Un pugno con nocche smussate da impatti bussa in soffio lo stipite di una porta, aperta.
Contessa, tutto bene?
No.
(La voce le si abbassa privata.)
Non proprio.
X ha un mondo intorno
Un pugno con nocche smussate da impatti bussa in soffio lo stipite di una porta, aperta.
Contessa, tutto bene?
No.
(La voce le si abbassa privata.)
Non proprio.
Elena! Ciao.
Ciao!
È incredibile trovarti qui! Vieni, siediti. Ti ordino qualcosa?
Un caffè.
Sei stupenda.
Grazie.
Calvo. Come chi non vuole dare appiglio al nemico.
Solo. Come chi non vuole dare appiglio al nemico.
Questa sera si tromba!
Bidet.
E se così non fosse? Se quella nel libro non dovesse essere lei?
Sollievo. Per un po’.
Vuoto. Per di più.
Blanche, non ti ho sentita, la musica è troppo alta.
MI HA SCRITTO KUNO. DOMANI AVRÀ IL CARTEGGIO!
NON SONO SORDO!
Voglio una squadra all’aeroporto.
Cara Blanche,
Domani incontrerò la Contessa e mi consegnerà il carteggio. Ha un’età assai avanzata e non mi sarà difficile convincerla con buone o cattive maniere.
Tuo Kuno.
Una stanza. Due stanze. Tre stanze. Quattro stanze.
Pausa.
Cinque stanze. Sei stanze. Sette stanze. Otto stanze.
Salone. Scala che scende. Scala che sale. Altra porta. Tre stanze in fila e una falsa parete.
Inizia a divertirsi.
Vieni da me?
Dove?
In trasmissione.
Eh?
T’intervisto.
Cazzo!
Non proprio uno stemma di famiglia, quasi.
Rara perizia tecnica.
Il disegno gli è noto, visto la prima volta sull’impugnatura della pistola di un banchiere svizzero (e andò come andò).
Roma accoglie Stefano.
Quando la provincia è nella capitale, finge di sapersi muovere e procede con l’andatura sostenuta di chi poi manca i luoghi. L’approssimazione si fa arte e gli incroci (mioddio gli incroci!) diventano membrane che ti spingono, attendendo pazienti un ritorno. Non contemplando il complesso, la provincia si perde. E si affama.
Un piccolo abete Made in China. Incastrato comodo tra due floridi seni. Un selfie. Un risolino e l’invio.
Che si cuocia, il pollo.
È bello andare a teatro. Strofinarsi ad altro pubblico in piccionaia. Resistere al sonno per timore del ribaltamento in avanti e dall’avanti al vuoto, su teste da platea. È bello stare in loggione. Acchiappare visioni fugaci tra colonne impudiche, intuire figure in movimento da una parte -nero- all’altra del palco, sentire orazioni nello stesso tono enfatico dei padri. È più bello se hai un’amica che appare sul finir del secondo atto: due battute e un immobilismo in scena fino al cicalino a ghigliottina. Nell’interruzione, la genesi della promessa di un terzo atto.
Elena raggiunge il foyer. Non beve, non guarda, non parla. Vestale dell’Amicizia, vuol solo andarsene, ma non può.
Capored, voglio la nera.
No.
Energia epinefrinica. Ridotta distanza tra sinapsi e dita. Caldo e freddo? Sensazioni lontane.
Stefano non riconosce i gesti e non osa nominare ciò che lo anima. Eppure è lei.
Arriva spezzando e lo possiede, quando l’alternativa è farla in braghe. Un’audacia selvatica, amante dei bordi, inafferrabile.
Che sia, purché torni.
Kuno ha una dolcissima espressione ingenua.
Sempre.
Per questo piace.
Un lavoro di 8 mesi, tra videocamere e specchi. Ora nessuno riesce a dirgli di no.
Qualcuno lo fotte (ma non gli dice di no).
Ho fatto sanificare la cucina. Hai fame?
Sì.
Nella madia c’è la tovaglia. Io metto su il coniglio.
Ok.
Patate?
Non troppe. Dove ti sposto la parabellum?
Nel cestino del pane.
La matita gialla non è mai sola.
Sullo scrittoio è accompagnata da una stilografica Kaweco in ebanite nera cesellata e da una Bic verde. Delle tre è l’unica a non avere un uso e ciò non spiega la sua posizione. Eppure sta lì.
Quando si è conquistata il posto, lo studio aveva da poco perduto l’odore di chiuso e nell’aria era tornato il piacere di frequentarne spazio e arredi. Scelta tra dieci, soppesata sul palmo, allineata a un intarsio, afferrata di colpo, riaccomodata, ripresa in pugno, morbidamente adagiata, si era costruita un’idea personale della sua permanenza.
Sbagliando.
E adesso, come tolgo i colori dalla pelle?
Acqua.