolle di sapone
Quando alla musica vuoi dare un nome
ci metti sopra le parole
Quando la musica c’ha le parole… ding!
la puoi chiamare anche per nome:
la tua prima canzone
la tua prima canzone
Quando alla musica vuoi dare aria
lascia scorrere le dita
su qualsiasi cosa che faccia rumore… ding!
Ci puoi trovare la tua canzone
Magari una canzone d’amore
Magari una canzone d’amore
Per le parole non preoccuparti
è più facile di quello che pensi
Come le bolle di sapone… ding!
se soffi piano vengono da sole
Anche le parole
Anche le parole
Perché la musica non ha orecchi
non ha padroni, ma che maledetti
viene fuori dal rumore… ding!
Come la luce nasce dal sole
Come la luce dal sole
Come le bolle di sapone.

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Story-Lenny 11

QUESTO È UN TESTO MANIPOLABILE DAL LETTORE, SIA LA SINGOLA PUNTATA CHE LA TRAMA COMPLESSIVA, A PIACERE.

BREVE RIASSUNTO
Il Narratore irrompe nella quotidianità di un suo personaggio: Cara. Considerandola una propria creatura assume l’atteggiamento di un Creatore Onnipotente. Cara reagisce e resiste, ha una vita e in essa è presente Lenny. Il Narratore, invaghito, alterna seduzione e irrispettoso interventismo per costringerla a lasciare Lenny e dedicarsi a lui soltanto.
Qui, siamo al punto in cui il Narratore se n’è andato di casa dopo un battibecco.


Ringrazio (in ordine di apparizione) brunonavoni, Yleniaely, andream2016, Ettore Massarese (fu Franz), raccoltaedifferenziata, Nonna Pitilla, Marco, Sara Provasi, Adriano, Alidada, eleonorabergonti, Evaporata!!!

I materiali sono tutti in fondo. Buon divertimento!


Lenny, pronto? (11)

(immagine presa di qui)

– Lenny, pronto?
– …
– Lenny, che cosa ti prende? Sono 3 giorni che non ti fai vivo.
– …
– Non capisco, davvero.
– Hai i fantasmi in casa!
– E che colpa ne ho io?
– …
– Smettiamo di vederci per questo?
– …
– Lenny, su, siamo al telefono. Nessuno ci darà fastidio.
– …
– Sono qui, tutta sola.
– …
– Sul divano.
– Non possiamo fare in video?
– No! Mi piace come si faceva una volta: immaginazione.
– …
– Oggi ho deciso d’indossare la canotta del campeggio.
– …
– Ricordi come me l’hai tolta l’ultima volta?
– …
– Proprio quella.
– …
– Non l’ho rammendata (come potrei) e lo strappo è dove l’hai lasciato… solleticante, eccitante se penso alle tue dita che ne segnano il contorno e…

SBAMMM!

– Aiuto!!!
– Che succede, Lenny!
– La porta d’ingresso si è aperta e chiusa sbattendo!!! Ciao! Vado a cercare qualcuno che mi liberi la casa!
– Lenny! Lenny!!!

tu.tu.tu.tu.tu.

– (Bastardo!)

LETTORE E
Poveretti, li hanno interrotti proprio mentre la situazione si stava mettendo bene. Magari il fantasma voleva partecipare e, sentendosi escluso, ha preferito far presente che c’era anche lui

eleonorabergonti (9.4.2021)



STORY-LENNY è un gioco di trame. Ecco qualche informazione in più QUI.

Si può giocare in diversi modi:

  1. Contributi interni alla singola puntata (comunque autoconclusiva);
  2. contributi di stravolgimento della trama complessiva;
  3. contributi esterni a piacere.

Per chi vuol cercare il pelo nell’uovo ammetto che sì, camuffate vi sono alcune pubblicità occulte… trovatele se ne siete capaci!
Ricordo mestamente che a chi tocca non si ingrugna e che i botta e risposta sono leciti, anzi sono i benvenuti.
Da oggi è possibile attaccare trame a quelle altrui! Anche nelle puntate precedenti.

Poi ci sono i super supporti HARD e DIVERSAMENTEHARD alla trama, i divertenti Extra-Lenny 1, Extra-Lenny 2 e Extra-Lenny 4 e Extra-Lenny 5 di Andream2016 e l’Extra-Lenny 3 di Sara Provasi – Ma anche Film-Lenny, da un’idea di eleonorabergonti – (Grazie a tutti!)


RIEPILOGO AGGIORNATO DEL CAPITOLO

  1. Dopo la dipartita del Narratore, Cara è finalmente sola in casa e telefona a Lenny; vorrebbe fare sesso al telefono, ma Lenny è incerto, ancora spaventato dall’idea che nell’appartamento di lei ci siano fantasmi.
  2. Quando sembra che Lenny ci stia, la porta del suo appartamento si apre e si chiude sbattendo, interrompendo il momento propizio.
  3. Lenny corre a cercare qualcuno che possa liberargli la casa dalla presenza.
  4. Cara capisce che il Narratore è andato da Lenny.
  5. Il LETTORE E suggerisce che il Narratore volesse partecipare, ma, escluso, abbia voluto far sentire la propria presenza.

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Pesci

Il Pesce – Tiromancino

Cammina impettito, come pretende l’impresa. Lo sguardo è risoluto e sa già dove posarsi: in avanti.
La ghiaia lascia il posto all’erba, foglie di rami bassi gli carezzano i capelli, una ragnatela l’accompagna per un tratto, attaccata alla fronte. Il sole appare e scompare tra chiome. Nessuna nuvola.
Quando raggiunge la poccia il respiro si blocca, e riprende piano. Niente sorriso d’incontro, non distrazioni, il momento è solenne. Si avvicina al ciglio, alla postazione che ha decretato sua, e si accuccia. I sandaletti chiusi sprofondano nel fango, fino a mezza punta. Un’occhiata svelta allo specchio: l’acqua torbida ha il pelo immobile.
È ora. Il braccio si allunga terminando nell’indice. Un’esitazione, in quel dito tutto il tempo, intero.
L’immerge lento e inizia una minuta danza concentrica nell’enorme caffellatte. Arriva un girino. Arrivano altri girini. L’indice resta immobile al contatto con le testine codate. La voce da torace schiacciato è sottilissima, volutamente, non c’è alcun bisogno di gridare ciò che sta per dire.
– Non sarete pesci per sempre.
Un sospiro paziente e il dito si muove scomposto. I girini scompaiono e lui si rimette in piedi. La voce però resta in sussurro.
– Tra poco avrete le zampe.
E riprende la strada del ritorno.

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Fiore di campo

Il territorio. (È mio.)

Sono al limite dell’abitato. Il campo incolto, da qualche anno. Niente pannocchie, ma erbe selvatiche, buche, lattine vuote, vetri di bottiglie, l’immancabile coppia di siringhe usate, sassi, fogli di giornale. Un pallone mezzo sgonfio. Buono. Raccolta fortunata.
Lo provo: palleggi bastardi. Devo andare dal benzinaio a gonfiarlo. Ma prima lo lavo. Guardo l’orologio d’acciaio fresco di Comunione, tra la fontana e il benzinaio ci vorranno 30 minuti. Più un’altra ora e mezza per trovare qualcuno con cui giocarci e risalire in casa, dai compiti.

Pallone pulito, bagnato, brevi lanci in aria per farlo asciugare in fretta, con battiti di mani e una canzone a mezza voce, e…
– Bel pallone!
Mi giro. Uno, due e tre. Li conosco di vista. Mai giocato con loro.
– L’ho appena trovato.
Non mi piace mentire.
– È nostro.
Continua a parlare lo stesso. È il capo. Strano, ha gli occhiali. Di solito i capi non li portano. A parte me.
– Dove l’avete perso?
Voglio capire se è vero.
– Dove l’hai trovato tu.
– Nello spiazzo del supermercato.
Adesso mento. Mi serve.
– Brava, daccelo.
– Bravo, non l’ho trovato là. Non è il vostro. È mio.

Gelo. È guerra.

Il capo si fa avanti. Tolgo gli occhiali e li metto lentamente nella tasca della gonna di jeans. Non è stupido e capisce il gesto. Si ferma. Mi guarda le ginocchia, le croste di sangue rappreso. Una femmina con poche paure: imbarazzante.
Si volta indietro, uno dei due si volta indietro a sua volta per vedere cosa ci sia da guardare – un coglione – mentre l’altro è accucciato per allacciarsi una stringa. Praticamente la questione è solo tra me e lui. Inizio a passare il pallone da una mano all’altra, sempre più velocemente. Lui segue il movimento con la testa fino a quando capisce che qualcosa non va.
– Ferma!
– Perché?
– Non riesco a…
Ammissione costosa. Deve cambiare strategia.
– Facciamo un gioco!
– No.
Rispondo senza alterare il tono.
– Una sfida, dai! Chi vince si tiene il pallone!
– No.
Ribadisco iniziando a cercare un possibile foro nella gomma.
– Dai! Ho un carrello del supermercato!
– E cose te ne fai?
– Chi butta dentro il pallone da più lontano ha vinto!
– Tu vinci il mio pallone e io cosa vinco?
– Non ti rompiamo più.
– Dove ce l’hai il carrello?
– Alle case dietro la cartoleria.

Cosa mi fa accettare? Un territorio nuovo.

– Vi seguo.

Gioco regolarmente nei caseggiati confinanti, rischi valutati.

LA SFIDA

1° round: siamo in mezzo alla strada, io tengo il carrello e lui da forse 4 metri tira, mancando apposta il canestro; lascio il carrello che ritorna in suo possesso e corro a prendere il pallone. Ognuno mantiene il proprio tesoro.

2° round: si sistema gli occhiali e con un sorriso furbo entra nel carrello, si piazza in piedi a gambe divaricate; con la mano mi fa segno di indietreggiare, più lontano di un passo da dove ha tirato lui; lancio precisa, lui afferra il pallone al volo e, urlandone esaltato la proprietà, si rannicchia dentro il carrello proteggendo il pallone in gembo, intimandomi di andare a riprendermelo, se ho coraggio.

Controllo i suoi per accertarmi che stiano assistendo. Sì, hanno risolini compiaciuti.

Parto di corsa. Quando arrivo al carrello la spinta che gli do è proprio una gran bella spinta. Il capo gang non sa se essere sorpreso o eccitato. I due ammutoliscono seguendo la traiettoria. A velocità non comune, il carrello si schianta contro il gradino del marciapiede. L’ospite si agita, oscillazione e ribaltamento laterale del mezzo.

Grandi risate dei due, fino alle lacrime. Risate di altri avvicinatisi alla visione del carrello lanciato. Lo raggiungo, raccolgo il pallone rotolato fuori dall’abbraccio.
Mentre mi guarda livido, gli dico: – Fatto male? Domani sono qui a giocare. Porto il mio pallone. Decido io il gioco.
E lo aiuto a uscire dal carrello.

Il territorio. È mio.

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Sangria

(immagine presa da qui)

Dov’è la sangria? L’ultima volta che l’ho vista era sul tavolo della cucina, nella brocca grande, profumata e con la frutta in galleggiamento e dio solo sa quanto tempo ci ho messo per pulire e tagliare tutta quella frutta, che non sono uno di quelli pratici in queste cose, ma la sangria la preparo io, da sempre, è il mio benvenuto speciale quando abbiamo ospiti, non che accada spesso, solo quando serve, quando c’è qualcosa da festeggiare e la mia sangria è un po’ un regalo con il quale accolgo chi deve condividere con il sottoscritto, con noi diciamo, un momento felice, anche se, a ben vedere, di momenti felici di recente non è che ce ne siano stati chissà quanti, uno, due, forse tre negli ultimi dieci mesi, pochini a ben vedere e a forza di vedere bene, mi sa che, mi sa che non la trovo, giuro non sono ancora rincoglionito del tutto, come dice lei, che non lo dice spesso, ma quando lo dice fa paura, sembra vero, credo sia per la bravura nello scandire le sillabe, rin co glio ni to, è maestosa in certe circostanze, la provoco apposta, mi piace tantissimo come articola, davvero, forse l’amo per questo, forse l’amo anche per come mi rovista dentro ogni volta che s’incazza (e quanto è sexy), ormai, lo posso dire? mi si rizza solo quando s’incazza, che detto così magari mi fa sembrar sulla china, ma non sono io sulla china, è lei a essere tremendamente sexy e, e niente, non c’è nemmeno qui la sangria, ero sicuro di averla messa qui sopra, in parte ai tramezzini mignon, non fatti da me quelli, non ho la manina chirurgica per tagliare alla perfezione i triangoli monoporzione, posso avere la mano allegra, musicale, ma chirurgica no, io sono solo l’addetto sangria, la mia famosissima sangria, la mitica, quella che tutti si ricordano, mai troppo bene in verità, quella che a vederla si arrossano le orecchie e qualche gota, quella che fa perdere la testa in letizia al secondo bicchiere e poi, da lì, via ogni freno, sciolte le lingue, caldo in corpo e poi, e poi succedon cose, come in ogni festino domestico che si rispetti, quando si scelgono con cura gli invitati, perché è importante sapere chi perderà la testa, chi le mutande, chi le inibizioni e chi la verginità riverginata ogni volta, e diciamolo, è sempre una bella prospettiva se ci si conosce bene o se non ci si conosce affatto, che a volte è pure meglio, ma è importante condividere lo spirito della serata ed essere disposti a berli quei due bicchieri della mia storica sangria, se no col cavolo che parte tutto, che inizia la festa, se non fosse per quella benedetta frutta, per zucchero e alcol, bisognerebbe ricorrere a un superalcolico e quello, si sa, può risultare pesante, infastidire lo stomaco, lo sappiamo, ormai siamo tutti vaccinati agli eccessi, invece alla sangria non è vaccinato nessuno, fa gioia, spensieratezza, è solo vino e frutta e qualche additivo mio, personale, spezie, altro zucchero e, e non la trovo però, la brocca che ho preparato un paio di ore fa qui non c’è, a ben vedere non ci sono nemmeno i tramezzini, la festa, e non ci sono loro; e non c’è lei…
troppe feste sangria: rin co glio ni to.

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Piccolo racconto neozelandese

È ORA DI CONFRONTARMI CON UN ALTRO LUOGO MITICO: LA NUOVA ZELANDA!

Buona lettura!


Sottotitolo: soliloquio

(Immagine presa da qui)

Come va la scrittura?
(Bene.)
Fammi un po’ leggere:
“Il Pifferaio Magico, eliminati tutti i riferimenti culturali, si svegliò senza peso. Leggero, etereo, librante. Andò a sbattere contro il muro dei ricordi, si fece un ematoma grosso così e decise che suonare lo avrebbe aiutato sia a liberarsi dal dolore dell’amata ita, sia dal dolore alla fronte.”
(Che c’è?)
No, pensavo. Chi è questo?
(Subito devi arrivare alla conclusione che debba essere qualcuno. Non è mai così, lo sai da te, non mi ispiro a Musi.)
Lo dici sempre, anche con il Piccolo racconto andino… chi è il neozelandese?
(Un personaggio di fantasia!)
Ti piace molto?
(È ardito.)
E perché sbatte contro il muro? Cosa hai combinato questa volta?
(Ma niente, dai, le solite cose.)
Quali solite cose?
(Ma sì, le solite incomprensioni.)
Incomprensioni?
(Superficialità.)
Tu?
(Ma ti pare? Lui!)
Un altro?
(Eh…)
E che ha fatto?
(Bionda.)
Ti ha dato della bionda?
(E mi ha chiamata Giulia.)
Porco!
(Artista.)

My Heart Will Go On – Recorder By Candlelight by Matt Mulholland

Ringrazio Nina per la felice scoperta del Muso.

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Piccolo racconto andino

ECCOMI QUI, NEL SOLCO DELLA TRADIZIONE, ULTIMA TRA ILLUSTRISSIMI, SENZA ESSERE TALE. MI CONFRONTO CON LE ANDE!

Buona lettura!

Sottotitolo: soliloquio

(immagine presa da qui)

È andino.
(Sì).
È un piccolo racconto andino.
(Sì).
Ci vogliono le Ande.
(Uff).
L’hai appena scritto.
(Bene).
Hai presente la catena montuosa?
(Non ne ho voglia).
Ma come!
(Eh).
Non è difficile, piazzaci qualcosa da scoprire, lì.
(No).
No?
(Non ne ho voglia).
Mettici quacluno almeno!
(Sì, figurati, per poi lasciarmi trascinare chissà dove).
Là!
(Appunto, ci sei andata tu sulle Ande?).
E che vuol dire? E Salgari? Ma che dico Salgari, De Amicis!
(A parte che De Amicis da quelle parti c’è stato. Comunque, grossa fatica).
Allora cosa vuoi fare?
(Cancello “andino”).
No! È così musicale!
(Ecco, la musica, adesso ascolto un po’ di musica.)
Prima chiudi il racconto.
(Non ci penso proprio).
Non vedo altre forme di distrazione all’orizzonte.
(Lo dici tu!).
Cosa stai facendo?
(Ginnastica).
Ma quando mai!
(Adesso. Mi preparo per andare sulle Ande).
Ma quando mai?
(Ipocrita).

Dieci minuti dopo

L’andino ti chiama.
(Mh).
Balla tutto e fa smorfie ammiccanti.
(Mh).
È pieno di sentimento.
(Certo).
Accarezza i cespugli, cammina scalzo e si strofina contro l’albero.
(Uff).
É corredato da oggetti vagamente allusivi.
(Non avevo dubbi).
Si è lavato i capelli con il tuo shampoo preferito.
(Bastardo…).
È triste.
(Io non lo volevo scrivere il racconto andino!)

Leo Rojas – El Condor Pasa
Versione in quechua
“Yaw kuntur llaqtay urqupi tiyaq
maymantam qawamuwachkanki,
kuntur, kuntur
apallaway llaqtanchikman, wasinchikman
chay chiri urqupi, kutiytam munani,
kuntur, kuntur.
Qusqu llaqtapim plazachallanpim
suyaykamullaway,
Machu Piqchupi Wayna Piqchupi
purikunanchikpaq”
Versione in italiano
Oh maestoso Condor delle Ande
portami a casa mia, sulle Ande
Oh Condor
Voglio tornare alla mia amata terra e vivere
con i miei fratelli Inca, che è ciò che più rimpiango
Oh Condor
A Cuzco, nella piazza principale
aspettami
affinché sul Machu Picchu e sull’Huayna Picchu
andremo a passeggiare.
(testo e traduzione da qui)

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Story-Lenny 10

QUESTO È UN TESTO MANIPOLABILE DAL LETTORE, SIA LA SINGOLA PUNTATA CHE LA TRAMA COMPLESSIVA, A PIACERE.

BREVE RIASSUNTO
Il Narratore irrompe nella quotidianità di un suo personaggio: Cara. Considerandola una propria creatura assume l’atteggiamento di un Creatore Onnipotente. Cara reagisce e resiste, ha una vita e in essa è presente Lenny. Il Narratore, invaghito, alterna seduzione e irrispettoso interventismo per costringerla a lasciare Lenny e dedicarsi a lui soltanto.
Qui, siamo al punto in cui il Narratore ha fatto saltare la cena romantica di Cara e Lenny, spaventando quest’ultimo e costringendolo alla fuga.


Ringrazio (in ordine di apparizione) brunonavoni, Yleniaely, andream2016, Ettore Massarese (fu Franz), raccoltaedifferenziata, Nonna Pitilla, Marco, Sara Provasi, Adriano, Alidada, eleonorabergonti, Evaporata!!!

I materiali sono tutti in fondo. Buon divertimento!


Lenny, torna su! (10)

(immagine da qui)

La porta si apre piano. Dal pianerottolo giunge una voce “Lenny, torna su!”, ma non pare ottenere risultati. Cara rientra furiosa. La porta si chiude piano, autonoma.

– Dobbiamo parlare!

È bellissima… vestita per sedurre e arrabbiata. Pare sarò io il fortunato a goderne appieno.

– Eh no, caro!

Non vuoi un goccio di vino? C’è il decanter, il tuo bicchiere preferito, sei sempre più soave dopo un bicchiere di vino.

Soave un par di palle, Narratore!

Ahi… non è un bel segno quando mi chiami per nome. Siediti, su, non ti affaticano quei tacchi alti? Non hai voglia di toglierli, massaggiarti le piante dei piedi, allungare le belle gambe sul divano e ascoltare magari un po’ di musica d’atmosfera? Non hai voglia poi, magari, di accarezzarti languida il ventre e…

– Ma la pianti? Ho detto che dobbiamo parlare!

Va bene.

– Così non si può andare avanti. Ho una vita io!

Lo rispetto.

– Non è vero! Non ti limiti a osservare, tu vuoi dirigere il mio presente! Per non parlare del futuro.

So che la cosa ti disturba, ma è nell’ordine delle cose. Io sono il tuo Narratore.

– Non me ne frega un cazzo di chi sei! Non ti ho evocato come uno spirito dell’Oltretomba!

La situazione non cambia.

– Sì invece… io, io voglio che tu te ne vada.

No.

– Sì.

Lo sai, poi ti manco, lo hai ammesso ieri.

– Ieri non avevo idea della piega che avresti preso!

Lo sai da sempre qual è la mia piega, non ho mai nascosto l’essere un manipolatore!

– Stai alzando la voce?

Sì!

– Ah!

Cosa stai facendo adesso?

– Vado da Lenny!

No!

– Sì!

Ah!

– Non aspettarmi!

L’ho appena mandato a giocare a calcetto!

– No!

Sì!

– Ah!

Esco, non aspettarmi!

– No!

Sì!

– Ah!

Cara resta inebetita dallo scambio appena avvenuto. La finestra si chiude piano.

LETTORE M

Ma Cara esisterà ancora senza il narratore? Son curiosa!!!

Nonna Pitilla (24-2-2021 ore 19:06)

A sorpresa arriva Hannibal the cannibal che si mangia il narratore così Cara può fare quello che le pare.
Però, ormai, Hannibal è entrato nella storia, quindi…
Ah…stai attenta anche tu, perché lui riesce a materializzarsi in qualunque momento alle tue spalle.
Magari stanotte mentre dormi.
Compra un pacco grande di Arbre magique alla vaniglia dolce, e mettili tutti intorno al letto, so che Hannibal li detesta.
Insomma un po’ come quando girano i vampiri e bisogna circondarsi di aglio, che poi non è detto che tutti i vampiri mordano il collo per succhiare sangue.
Io ne conosco uno che…ti ho mai raccontato la storia di Biancaneve e Dracula?

Evaporata (24-2-2021 ore 19:45)

VOCE FUORI CAMPO

Beh, Cara deve pur realizzare prima o poi che senza il Narratore lei cesserà di esistere, quindi deve agire con furbizia per allontanarlo da sé senza eliminarlo dalla sua vita. Penso che dovrà cercargli un diversivo che lo occupi, un qualcosa come nel film di Wargames in cui computer bellico sta per distruggere il mondo, ma gli eroi gli insegnano il gioco di filofiletto e così lui si distrae e tutti vissero felici e contenti. Ora c’è da pensare quale potrebbe essere un buon diversivo… no?

Alidada (24-2-2021 ore 23:52)

LETTORE E

Secondo me, dopo questa discussione, il Narratore se n’è andato a giocare a calcetto insieme a Lenny ma siccome è una pippa a giocare a calcetto l’hanno messo in porta, è stato notato da un talent scout ed ora è il portiere di riserva dell’Italia per gli Europei di quest’anno.

eleonorabergonti (26-2-2021 ore 10:00)


STORY-LENNY è un gioco di trame. Ecco qualche informazione in più QUI.

Si può giocare in diversi modi:

  1. Contributi interni alla singola puntata (comunque autoconclusiva);
  2. contributi di stravolgimento della trama complessiva;
  3. contributi esterni a piacere.

Per chi vuol cercare il pelo nell’uovo ammetto che sì, camuffate vi sono alcune pubblicità occulte… trovatele se ne siete capaci!
Ricordo mestamente che a chi tocca non si ingrugna e che i botta e risposta sono leciti, anzi sono i benvenuti.
Da oggi è possibile attaccare trame a quelle altrui! Anche nelle puntate precedenti.

Poi ci sono i super supporti HARD e DIVERSAMENTEHARD alla trama, i divertenti Extra-Lenny 1, Extra-Lenny 2 e Extra-Lenny 4 e Extra-Lenny 5 di Andream2016 e l’Extra-Lenny 3 di Sara Provasi – (Grazie!)


RIEPILOGO AGGIORNATO DEL CAPITOLO

  1. Lenny è scappato dalla cena romantica spaventato dal “BU!” del Narratore.
  2. Cara affronta il Narratore e lo vuole fuori dalla sua vita.estita da sera e decide d’ntervenire spaventando Lenny.
  3. Dopo un botta e risposta tra i due, il Narratore se ne va.
  4. Mentre il Lettore M si chiede se esisterà ancora Cara senza Narratore, fa il suo ingresso Hannibal che se lo pappa lasciando Cara libera e bella.
  5. Hannibal minaccia le notti dell’autrice (me, io).
  6. La Voce fuori campo si interroga su come Cara possa, per sopravvivere senza il Narratore, distrarlo in altro. In questo vien utile la metafora di “Wargames”, ma il modo è da pensare…
  7. Il Lettore E ipotizza che il Narratore sia andato a giocare a calcetto con Lenny. Essendo una schiappa e messo in porta, potrebbe essere stato adocchiato per occupare la panchina come portiere dell’Italia agli Europei.

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E Lenny?

– E Lenny?
(Mi ha chiesto l’Ulivo Pensante.)
– Torna.
(Ho risposto all’Ulivo Pensante.)
– Ah, ecco.
(Ha … l’Ulivo Pensante.)


Nel frattempo, per il diletto di tutti, allego i link dei PROIBITI, BOLLENTI, SUPERSEXY E FINANCHE PORNO Extra-Lenny!
Non ingozzatevi!

Grazie ad ANDREAM2016 e a SARA PROVASI!!!
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tre tree

Sono stata a trovare MANUEL sul suo bel blog e, come sempre accade quando son dalle quelle parti, mi ingolosisco e gli chiedo di portare a casa un ricordo della visita: le sue immagini.

Ho aggiunto anche tre miei scritti tree. Non ho resistito.


LA PRIMA VOLTA

La prima volta che mi sentii albero, fu a un risveglio.
Dopo una lunga operazione, avvertii sinapsi.


LA SECONDA VOLTA

La seconda volta che mi sentii albero, fu sotto una nevicata.
Senza guanti. Senza berretta. Senza un tragitto. Ferma.


LA TERZA VOLTA

La terza volta che mi sentii albero, fu sul far di un’ora senza tempo.

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La Berceuse

La Berceuse – 1889 – olio su tela (92×73 cm) di Vincent van Gogh. Museo Kröller-Müller, Otterlo. (immagine da qui)

Le falangi, cazzo!
pensa mentre si passa la lingua sui denti.

Come si fa a commettere errori sempre così marchiani?
pensa mentre approfondisce la conta dei denti.

Che uno dice: “ma con tutti i quadri che hai dipinto, non hai ancora capito come farle queste cazzo di falangi?”
pensa mentre il sapore ferroso raggiunge le papille.

E fai delle prove! Ti metti lì di buona lena e provi finché non diventi capace; incapace!
pensa mentre urge interrompere il viaggio del dente verso una delle due cavità: esofago o trachea.

Non riesco a guardare l’insieme con quelle cazzo di falangi male arrangiate. Mi dà fastidio. Mi dà un fastidio pazzesco, un fastidio estetico che brucia. Bruciaaaaa!
pensa e sputa quel che c’è in bocca di troppo.

Lo sguardo sempre fisso al quadro. L’intorno non gli interessa, è un di cui.

Falangi. (Falangi.) Falangi, falangi-falangi: FALANGI! Se fossi stato il compratore ti avrei costretto a cambiarle! Tutti hanno corretto le mani, anche i più grandi. Certo le mani non vengono bene a tutt…
Un calcio ai testicoli gli interrompe il pensiero. Lo sguardo è finalmente cieco. Il silenzio, totale. Il male inghiotte tutto.

«Grazie.» sussurra senza fiato alla donna in piedi, che ancora trema di rabbia. Tradita, solo per ammutolire un’ossessione estetica.


Il ritratto di Augustine Roulin rappresenta una donna reale e insieme un ideale, un simbolo. Con lo sguardo umile, le mani che stringono il cordone con cui dondolava la culla, (berceuse significa appunto, in francese, “colei che culla”). Lei è un mito femminile, quello della moglie e madre, capace di consolare e di placare l’animo.

https://it.wikipedia.org/wiki/La_Berceuse
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In 6 parole?

In 6 parole!
Il titolo è escluso dal conteggio.

A voi la palla!

TERAPIA

Ripeta: COGLIONE TESTA DI CAZZO!
Meglio?
(by endorsum)

SCORTESIE

«Vecchia io?»
Chiese puntando la Beretta.
(by endorsum)

LUOGHI COMUNI

Voi uomini siete tutti uguali: mangiate.
(by endorsum)

PROTESTA

non riesco a dormire
Porca puttana
(by poetella)

EMPATIE

Ti spezzo un lombrico
nell’occhio!
(by silviatico)

UN BUONGIORNO DEL CAZZO

Devo essere al lavoro alle 6.
(by unallegropessimista)

CONDIZIONE CONIUGALE

Dammi tre parole: sei imbranata amore.
(by Adriano)

CAFFÈ

Quant’è? Un euro e venti!?
(by Alessandro Gianesini)

CINEMATOPEICA

I’m too old for this Shit!
(by romolo giacani)

OSSIMORO

Solo sei parole? Non ci riesco.
(by Raffa)

SUSPANCE

Potrei raccontarti i miei segreti, ma…
(by Centoquarantadue)

CINEMATOPEICA 2

Stupido è chi lo stupido fa.
(by romolo giacani)

DEMOCRAZIA

Dimmi pure: tanto ho ragione io.
(by silvia)

PANDEMIA

ma vaffanc___!
(by titti onweb)

STORIA TRAGICA DOMENICALE

Svegliomi. Sbadiglio. Ed è subito lunedì.
(by EmoticonBlu)

FUORITEMPO

Sono troppo vecchio per morire giovane.
(by Bertow)

PARADOSSO ARITMETICO

Uno, due, tre, quattro e cinque.
(by Bertow)

DECONSTRUCTION

Like a Monkey on a Tree
(by LunaReport)

VALERIA ROSSI

Valeria Rossi: “Tre Parole” sono troppe
(by Kikkakonekka)


Ok, le mie le ho scritte ascoltando questa musica…

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La perpetua – la colonna sonora

I VIDEO MUSICALI SONO STATI UNA PARTE INTEGRANTE DELLA STORIA. LI RACCOLGO QUI, SE QUALCUNO VUOLE GODERSELI SENZA GIRONZOLARE TROPPO PER IL BLOG. BUONA VISIONE E BUON ASCOLTO.

(PER CHI VOLESSE FARSI UN’IMMERSIONE NELLO SCOPPIETTANTE MONDO DELLA PERPETUA, QUI È DOVE TUTTO È NATO.)

Nick Cause – Belladonna of Sadness
Depeche Mode –Heaven
LUCIANO PAVAROTTI – Pagliacci
Brunori Sas – Il mondo si divide
Melga – Dicono che sono pazzo
BRUNO MARS – Grenade
Canzoniere Grecanico Salentino – Taranta
BellyActing “O’ Sarracino” –Rivali in Amore
Daniele Vit – Non ti credo più
MIMOSA – Terza Guerra
AC/DC – Hells Bells
Annibale – Liberami
Sara Lyn performs Tribal Fusion Belly Dance in FISSION
ABBA – Cassandra
BARBARA HANNINGAN & GSO – MYSTERIES OF THE MACABRE

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Protetto: Suor Morigerata, nata Prudenzia Accecaragnoli

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