Non so, io ero tornata tutta bella pimpante, con i miei articoli nuovi di pacca, ma ho sentito un suono, una voce…
Ecco, non so bene, ma DOVEVO ALLERTARVI SUL PERICOLO IMMINENTE!
Nulla sarà più come prima.
Non so, io ero tornata tutta bella pimpante, con i miei articoli nuovi di pacca, ma ho sentito un suono, una voce…
Ecco, non so bene, ma DOVEVO ALLERTARVI SUL PERICOLO IMMINENTE!
Nulla sarà più come prima.
BREVE RIASSUNTO
Il Narratore irrompe nella quotidianità di un suo personaggio: Cara. Considerandola una propria creatura, assume l’atteggiamento di un Creatore Onnipotente. Cara reagisce e resiste, ha una vita e in essa è presente Lenny.
Il Narratore, invaghito, alterna seduzione e irrispettoso interventismo per costringerla a lasciare Lenny e dedicarsi a lui soltanto.
Lenny ha però raggiunto la maturità dell’eroe e, con uno stratagemma, va a riprendersi Cara, portandola via dall’appartamento.
Il Narratore resta in casa di Cara solo e sconsolato.
Ringrazio (in ordine di apparizione) brunonavoni, Yleniaely, andream2016, Ettore Massarese (fu Franz), raccoltaedifferenziata, Nonna Pitilla, Marco, Sara Provasi, Adriano, Alidada, eleonorabergonti, Evaporata, Giuseppe La Mura, ArcadioLume, Alessandro Gianesini, ivano f !!!
gioco di specchi in cui anche il narratore è narrato…
ArcadioLume (ore 15:30 del 27/9/2021)
Silenzio. Poi un canto in lontananza che si avvicina sempre di più alla porta. Odore di incenso e fumo provenire dalla fessura sotto la porta.
Chi è? Quali personaggi staranno arrivando e a chi farò fare il MIO racconto?
Non distinguo bene le parole ma sembrano in una lingua strana, forse antica. Latino. Sembra latino. Non ne sono sicuro, ma delle lingue che conosco, questa non mi risulta familiare. Ci sarà sempre tempo per indagare, o per farmelo dire.
Ancora silenzio.
I passi, che prima si udivano sotto il canto di tante voci, si sono fermati improvvisamente insieme ad esso. Passano secondi interminabili, rotti soltanto dal movimento della maniglia della porta con un cigolio familiare.
La porta si apre piano con movimento diffidente. Una donna non più giovane ma vestita elegante entra dentro per vedere chi ci possa essere dentro l’appartamento.
È Jane Fonda.
Si ferma al centro della stanza muovendo la testa in ogni angolo per scrutare il posto dov’è entrata, domandandosi cosa ci facesse lì e perché. Non mi sembra vero che sia lei, e controllo e ricontrollo per vedere se sia vera o è solo una mia allucinazione dovuta alla mancanza di colei che c’era prima.
La guardo ancora a mia volta. Non ho più dubbi.
Ciao, cara…
Adriano (ore 17:30 del 27/9/2021) – Piace a ivano f
Un asteroide colpisce il mondo e muoiono tutti.
Alessandro Gianesini (ore 6:30 del 28/9/2021) – Piace a Tony Pastel
Cara mentre si trova ad una festa al ristorante insieme alle sue amiche, intravede Lenny in compagnia di un’altra ragazza e con grande tristezza, si rende conto che lui la tradisce. Cara ferita nei suoi sentimenti, scoppia in lacrime e si allontana in auto lasciando il locale e rientra a casa. Si dirige tremante verso la sua camera e si butta sul letto piangendo a dirotto. Il narratore, nel frattempo lontano da casa, percepisce il dolore di Cara e decide, mosso dai suoi sentimenti nei confronti della ragazza, di ritornare da lei e si materializza nuovamente a casa di Cara.
Nuovamente al suo fianco, resta in silenzio per osservarla, non sopporta di vederla piangere .
« Mia Cara sono tornato da te. Sapevo che Lenny non era sincero nei tuoi confronti… l’ho sempre saputo, è per questo che cercavo di allontanarti da lui, ma tu ingenua e innamorata com’eri, non te ne rendevi conto. Il mio amore per te è più forte del rancore, non ti abbandonerò mai a differenza di Lenny…»
Cara riconosce quella voce così profonda e calda, autoritaria ma accogliente, si volta di scatto. Il narratore è nuovamente al suo fianco.
« Sei tornato… dopo tutto quello che ti ho fatto senti ancora dei sentimenti per me…» sussurra in un filo di voce roca dal pianto.
« Non ho il coraggio di abbandonarti, ti amo perdutamente nonostante tutto e se mi permetti un consiglio, non devi piangere per Lenny, non merita le tue lacrime. Avanti, ora riprenditi e guarda verso il futuro, hai tutta una vita davanti, non permettere a delle persone false, di spegnere la tua luce meravigliosa! »
Quelle parole così cariche di affetto ma severe al contempo, scuotono Cara nel profondo. Come presa da una nuova carica di vitalità, si alza dal letto, ha gli occhi ancora arrossati dalle lacrime, è bellissima, pensa il narratore.
« Non pensavo che provassi ancora dei sentimenti per me, io che ti ho sempre ignorato e mi ostinavo a stare fra le braccia di un uomo che non mi ha mai amata… mentre rientravo a casa pensavo a te che non eri più al mio fianco e che, probabilmente, ti avevo perso per sempre…» Cara abbassa lo sguardo, le lacrime colmano ancora una volta i suoi occhi, avrebbe voluto buttarsi fra le sue braccia per consolarla, ma non può poiché lui è un essere immateriale.
« Narratore… perdonami per tutto ciò che ti ho fatto… solo ora mi sto rendendo conto che ti ho sempre amato, ma accecata com’ero dai miei sentimenti per Lenny, non l’avevo mai capito. Non voglio più mentire, ho sofferto molto la tua lunga assenza, era come se un vuoto si fosse formato nella mia anima, era la nostalgia… mi sono resa conto che senza di te non posso vivere…» Cara solleva il viso rigato dalle lacrime come per guardare negli occhi il suo interlocutore, pur sapendo che non è possibile.
« Cara… le tue parole mi lasciano senza fiato… purtroppo la vita ci è avversa e il destino ha voluto che io fossi un essere immateriale, un Ultracorpo, così come viene chiamata la nostra specie, la nostra relazione a livello fisico è impossibile. Ma potrò stare al tuo fianco sempre e comunque. Vivo in te, nella tua mente e questo mi permette di viverti ogni attimo. »
Cara stringe le braccia attorno al suo corpo come per simulare un abbraccio. È così che Cara e il narratore sono diventati inseparabili.
Yleniaely (ore 21:15 del 28/9/2021) – Piace a unallegropessimista
Caro?
– Non c’è nessun caro .
Questo lo decido io.
– E tu chi saresti?
Indovina. Ti aiuto, fa’ attenzione.
Risate dal pianerottolo. Sul pavimento della stanza imballi sballàti. Mai sottovalutare un imballo. Il mistero, le potenzialità. Soprattutto in un Finale poi.– Non può esserci un Finale adesso, lascio una porta aperta nel caso che Cara…
SBAM! Non tornerà, Caro. Il tuo sguardo appassionato ma limitato ha escluso certi amici di Cara e Lenny, ed eccomi qua.
– Io non ti vedo.
Lo so.
Caro crede ancora di essere un Narratore. Si sforza ma non capisce cosa è successo. Non può farlo perché è legato alle sue consuetudini narrative. Inutili.
Ero in quell’imballo, Caro. Ero ma non ero. Ora però sono.– Ho mal di testa.
Lo so, Caro. Poi ti passa.
– Non ti ho vista uscire dall’imballo.
Indosso un muta integrale a specchio, Caro. Ma già non sono più qui, non più di quanto sia là.
Questo Caro lo capisce, ma ci sono dei passaggi troppo ostici per lui. Ha bisogno di logica. Della sua. Si sente perduto. Lo è.– Ma cosa vuoi?
Voglio solo guardarti, Caro. Amarti da lontano, amare te e tutti i tuoi atteggiamenti e i tuoi piccoli vizi. Ti sentirai forse un po’ meno libero, ma la tua Narratrice si prenderà cura di te e ti regalerà un corpo giovane e prestante.
Caro sorride fra sé a quel pensiero, già pregustando momenti di estasi.– Oh non cominciamo eh!
Ssst! Lascia fare a me.
ivano f (ore 2:30 del 29/9/2021) – Piace a silvia e ad alemarcotti
VOCE FUORI CAMPO
“Il Narratore, nel buio d’una notte illuminata dalla luna, lasciò che Lenny fissasse la sua immagine riflessa nello specchio e in quel preciso istante Lenny intuì che il riflesso di Narratore non era altro che il suo Ego. Capì che Narratore mai si sarebbe sottomesso a nessuna rinuncia. Sfrontato, arrogante, sfacciato, con tutti e soprattutto con Cara di cui voleva possederne il corpo.
Lenny pensò subito a Cara e avrebbe voluto in quell’istante dirle tutto per metterla in guardia. Ma come avrebbe reagito Cara? Già, Lenny immaginava che a Cara sarebbe piaciuta una situazione misteriosa e intrigante, sarebbe andata fino in fondo per capire se il desiderio nascosto di Narratore, che pulsava nel suo Ego e nelle sue mutande, fosse per amore o soltanto per un desiderio carnale. Si ma perché, si sarebbe chiesta Lei? Cara era forse bella, interessante, intrigante a tal punto da scatenare la passione in quell’Ego così spudoratamente sfrontato? E allora Jane Fonda era interessante quanto Lei o soltanto una banale tattica utilizzata da Narratore per farla Ingelosire?
Lenny conosceva bene Cara, il suo interesse verso gli uomini così spavaldi, conosceva i suoi pensieri, le sue voglie, le pulsioni più recondite.
Lenny guardò Narratore e poi si guardò anche lui allo specchio. Ma vide la stessa immagine, quella di un uomo sottomesso, senza particolari pulsioni, senza interesse verso il piacere estremo e il godimento della carne e dello spirito. Lenny, ammise allo specchio guardando l’Ego di Narratore, che Lui non era così. E, in questo scontro con l’immagine di Narratore, a Lenny venne un’intuizione. Era forse il figlio dell’Ultracorpo? Il figlio nascosto dell’Ego, di Narratore? Il figlio della colpa?
Lenny da quell’istante non ebbe più pace e capì che questa storia, l’intreccio con Cara, di Narratore, il suo Ego ultracorpale, sarebbe durata in eterno, non avrebbe mai avuto la parole fine. Oppure era soltanto un sogno, un’elucubrazione onirica da cui prima o poi si sarebbe svegliato?”
Giuseppe La Mura (ore 17:00 del 29/9/2021)
Sì sì!
Questi sono quelli che mi avete segnalato!
Grazie! 😀
L’insulto è il felice parto di una volontà: insultare.
Pare, leggendo nell’immagine qui sopra, che si presenti in mancanza di provocazione, così, come il calcio nel culo da parte di un passante qualsiasi (Ahi! Cazz…).
Sappiamo che l’insulto è però animato da una motivazione forte, fortissima, sì: quale?
Teniamo in caldo la domanda e procediamo.
L’insulto semplice è spesso rappresentato da un singolo aggettivo, per questo lo chiameremo nudo; quando lo stesso aggettivo è ripetuto più volte, con fare rafforzativo, è nudo nudo, per forza.
Se l’aggettivo è nudo nudo, mioddio, che lo si copra! Una foglia di fico, presto! Che cotanta nudità non metta in evidenza il motivo dell’intenzione!
Dopo aver visto molto molto, molto più dell’intenzione, ci interessa ancora la motivazione forte che anima l’insulto?
PS: sì, nel caso in cui fosse rimasto un dubbio, quanto scritto è un modo articolato per dare del coglione o della cogliona… un’offesa in effetti, affinché “alcuno si possa dolere, reputandola diminuzione di buona fama”.
PPS: questo cappello introduttivo è stato istigato dalla proposizione e dalla riproposizione (a sproposito) dell’aggettivo SESSISTA.
Alessandro GianesiniAltro81 commenti
A meno di un giorno dalla bellissima cag… pseudo-recensione sulla raccolta di racconti Relazioni Pericolose ecco che emerge una nuova chicca, che poi forse nuova non è: ormai, è risaputo, scrivo cose sessiste.
Non sai a cosa mi sto riferento? Sembra che stia sparlando, vero?
Ecco, leggi tu stesso la recensione sul La Brigata della Speranza in cui una persona (con un nome e cognome, che però non riesco a contattare per un chiarimento) dopo aver letto ben tre (3) capitoli, ci piazza, frettoloso di restare senza spazio di affissione, il commentazzo definitivo (che si dice disponibile a cambiare in corso d’opera – certo, certo…) per allertare il mio numeroso seguito di non leggere altro!Questo “lui” ha persino dato qualche spiegazione (per uno che legge del fantasy, stupirsi che in un mondo medievaleggiante una ragazza di 16 anni sia una donna, fa ridere, ma vabbè), ma il fatto che usi la stessa parola della “recensione” altrove e che rincari la dose con “pedofilia” mi sta altamente sui coglioni.
Da notare che è pure la prima recensione cha abbia mai scritto: che ci sia una fretta di qualche tipo, dientro? No, nessun complotto, solo invidia, ne sono certo…Che poi non ce l’ho con lui in particolare, ma con quello che una simile “recensione” rappresenta: è il fottutissimo politacally correct che ha imposto che le cose possono essere solo ed esclusivamente in un modo per essere appropriate e che tutto ciò che non lo è diventa il male!
Io non posso più esprimere la mia creatività senza essere etichettato in qualche modo (ora va di moda “sessista”, chissà con che diritto, poi – cit. Ligabue) e già la cosa mi dà sui nervi perché è quanto di più lontano dalla realtà, ma se poi ci metti delle cose più pesanti (pedofilia? Ma davvero?), allora significa che hai un interesse a farlo.Sappi che dopo questa, non solo ho deciso di non dartela vinta manco per un ca… per niente, ecco, ma ho la ferma intenzione di continuare a distruggere quel tuo mondo fintamente perbenista portando avanti la mia scrittura bella o brutta che sia (gli attestati di stima non mancano, perciò non mi metto certo a piangere) e che saranno soprattuto mie e ispirate dalla realtà anche quando sono fantasy.
E un giorno mi piacerebbe che il tuo mondo, fatto di buonismo ipocrita, crollasse perché si fonda solo sul materiale organico che esce da ogni orifizio, sfinterale o meno che sia (sì, so parlare forbito, se mi va), di chi lo abita.Ora ti saluto, sempre che tu mi legga.
Sono arrabbiato?
Certo!
Mi fa schifo sapere di vivere sullo stesso pianeta in cui ci sei anche tu, il disgusto prende il sopravvento e non potendo far niente per inculcarti (attento a leggere bene la C della terza sillaba: non vorrei che mi venissi a dire che sono anche sodomita, visto il tuo modo di ragionare) l’educazione di cui sei sprovvisto, mi limito a dirti il mio punto di vista.
In faccia.
Con un nome.
Con la possibilità di un contraddittorio che tu non concedi.Ciao.
PS: manco me n’ero accorto: non è nemmeno un acquisto verificato, perciò non ha comprato il libro su Amazon… o forse non l’ha nemmeno comprato. E nemmeno letto!
Alessandro Gianesini – Lo Scribacchino del web
Sì, è vero. So come termina il racconto lungo di Ale.
È interessante anche come l’ho scoperto.
Asola? Asola. Una quarantina di chilometri. Strada? Un po’ di tangenziale e l’antica strada che fu di intensi passaggi. Bel tempo? Brutto tempo? Qui in città c’è nuvolo, finge pure di voler piovere. La tenuta estiva è da rimandare.
BRUMMMM. Parto. In 45 minuti sono nel piazzale di un benzinaio, chiuso. Il controllo territoriale di zona inizia a funzionare: qualche maschio butta distrattamente un occhio alla forestiera che attende (chi e cosa?) seduta nella sua decapottabile. Telefono ad Alessandro e in tre minuti, quattro minuti, cinque minuti, arriva.
Ciò che è accaduto dopo sono fatti coperti da segreto letterario.
Tutto quel che posso dire è che Asola è un bel paese e che in piazza, in compagnia di un Ercole desnudo, ci sono ancora quelli che giocano a carte ai tavoli del bar. Ah, e che lì l’estate c’era, altro che nuvole fighette cittadine. Comunque, Ale ha colto l’occasione per scrivere di suo pugno una dedica con i controfiocchi e io ora so come va a finire Petrarca.
Poiché mi sono adoperata per saperlo, non divulgherò questa fondamentale conoscenza.
No, dai, la divulgo (non resisto).
Petrarca finisce così!
Sara Provasi – Raccolta di Poesie – In un mare caotico sospeso
Alessandra Marcotti – Per un bell’abito Olga perse le penne
Alessandro Gianesini – La Brigata della Speranza
Aldo Terminiello – Lucciole e zanzare
(gratuito per chi ha Kindle Unlimited)
Paola Pioletti – Il silenzio di Marta
EH… QUESTO È L’ULTIMO REGALONE CHE ALESSANDRO GIANESINI MI FECE UN DÌ. SONO SEMPRE TRISTE UN PO’.
MA -zzzzzzzffffrrrrrr- SENTO UN’INTERFERENZA PROVENIRE DALL’OLTREWORDPRESS.
(“SOLO ET PENSOSO…”)
EH?
(“SOLO ET PENSOSO!”)
EH…
“SOLO ET PENSOSO, ECCHECCATZ!”
GIANE?
Finito! Spengo il PC e raccolgo la giacca dallo schienale della sedia; un rapido sguardo e vedo che le luci sono tutte spente: bene. Chiudo la porta dell’ufficio e imbocco le scale scendendo gli scalini a due a due.
Il sole è ancora alto e la primavera si sta rivelando più calda del solito, ma sono fuori da quelle quattro mura e non ci sarà più nessun cliente a lamentarsi di questo o di quell’altro fino a domani. Mai nessuno che si fermi a far due parole per dire che è stato soddisfatto: pazienza, ormai non ci spero nemmeno più.
Respiro a pieni polmoni e sorrido «Buonasera, Emma!» la vicina sta innaffiando le sue erbette sul balcone del primo piano, senza curarsi dell’acqua che cade anche sui passanti, ma io ho imparato il trucco ed evito di farmi la doccia da vestito come le prime volte. È un po’ rincoglionita, è vero, ma non è cattiva. Quando si accorge di me agita la mano e risponde al mio sorriso, con un la faccia felice.
Butto la giacca sul sedile posteriore e accendo la macchina: parte l’autoradio e dalla chiavetta inizia la traccia “The Passenger” di Iggy Pop, uno dei miei brani preferiti: con i pollici picchietto sul volante mentre mi immetto nella rotatoria e canticchio “Lalalalallalalla” come un deficiente, ma sono di buon umore e me ne fotto degli altri.
Il semaforo è rosso. Nella macchina accanto che una bella ragazza, bionda, capelli corti. Si gira a guardarmi e io continuo a canticchiare in playback, fissandola mentre mi esibisco: scoppia a ridere alla mia performance ed è un peccato che diventi già verde, però mi saluta agitando le dita con un sorriso radioso.
Mi sono lasciato la città alle spalle sto arrivando a casa e il mio pensiero vola a lei: tra poco la rivedrò e so già che non aspetta altro. Sospiro, mentre svolto uscendo dalla statale per entrare nel paese. Un paio di curve, un cenno di saluto a un amico che sta facendo jogging e arrivo al cancello di casa.
Eccola là, che sbircia da dietro la tenda: non riesco a trattenere un sorriso mentre entro, mi levo le scarpe e sento i suoi passi in cucina, avanti e indietro, avanti e indietro.
Aspetto ancora un po’ cercando di sbirciare attraverso il vetro satinato.
Abbasso la maniglia e lei che mi fissa con i suoi occhioni marroni «Quante volte te lo devo dire che non devi saltare sul divano?» la sgrido agitando l’indice davanti al suo tartufino.
Ha le orecchie basse, ma scodinzola furiosa e saltella come un grillo. Mi metto in ginocchio davanti a lei e mi si avvicina fissandomi con occhi adoranti: la massacro di coccole e lei si mette distesa a zampe all’aria.
«Andiamo a fare un giretto?» campionessa mondiale di rotolamento, si rimette in piedi e inizia a girarmi attorno latrando a intermittenza «Va bene! Ho capito, ho capito, ho capito: adesso andiamo…» un’altra carezza, il guinzaglio e siamo di nuovo per strada, io e lei.
Cos’è ‘sta roba? E io ci dovrei mettere le mani? Mi viene il vomito solo a pensarci, figuriamoci ad avvicinarmi. Si sente la puzza fin da qui. No, no: quello sta lì dov’è e si arrangia, io le mani non me le sporco di certo con quella merda.
E poi, perché lo devo fare io? Non è il mio lavoro. Che si arrangi chi ha fatto quel macello.
«Bleah…» una zaffata acre, un miasma immondo mi arriva alle narici e quasi traballo prima di riuscire a portare la mano al naso.
Dei passi dietro di me, devo decidere cosa fare, o qui si mette male. Ma come si fa? Non ho nemmeno un paio di guanti e poi, quella cosa, continua a muoversi e io… Come ci sono finito in questo pasticcio?
No, non era così che immaginavo di iniziare la giornata. Posso far finta di niente, certo, ma poi?
Mi giro di lato, prendo un gran respiro e faccio un passo avanti: quasi senza guardare allungo le mani, afferro la cosa e l’odore mi riempie le narici. Per poco non mi cade.
Si mette pure a fare un rumore infernale: ma non si scaricano mai le batterie di ‘sto coso?
Solo una fessura, le palpebre quasi del tutto chiuse e il naso che mi si è arricciato in una maniera innaturale. L’ossigeno sta finendo nei polmoni e io son qui ancora lontano dall’aver finito con questa cosa.
Merda, merda, merda! Appoggio alla superficie e tenendolo fermo con una mano, mi volto e prendo fiato, anche se è tutta pervasa da quel lezzo nauseabondo. Non ce la faccio più, non ce la faccio…
«Levati, imbranato: ci penso io a cambiare nostro figlio.»
Non me lo faccio ripetere e mi allontano di qualche passo: l’aria è più buona nell’altra stanza. Non mi sento in colpa, mi sento sollevato. E sorrido: quanto preferisco quel fagottino quando è pulito e profumato!
Perché tutti mi fissano? Ho qualcosa che non va col vestito? È sporco?
Osservo le maniche e la gonna del tailleur gessato: sembra tutto in ordine, nemmeno una grinza. Allora perché mi sento tutti i loro occhi addosso? Ci dev’essere qualcosa che non va, ne sono sicura, ma cosa?
Ecco: ce n’è uno che ride sotto i baffi, lo vedo e quando i nostri occhi si incrociano lui smette e finge di sistemare un foglio.
Sarò diventata di tutti i colori, ci scommetto. Che abbia sbagliato a truccarmi? Eppure… No, no. È tutto a posto, mi sono data un’ultima controllatina prima di scendere dall’auto.
Continuano a fissarmi, mentre mi siedo. I loro occhi mi spogliano e io non riesco a sollevare la testa. Le gambe tremano. Continuo a muoverle, a farle oscillare con le mani che tengono giù l’orlo, tirandolo fin quasi alle ginocchia. Se continuo così me la strappo questa gonna e allora sì che ci sarà da divertirsi.
Ma già lo fanno. Un risolino, un altro. Eccone un altro che sogghigna, vicino alla finestra.
Deglutisco e li fisso, seduti davanti a me, ma loro sono impassibili e mi scrutano con ostinata voracità. Ma che vi ho fatto per meritarmi tutto ciò? Nemmeno fossi un carnefice che viene messo alla gogna davanti al popolo che ha terrorizzato fino al giorno prima. Sento che le lacrime sono a un passo dallo scorrere giù dagli occhi e sì, a quel punto il trucco andrebbe a farsi benedire e sarei ridicola.
Le mani tremano e lascio il segno del sudore dei palmi sulle cosce.
Perché tutte le volte è così? Non mi piacciono quegli sguardi che frugano nella mia intimità, come se fossi alla loro mercé, senza niente addosso, con anima e corpo esposti al pubblico ludibrio: sono una persona, abbiate rispetto di me e del mio pudore!
Prendo un profondo respiro e sollevo appena gli occhi. Il brusio cresce e io mi schiarisco la voce.
Il silenzio è pure peggio, ora ho la loro attenzione, ma i loro sguardi sono taglienti e sento addosso le ferite che mi infliggono.
Faccio scorrere lo sguardo su di loro, ma levo pian piano le mani dalla gonna e le allungo, prendendo tra le dita quella copertina azzurra, consunta e sdrucita agli angoli: ne sfoglio alcune pagine e poi torno all’inizio.
Una risata, qualche altra parola bisbigliata e un “iniziamo?” mi sferzano le orecchie.
Sento le guance in fiamme.
«Ra… ragazzi, ora si… silenzio. Fa… fa… facciamo l’a… l’a… l’a… l’appello.»
PRIMA DI LASCIARE QUESTE LANDE DESOLATE, L’EX-SOCIO ALESSANDRO GIANESINI MI HA FATTO DONO DI ALCUNI RACCONTI RIGUARDANTI CIASCUNO UN’EMOZIONE. LI CONSIDERO DEI REGALONI. ECCONE UN ALTRO PARTICOLARMENTE CENTRATO… (i puntini di sospensione sono una citazione che gli devo)
PER L’OCCASIONE NON USERÒ UNA SEMPLICE IMMAGINE, MA UNA CANZONE CON UN’ANIMAZIONE STUPENDA.
(GRAZIE ALE!)
Buona lettura!
«No, non spegnete la luce, vi prego…» gratto con le unghie contro la porta chiusa, ma anche lo spiraglio che c’era sotto scompare: stop, finito, buio totale.
Mi metto con la schiena contro il legno, che improvvisamente è freddo, ostile. Il formicolio sale dalle dita e scorrere attraverso le mani fino ai gomiti: mi gratto, ma non si ferma, e un sibilo spezza il silenzioso nero che mi avvolge e mi striscia addosso con le sue viscide squame.
Ho gli occhi sbarrati, ma nessuna luce mi permette di trafiggere quella nebbia bituminosa che fluttua davanti a me, attorno a me, occultandomi il mondo… occultandomi al mondo…
Mi si mozza il respiro riempiendomi i polmoni di un gelido fluido ribollente.
Era una risata quella? «Ehi, c’è qualcuno?» giro di scatto la testa, ma è tutto nero, tutto lontano dai miei sensi amputati.
Tutto tace, ma il vuoto è rotto dalla risata che mi gira intorno, da un orecchi all’altro, carezzandomi con l’alito graffiante del suo rauco ripetersi.
Agito le mani, ma i fendenti delle mie dita graffiano solo l’aria, che si fa intensamente pungente e mi trafigge la pelle. Torno a grattarmi, i palmi, i dorsi delle amni e sento che tutto si lacera e anche quel tepore di sangue che ne esce, si congela, evaporando via dal mio corpo.
No, no: non urlerò come ieri, non lo farò di nuovo: quell’ago mi ha fatto vivere un sogno che… ma io ci sono già dentro, non è così?
Ancora quella voce, così carezzevolmente spietata che mi lacera i timpani col suo sussurro di piacevole morte: mi metto in posizione fetale cacciando la testa tra le ginocchia, ma la voce sembra ancor più distinta e mi attira ancor di più lontano dalla luce, dove il pensiero non riesce a penetrare il velo di oscurità che l’ha intrappolato. Ansimo a bocca aperta e l’aria non ne vuol sapere di riempire il mio corpo.
Non ce la faccio più, ora urlo… ora urlo… ora urlo!
Sento il sangue colarmi dall’angolo della bocca e scorrermi in gola, refluo di tepore già destinato a estinguersi.
Ogni respiro s’affanna a inseguir quello prima, ma la risata cresce di volume e ora sento il suo odore davanti a me e i suoi occhi mi fissano bui e profondi come la notte che mi tormenta col suo scherno.
Serro le palpebre, ma queste mi si ribellano e gli occhi scrutano quel che non si vede, quel che mi aggira e mi perseguita: sento il suo tocco sul corpo, tra i capelli e i suoi passi silenziosi mi aggirano in una danza macabramente rituale e dal sapore di fine.
Il sale delle lacrime si mischia al sentore ferroso del sangue sulle mie labbra e la lingua ferita ne raccoglie gli umori per ricacciarli nel corpo a cui appartengono.
Il cuore smette di martellare, la voce stavolta è vera e la porta si apre sul corridoio abbagliante.
«Ti sei pisciato addosso anche stanotte, stronzo?» il secondino mi assesta due calci nei reni, ma il mio corpo ancora tremante non si muove dalla posizione. La luce mi lacera le pupille, ma ora respiro, vivo.
Il sangue, le lacrime, il piscio… di quello poco m’importa.
– Chi urla?
– Io! La endorsum. Dove sei finito?
– Per verdi pascoli e a ogni passo saluto nutrie spuntate dal fosso.
– Eh?
– Cavalco un unicorno in raggiungimento dell’arcobaleno.
– Alessandro, ma hai chiuso il blog! E noi come faremo?
– Che ognuno insegua il proprio sogno.
– Ma Socio, stai gurizzando… (puntini di sospensione in tuo onore)
– Dici? Non importa, ho scoperto la vita… se è da guru…
– Ma… ma…
– Mamma ma, mamma maria ma mamma ma, mamma maria ma…
– Ale, ci manchi già. Buona vitaaaa!
NON LO SI PUÒ NEGARE: C’È, AGISCE, LAVORA.
IN QUESTO REGALONE DONATOMI DA ALESSANDRO GIANESINI NON C’È TIMORE DI GUARDARNE GLI OCCHI CUPI.
BUONA LETTURA
(GRAZIE ALE…)
«Nooooo!» mi sveglio urlando e con la fronte imperlata di sudore.
Mia madre si precipita in camera mia, accendendo la luce «Cos’è successo?» l’espressione di apprensione sul suo volto si smorza dopo una rapida occhiata tutt’intorno.
«Niente, mamma, solo un brutto sogno.» ora dal suo volto trasuda compassione «Va pure a dormire.» mi fa incazzare quando vedo le facce da cui traspare la pietà. Soprattutto se è rivolta a me «E spegni la luce.»
«Buonanotte.» sussurra dopo aver premuto l’interruttore e accostato la porta. Sento i suoi passi che si allontanano e qualcos’altro: un singhiozzare sommesso?
Sospiro e chiudo gli occhi, ma la sua immagine mi si staglia nel cervello appena abbasso le palpebre: lei è lì, davanti a me, con un’espressione sorpresa dipinta sul volto: allungo la mano per sfiorarla, ma resta sempre al di fuori della mia portata e poi…
No, non riuscirò a dormire neanche stanotte.
Accendo la luce del comodino, prendo un libro ma tutto mi ricorda lei: quel poster del suo gruppo preferito, la maglietta che mi aveva regalato. Prendo foglio e penna e inizio a scrivere di getto.
Quanto tempo è passato? Un anno intero? E tu dove sei? Perché doveva finire così?
Le emozioni turbinano nel mio petto, ma nessuna riesce a prenderne possesso e il ricordo di quel che è stato e di come avrebbe potuto essere le tiene lontane.
Non sono mai riuscito a piangere, né a urlare, solo pensare e ripensare a cosa avrei potuto cambiare nella mia vita, nella nostra vita.
Abbasso di nuovo le palpebre, ma il tuo sorriso si trasforma in un muto saluto, con una lacrima che ti scivola lungo la guancia. La tua figura è avvolta da una nuvola di polvere che gli pneumatici alzano slittando sulla terra secca e arida.
Apro la finestra: il cielo è limpido e stellato come quella sera, un anno fa, ma tu non sei qui con me.
Perché litigammo? Non lo ricordo neppure, ma so che successe e io me ne andai, lasciandoti sola nella notte. Il giorno dopo: il giorno dopo non è più stato vivere.
Ora però tornerò da te e faremo pace e il mio cuore tornerà leggero com’era un tempo.
La mattina dopo, sua madre entrò nella stanza, vide il letto sfatto e la finestra aperta. Sulla scrivania il foglio con le sue parole:
“Vado a cercarla, non posso più star qui a vivere o fingere di farlo.
Se lei ha sofferto è colpa mia;
se lei non è qui, è colpa mia;
se lei si uccisa, è colpa mia!”
Il corpo del giovane giaceva nella vasca, le vene dei polsi tagliate fin quasi al gomito e il sangue mischiato all’acqua ancora tiepida. Sembrava sereno.
ED ECCO UNA NUOVA EMOZIONE REGALATAMI DA ALESSANDRO GIANESINI. (Il Socio non ne sta sbagliando una.)
È LÌ, SOTTOPELLE, PRONTA A CERCARE OSSIGENO IN QUALSIASI MOMENTO.
BUONA LETTURA
(ALE, GRAZIE!)
«[…] al triplice fischio dell’arbitro, il punteggio resta sullo zero a ze…»
«Bella partita di merda!» Sbuffo.
Mi giro a guardare mia moglie che dorme sotto al plaid e afferro il telecomando mettendomi a fare zapping. Ci provo per cinque minuti, ma senza trovare niente di interessante e spengo la TV.
Faccio passare un braccio attorno alle spalle di Elena, la tiro verso di me e le bacio il collo «Ehi, tesoro» lei muove la testa senza aprire gli occhi «a me è venuta una certa idea, che ne dici se…»
«Sono stanca, amore, lasciamo dormire.» mugugna qualcosa e aggiunge «Domani, promesso…»
Sospiro e mi alzo, guardando fuori dalla finestra: le luci dei lampioni illuminano la via, ma non si vede una macchina in questa serata d’inverno: cos’è? Han tutti paura di una spruzzata di neve? Ce ne sarà forse un millimetro…
Prendo il telefono e guardo nel gruppo degli amici di whatsapp: qualcuno ha detto che non esce, gli altri nemmeno quello han scritto.
Non ho voglia di stare a casa da solo. A dormire da solo: è sabato sera, cazzo!
Ok, deciso: esco. Mi bevo una birra e se non trovo nessuno, torno. Tanto quella, scuoto la testa guardando mia moglie nemmeno se n’accorge che non ci sono e la ritrovo dove l’ho lasciata.
Mi cambio, infilo un paio di jeans puliti e una camicia a caso, maglione, giaccone e via.
Esco dal garage e la neve riprende a cadere, stavolta più fitta. Ok, non ho le gomme da neve, ma per fare un paio di chilometri che sarà mai? Le catene nel baule ci sono, perciò…
La birreria è chiusa, figurarsi: uno vuole uscire una sera, divertirsi dopo una settimana di merda e non c’è nemmeno un posto dove andare a bere?
Sono tentato dal bar Sociale, ma con la clientela che ha è già buono se resta aperto fino alle nove di sera.
Cambio programma, andiamo fuori paese, sia mai che…
Cinque chilometri con la neve che continua a scendere e aggrapparsi all’asfalto e il risultato? Chiuso, nessuno in giro, tutte le luci spente e io a rompermi i coglioni perché non posso bermi una stramaledetta birra! Tornerò a casa, tanto, ormai, peggio di così…
Mi giro nel parcheggio vuoto e torno sulla strada: la visibilità è calata, ma tanto ci sono solo io in giro. Premo sull’acceleratore e la macchina mi va via di culo: l’adrenalina sale e io controllo a fatica il volante, ma mi sfugge un «Wow» dalle labbra.
Proseguo ancora un chilometro, con i tergicristalli al massimo della velocità: la strada è larga e io schiaccio un po’ sull’acceleratore: la macchina slitta e sento di nuovo la vita scorrere nelle mie vene.
Due luci mi arrivano dritte negli occhi: non ho nemmeno il tempo di veder scorrere tutta i miei ricordi, però sono consapevole che ora la vita scorrerà anche fuori dalle vene… per sempre.
CONTINUA LA CAVALCATA DELLE EMOZIONI REGALATEMI DA ALESSANDRO GIANESINI, IL MIO SOCIO IN WORLD OF SPHAERA.
IL SUO VIAGGIO NON SMETTE DI STUPIRMI… (i puntini di sospensione sono un omaggio all’autore)
BUONA LETTURA
(ALESSANDRO, GRAZIE!)
Un breve trillo e una vibrazione si sovrappongono al brusio di sottofondo della pizzeria. Guardo di sottecchi Flavia, che deglutisce e avvampa «Scusami, ora lo spengo.»
Faccio segno di no mentre mando giù il boccone «Ma no, figurati.» sorseggio un goccio di birra e la fisso «Chi era?» socchiudo le palpebre posando il boccale.
«Giusy, chiedeva se stasera usciamo.» si stringe nelle spalle infila in fretta il telefono nella borsetta attaccata allo schienale «Mi stavi dicendo del progetto che state facendo.»
«Oh, beh, niente di ché.» abbozzo un sorriso, ma non smetto di fissare la borsetta nera e mi par di sentire un’altra notifica «Non avevi detto che avevi spento?» serro la mascella, ma mi costringo a prendere un lungo respiro e increspare le labbra «Comunque per ora» seguo il suo sguardo che si sposta sulla borsa alla sua sinistra «sta procedendo tutto per il meglio e, se andrà avanti così, forse i capi ci daranno pure un bonus.» la mia voce è piatta e non riesco a non guardare verso quell’affare che penzola.
Il cameriere passa e ci porta via il piatto «Prendete qualcos’altro, signori?» mi guarda appena e poi sorride a Flavia, tenendo gli occhi su di lei e la sua scollatura. Sembra che lo faccia apposta. Lui posso anche capirlo, ma lei? Perché ricambia il sorriso?
«Marco?» mi sta guardando con aria perplessa «Facciamo un fritto misto in due?»
Annuisco «Sì, sì: va bene.» ma la mia faccia dev’essere tutt’altro che entusiasta, tant’è che il cameriere sbircia corrucciato verso di me mentre segna sul taccuino e se ne va.
«C’è qualcosa che va?» Flavia mi sta parlando, ma io sto ancora guardando la borsetta e sento che continua a vibrare.
«Lo puoi spegnere?» sputo le parole con rabbia e vedo che lei sgrana gli occhi e annuisce «No, è che volevo che fosse una serata solo per noi e invece…» non è un messaggio, ma una vera e propria chiamata: mi fa segno alzando l’indice e si alza allontanandosi.
Io la guardo e dà tutta l’impressione di essere felice per la telefonata, anche se finge preoccupazione. Esce dalla porta a vetri e la vedo parlare e gesticolare, ma è di spalle e non capisco. Nel frattempo, il cameriere mi lascia il vassoietto con scampi, gamberi e calamari, insieme a due piatti puliti; si gira anche lui verso Flavia e, dopo un momento di esitazione, si allontana. Ma cosa vogliono tutti da lei?
«Scusami, ma era mia madre.» e cosa voleva? Corrugo la fronte e la fisso, senza toccare il fritto «Finito di cenare è meglio che rientri: non si sente molto bene e…» abbassa lo sguardo «Mi spiace rovinare la nostra serata, ma sai com’è fatta: basta un niente e va in paranoia.» serro la mascella «Sei arrabbiato?» mi sbircia prendendo con le dita un calamaro per poi portarselo alla bocca.
Certo che sono arrabbiato «No, figurati, è solo che…» che mi sta sul cazzo che mi si prenda per il culo, ecco «Se vuoi ti riaccompagno subito, non c’è problema.» e così puoi andare dal tuo amichetto che non resiste, ah? Perché sei così puttana? «Io non so se riesco a continuare così, sai?»
Lei smette di masticare e sbatte ripetutamente le palpebre «Marco, io…»
«Non dire niente, non voglio parlarne ora.» mi alzo e vado alla cassa e il cameriere si avvicina al tavolo e inizia a parlare con Flavia e lei gli risponde con un sorrisetto, prendendosi un altro calamaro fritto.
Pago e torno al tavolo «Su, andiamo…» il cameriere torna con una doggy-bag in alluminio e lo consegna a lei: certo, io pago e lei si porta a casa pure il fritto, ‘sta zoccola «Andiamo?» ripeto mentre lei sta ancora ringraziando il bellimbusto che la squadra da capo a piedi come se fosse all’asta del bestiame.
Lei mi raggiunge e mi prende sottobraccio «Mi dici cos’hai?» ma io mi ritraggo «Guarda che puoi fermarti anche tu a casa nostra, se ti va.»
Io la guardo e scuoto la testa «Sì, certo. E poi…» mi blocco quando un cliente le apre la porta e le sorride con un mezzo inchino al quale lei risponde con un grazie tra due guance che si arrossano «No, lascia stare: ormai è andata così.» nel chiudere la porta vedo che quell’altro guarda il culo di Flavia.
Saliamo in macchina e ci fermiamo al semaforo «Cosa t’è preso stasera?» sembra quasi sincera la sua voce accorata, ma io guardo fisso davanti a me: perché si è messa così in ghingheri? Non l’aveva mai fatto e poi, tutto d’un colpo… «Ho fatto qualcosa di sbagliato?» mi domanda carezzandomi la spalla.
Sì, sei una bugiarda, ecco cosa «No, niente.» le parole mi escono come un mormorio sommesso «Però non so se voglio ancora star con te.» almeno non farò la figura del cornuto. Perché l’hai fatto? Perché mi hai tradito?
Lei singhiozza, con la testa ciondoloni «Perché?» ripete tra un singulto e l’altro.
Perché fai la smorfiosa, ecco perché! «Penso che tu lo sappia già.»
Arrivati a casa sua lei sta per dire altro, ma io la anticipo con un “Buonanotte” e appena scende, me ne vado. Tutte uguali. Appena le fai sentire importanti, iniziano già a cercarsene un altro.
Continua la cavalcata emozionale che ALESSANDRO GIANESINI ha deciso di condividere qui, in anteprima; è un Regalone che non smette di stupirmi e che spero possa avere lo stesso effetto in chi passa su queste pagine.
Il percorso è iniziato con il racconto LA RABBIA, è continuato con LA TRISTEZZA e… buona lettura!
(GRAZIE ALE)
«Ma tu guarda quella: anche la piscina si è fatta!» i lavori sono segnati sul tabellone esposto sulla rete metallica di casa Neri, a cui hanno legato quella arancione per non far guardare dentro: cerco di sbirciare attraverso i piccoli fori, mentre mio figlio mi tira per la mano «Arrivo, arrivo…» c’è un operaio che sta parlando con lei, la reginetta del quartiere: ma è il modo di ricevere gente? In vestaglia di raso e per di più trasparente?
Mi faccio trascinare da Nicola, ma lancio un’occhiata al loro giardino attraverso ogni forellino: ci starà un campo da calcio con tutto lo spazio che hanno, ma loro dove le mettono le piante? Sul confine di casa nostra, così ogni autunno metà delle foglie me le devo raccogliere io: bravi, così ci si comporta!
Sbuffo, ignorando le lamentele del mio bambino «No, niente gelato per merenda, inutile che insisti.» Sembri già un panzerotto, a forza di stare seduto a giocare ai videogiochi.
«Perché ho sposato quel fallito?» le parole mi scappano di bocca, mentre rientriamo nella nostra casupola, una di quelle dozzinali, a schiera: dai Neri hanno recintato tutto con quella maledetta rete da cantiere, così, quando hanno finito, aumenta l’effetto sorpresa, vero? Perché è come se fosse sempre uno spettacolo, manco fossimo al circo! Da noi è già tanto se ci possiamo permettere quella di gomma gonfiabile, di piscine, che quando Nicola ci entra fa uscire metà dell’acqua.
Ecco, ci mancava solo questa: la figlia dei Neri è qui a suonare. Vorrà invitare Nicola a giocare a casa loro, ma stavolta se lo scorda: lo so che fanno apposta per farci fare la figura dei pezzenti col nostro bambino. E sono sicuro che è là che mangia tutte quelle schifezze che lo fanno ingrassare come un… «No, oggi stai qui a giocare.» mi guarda e fa il mestolino, un mestolino dalle guanciotte belle piene, ma io sono irremovibile. Anche lei, Martina, mi guarda con quel faccino, se non fosse così bella, con i suoi capelli biondi e gli occhietti azzurri, verrebbe da dire che finge di essere un barbone che aspetta solo l’elemosina. Un senzatetto che però ha addosso un vestitino firmato della boutique del centro. Costerà un occhio della testa e lei lo usa per giocare: roba da matti!
Perché devono sempre averla vinta? Tanto non lo sposerai mai il mio bambino, non prendiamoci in giro.
«Va bene, ma quando ti chiamo, corri a casa.» lui annuisce, gli sistemo i vestiti e gli do una pettinata con le dita «Guarda che bell’ometto!» poi guardo lei e mi verrebbe da tirarle quelle treccine perfette che finiscono col fiocchetto di raso coordinato con le scarpine di… Prada? «Ecco, vai pure.» sento l’acidità che mi sale dallo stomaco mentre lo guardo correre dai vicini «E non sudare!» ma quello ormai ha già capito che dall’altra parte la vita è più bella e nemmeno m’ascolta, quell’ingrato.
Mi avvicino di nuovo alla recinzione e sbircio dai buchi della rete arancione e vedo l’escavatore che rimuove la terra dalla parte centrale del giardino.
I Neri sono entrambi sul vialetto e si stanno tenendo per mano «Mi fate venire il diabete.» il commento mi sfugge dalle labbra, ma chi se ne frega. Nicola sta per entrare a casa loro, ma lei, miss “Ce l’ho solo io” lo chiama a sé, si china e gli sistema la maglietta e una ciocca che gli è scivolata sulla fronte. E lui le sorride di rimando: se va avanti così, si fregano anche il mio bambino.
Neri mi vede e agita la mano per aria, con un sorrisone allegro: che hai da ridere tanto? Solo perché ti godi la vita pensi di essere migliore di me? Ricambio con un cenno rapido della mano, poi mi giro e torno in casa.
Perché la vita è così ingiusta?
Questo Regalone mi è particolarmente caro poiché è testimone della volontà di ALESSANDRO GIANESINI di esplorare l’insolido sentiero che porta a luoghi muti e urlanti: le emozioni.
Gli sono grata per aver deciso di condividere così tanto.
Il percorso è iniziato con il racconto LA RABBIA, che ho avuto l’onore di ospirare in questo spazio in anteprima; ora è di ritorno a casa.
(ALE, GRAZIE)
Lo schermo è scuro, buio, immoto: nessun led che lampeggia, nessun bip a indicarmi un sussulto di vita; scorro le e-mail, ma quest’oggi nemmeno lo spam sembra interessato a me.
Infilo il telefono in tasca e me ne esco per una passeggiata: la mente si arrovella senza tregua, senza lasciarmi nemmeno il tempo di godermi quell’alito di vento che fa viaggiare veloci le nuvole, che corrono libere almeno quanto i miei pensieri.
Il telefono vibra, trattengo il fiato, ma è solo il meteo che mi avvisa che oggi c’è il sole «Grazie tante, eh!» gli rispondo, ma ne approfitto per scorrere con le dita in cerca di altro: niente. Elimino la notifica, scuotendo il capo e ricominciando a rincorrere le mie preoccupazioni, anche se forse son loro a inseguire me, ovunque vada, ovunque volga lo sguardo.
Com’è che sono finito in questo circolo vizioso? Era una mattinata così piena di allegra ipocrisia, saluti, baci, messaggi e poi… e poi niente, come se fossi sparito dalla faccia della terra.
Ripasso mentalmente tutta la giornata e la mano si infila in tasca: giusto una sbirciatina. Niente.
Non c’è nemmeno un runner da salutare oggi? Han deciso tutti che devo essere solo? Va bene, lo accetto…
Sì, come no! Non riesco a essere sincero nemmeno con me stesso? Ci sto male, ma non posso far altro che aspettare, muovermi, guardare. Lo vorrei gridare al mondo quanto sto male, ma sono talmente giù di corda che non ho avuto nemmeno il coraggio di parlarne con i miei amici.
Una macchina! Sembra che mi stia salutando, ma poi mi accorgo che mi sta solo facendo segno di stare in parte perché sono finito in mezzo alla strada. Cos’è? Il subconscio che ha deciso che è meglio lasciar perdere tutto e finirla qui?
Mi fermo a guardare l’acqua di un fosso che scorre lenta, un paio di pesci che si allontanano seguendo la corrente e la carcassa di una nutria a pelo d’acqua, lì vicino.
Perché sono venuto da questa parte? Perché proprio questa strada? Per non incontrarti in centro o è perché era la strada che facevamo insieme la domenica dopo pranzo?
Tutte e nessuna, chiaro. Ma io sono ancora qui a rivivere quei sorrisi al mio fianco, quelle volte che mi indicavi un airone o quando mi facevi cambiare strada perché c’era un cane che abbaiava a un cancello.
Dove sono quelle giornate di sole mano nella mano? Solo nei miei ricordi, ma non sono caldi come gli abbracci e le coccole che ci scambiavamo.
Faccio dietrofront quando vedo la casa che ci piaceva tanto e su cui facevamo tanti progetti. Quei progetti ora che fine faranno? Non lo so, la casa è bella lo stesso, ma non è più la stessa senza immaginarmici dentro assieme a te.
Ci vuole mezz’ora per tornare alla civiltà e ogni singolo secondo è te che vedo in ogni fiore, in ogni albero, in ogni sagoma che scorgo in lontananza. Un attimo, quella non è la mia immaginazione: sei proprio tu.
Sei da sola, cammini spedita e mi vieni incontro: il cuore perde dei battiti, ma chi se ne importa. Stai sorridendo, non c’è dubbio e sorrido anch’io.
Quando siamo vicini sto per abbozzare un «Ciao» addobbato da un sorriso, ma vedo il cavo dell’auricolare e tu non stai certo parlando con me. La smorfia resta paralizzata sulle mie labbra, mentre da parte tua vedo solo un’occhiata sdegnata, come se l’avessi urtata per sbaglio.
Passo oltre, il sorriso è rimasto stampato sulla mia faccia, ma si spegne sotto il peso di una lacrima scivolata sulle labbra.
Guardo il telefono, quella chiamata non era certo per me…
QUESTO È UN REGALONE INASPETTATO!
FINALMENTE POSSO ACCOGLIERE SULLE PAGINE BEIGES ALESSANDRO GIANESINI, COLUI CHE MI OSPITA GENEROSAMENTE NELLA SUA DIMORA.
LA VOCE PUÒ CAMBIARE, QUI È SICURAMENTE INEDITA
BUONA LETTURA
(GRAZIE ALESSANDRO!)
«Cos’hai da guardare, ah? Tutte le mattine, alla stessa ora ti trovo qui con quella tua faccia da idiota che mi guardi come se non avessi capito un cazzo delle vita: ma chi ti credi di essere?
E poi che cazzo ridi quando ti parlo? Una volta o l’altra ti pianto un pugno su quel naso, che nemmeno tua madre ti riconoscerà quando avrò finito.
Niente, allora non capisci! Ti devi levare dalle palle, non mi interessa chi sei o cosa fai: non voglio più rivedere il tuo brutto muso. Fuori dai coglioni, sciò!
Guarda, ora mi sto davvero innervosendo, se hai qualcosa da dire, dillo e in fretta, perché io sono una persona calma, pacata e tutto il resto, ma quando uno mi prende di mira come stai facendo tu, allora divento una bestia e mi incazzo sul serio. Credo che nessuno mi abbia mai visto davvero incazzato, e tu potresti essere il primo: che culo! Però non so se dopo sarai in grado di andare a dirlo in giro, sai? Servirà la scopa e la paletta per raccogliere tutti i pezzi di quel tuo faccione di merda che ti ritrovi.
Mi dici che cazzo vuoi dalla mia vita? Me lo stracazzo dici una buona volta? No, non mi piace la tua faccia, non mi piace come mi guardi e non mi piace come ridi di me, perciò ora ne ho davvero pieni i coglioni: o ti levi, o ti spacco la faccia… e non è una minaccia.
Vedi? Mi sto tirano su le maniche: ti conviene iniziare a scappare finché sei in tempo, o questa è l’ultima volta che vedranno in giro, pezzo di merda!
Allora l’hai voluto tu…»
Il sangue gocciolava dalla mano. Lo specchio era a terra, in frantumi.
Quest’intervista è stata rilasciata ieri a una nota Firma di un quotidiano a diffusione nazionale. Poiché il luogo d’incontro è top secret (ma se ne può scorgere a tratti l’incantevole vista), il nome dell’intervistatore è omesso. In mancanza di pubblicazione e vendita dei giornali, questo è l’unico spazio in cui è possibile reperire la preziosa testimonianza.
Intervistatore: «Entriamo subito nel vivo. A 3 mesi dall’inizio dell’esperimento promozionale finalizzato alla ricerca di pubblicazione del suo inedito “X”, a che punto siamo?»
endorsum: «Fermo.»
Intervistatore: «Ma come?»
endorsum: «Mi lasci dire, la blogsfera è così, un luogo di perdizione degli intenti originari.»
Intervistatore: «E quindi?»
endorsum: «E quindi mi sto dedicando al beato cazzeggio.»
Intervistatore: «Posso sostituire il termine con “disimpegno”?»
endorsum: «Come crede.»
Intervistatore: «Nell’ambiente c’è chi la crede un uomo.»
endorsum: «Dura poco.»
Intervistatore: «Nell’ambiente c’è chi la ritiene nota.»
endorsum: «Dura poco anche quello.»
Intervistatore: «Posso confermare che personalmente la trovo…»
endorsum: «No. Andiamo avanti.»
Intervistatore: «Lei ama molto la privacy.»
endorsum: «All’ingresso è stato denudato, le hanno consegnato un kaftano, penna e fogli.»
Intervistatore: «Già, nessun’altra domanda sull’argomento. (Il fatto che io non indossi mutande le è di qualche gradimento?)»
endorsum: «Ermeeeete, abbiamo un paio di slip per il Signore?»
Intervistatore: «Dicevamo, la pubblicazione di “X” è lontana. Cosa pensa delle pubblicazioni altrui?»
endorsum: «Una sana invidia. Mi lasci a tal proposito fare una piccola promozione a un romanzo non mio: La Brigata della Speranza di Alessandro Gianesini. A 0,99 € mi sembra un’ottima occasione. Il termine è il 18 aprile. Accorrete! Scusi ho avuto un eccesso strillonico.»
Intervistatore: «A proposito di occasioni, glie ne sono capitate in passato?»
endorsum: «Direi di sì, ma o i termini erano inaccettabili o il salto si è presentato al di fuori di ogni possibile controllo da parte mia.»
Intervistatore: «E quindi?»
endorsum: «E quindi, nel secondo caso, sono stata una Vera Polla!»
Intervistatore: «Rimpianti?»
endorsum: «Ne porto il peso.»
Intervistatore: «Chi l’avrebbe mai detto! Ma gli errori ci fanno diventare chi siamo…»
endorsum: «Anche non farne. (L’intervista è senza veli e l’ipocrisia mi difetta.)»
Intervistatore: «Ok, parliamo allora del suo rapporto con Chuck Palahniuk. I bene informati sostengono che segua il suo blog.»
endorsum: «Solo quando mi rivolgo a lui.»
Intervistatore: «E che quando lei pubblicherà, lui manderà all’editore una prefazione.»
endorsum: «Voci.»
Intervistatore: «Le ha messe in giro lei?»
endorsum: «No.»
Intervistatore: «Torniamo al blog. Nonostante i risultati tardino ad arrivare, lo considera ancora uno strumento congeniale alla reclamizzazione del suo inedito?»
endorsum: «È uno strumento congeniale a me, reclamizzazione o meno. Ho trovato una comunità viva e vibrante, contagiosa, ricca di originalità e stimoli.»
Intervistatore: «Per come la descrive, mi ha fatto venire una gran voglia di parteciparvi.»
endorsum: «Ma anche no!»
Intervistatore: «Perché?»
endorsum: «Lei si occupi degli ambienti suoi.»
Intervistatore: «A proposito di ambienti, questo luogo è stupendo. È suo?»
endorsum: «No, son qui per caso e queste domande non erano concordate.»
Intervistatore: «Posso restare fino a domani? Non si sentirà tutta sola? Non vuole giocare con me fino all’alba?»
endorsum: «Ermeeeete, il Signore sta andando!»
Intervistatore: «Ok. Parliamo ancora di “X”, l’editoria sta vivendo un momento molto difficile. È ottimista o pessimista per quanto concerne la sua pubblicazione?»
endorsum: «Questa pandemia cambierà lo scenario in un prima e un dopo. Sono focalizzata sul dopo. “X” sarà in grado di sollevare le sorti di chi avrà la lungimiranza di farlo proprio.»
Intervistatore: «Ma come pensa di attirare le attenzioni delle case editrici?»
endorsum: «Con un’asta.»
Intervistatore: «Con un’asta?»
endorsum: «Sì, un’asta molto particolare…»