dopo il tuo post di oggi, mi hai fatto ricordare quanto io ami viaggiare, e infatti ogni volta che posso, aereo e treni non mancano mai nelle mie scorrazzate continentali.
Il primissimo viaggio lo feci in aereo all’età di 6 anni, volo Alghero-Pisa effettuato da ATI perché i biglietti costavano un po’ meno di quelli Alitalia.
L’aereo era un McDonnell Douglas DC-9 e si saliva su una scaletta posta in coda all’aereo.
Con gli anni poi ho viaggiato con diverse compagnie e su diversi aerei, inclusi gli ATR-42 e ATR-72, che definirli rumorosi è un eufemismo. Diciamo che un trattore agricolo a piena potenza è più silenzioso. Ovviamente a me capitavano sempre i posti attaccati ai motori, quindi puoi immaginare la gioia che avevo ogni volta che dovevo partire con quei cosi con le ali.
Non mi ricordo invece la prima volta che viaggiai in treno, ma fu dopo (ero sempre piccolo comunque). Ricordo solo che rimasi a bocca aperta quando vidi questo mezzo enorme con delle ruote strane, diverse da tutti gli altri mezzi che avevo visto. E poi era alto, per salire c’erano degli scalini…
Il fatto poi di avere uno zio capotreno mi avvantaggiò non poco sia nei viaggi (anche successivi), sia perché mi portava nelle stazioni a farmi vedere tutti i treni che passavano spiegandomi quali erano e dove andavano.
E allora vai con il mitico E656Caimano, le carrozze passeggeri prima amaranto e grigie e poi blu e grigie, le varie automotrici ALn 663 e 668, il Pendolino (ETR 450), fino al primo treno ad alta velocità, l’ETR 500. E poi più recentemente i vari Italo, Minuetto, Jazz e l’ultimo è stato il Rock il mese scorso. Gran bel treno, te lo posso assicurare!
Non dimentico nemmeno i treni merci che ogni tanto passavano e che non finivano mai da quanto erano lunghi e i mezzi speciali per le manutenzioni, così diversi da tutti gli altri ma non per questo meno affascinanti. Visite speciali anche alla stazione di Livorno e nella zona vicino all’interporto.
Vedevo poi treni speciali entrare dentro la ormai ex raffineria ENI (con all’interno il relativo Costiero Gas dove attraccavano grandi navi gasiere) sempre in zona, e molte altre cose ancora.
Ma quello che mi affascinava allora come oggi non erano solo i treni ma anche ciò che vedevo nelle stazioni e chi trovavo poi a viaggiare insieme a me, e di compagni di viaggio di ogni tipo, provenienza ed età ne ho avuti un bel po’.
Dal finestrino i paesaggi a volte sono belli, altre volte troppo rapidi per poter essere visti (e su un Frecciarossa o Italo che va a 300 Km/h è un po’ difficilino scorgere certe cose a quella velocità). Nelle piccole stazioni puoi trovare due persone come decine che non aspettano altro che di salire sulla prima carrozza che gli si para davanti, mentre nelle grandi c’è un mondo a sé, specialmente in quelle molto grandi.
Sentire i racconti di sconosciuti, di persone al telefono o di coppie che parlano, vedere ragazze che tentano di trattenere le lacrime ma non ci riescono nonostante ce la mettano tutta, pensare a tutto questo e riflettere sul tutto e sul nulla allo stesso tempo.
Fermarsi sulla panchina di una stazione piccola per un po’ di tempo e guardare i treni che passano, annunciati dalla classica voce dall’altoparlante, ora che funziona e ora che gracchia un po’ o va ad intermittenza. Sentire se il treno è in orario, in anticipo o in ritardo e di quanto.
Poco importa la sua destinazione, dentro quelle carrozze ci sono persone con i propri problemi, le proprie aspettative, la propria vita, chi è in vacanza e chi al lavoro, chi sta tornando e chi sta partendo.
Tutto all’interno del piccolo spazio di un vagone, singolo o a due piani (tre nel Rock) che sfreccia a velocità variabile trainato insieme agli altri da un locomotore e da una carrozza semipilota.
In fondo, a pensarci bene, la nostra vita sembra proprio un viaggio in treno. Si va ovunque e ogni tanto ci si ferma, si incontrano tanti compagni di viaggio e non si sa mai se arriverà in orario, in anticipo o in ritardo.
Che dite, si possono trovare altre storie tra questo incipit così staticamente informale (o ciclicamente volubile, o formalmente dedito al cambio d’abito, o monumentalmente pieno di verità mai narrate)?
Ecco qui la mia idea di incipit: “C’era una volta una principessa che una volta divorziato dal principe entrò in convento e fece carriera fino a diventare badessa”.
C’era una volta Bofonchio che soleva dire una volta c’era il meglio. C’era una volta Realista che soleva dire dire una volta c’era quel che c’è oggi. C’era una volta Giocondo che soleva dire una volta c’era una svolta avvolta chiamata felicità. C’era una volta Villico che soleva dire una volta c’era formaggio e pecorino accompagnati da un buon vino. C’era una volta un Io che soleva dire una volta c’era quel che c’era, che sempre sarà passando per di qua.
C’era un volto incolto rivolto a un coltello raccolto a una svolta, la svolta poco svelta e poco cólta fu còlta in colpa e fu coinvolta e divelta e avvolta.
Dopo la lettura del piccolo manuale di sopravvivenza per Muse scritto egregiamente da Endy (e che potete trovare qui), ho pensato che in questi tempi di lotte per il conseguimento della parità, anche gli uomini meritano un occhio di particolare premura e considerazione.
Perché certe cose accadono a tutti. Indistintamente!
NB Questo articolo nasce come speCulare a quello di Endy, come già detto, ma gode di una sua esistenza autonoma e individuale. Per cui non so se e quando seguiranno. approfondimenti.
Buona lettura.
UOMI! INUTILE GIRARCI ATTORNO, A QUALCUNO CAPITA, IN QUESTI LUOGHI INTERNETTIANI AMENI ANCHE A PIÙ DI QUALCUNO: SI DIVENTA “MUSI: I SPIRATI”. ADDENTRIAMOCI QUINDI NELLA MATERIA, ABBEVERIAMOCI ALLA CHIARA FONTE DELLA CONSAPEVOLEZZA E IMPARIAMO A VIVERE TALE FELICE STATO IN SERENA LEGGEREZZA. INIZIA OGGI IL BREVE CORSO DI SOPRAVVIVENZA PER MUSI.
“Cantami o Divo Di quel peloso Muso L’irta barbetta che infiniti addusse lutti ai Clitoridei. Molte (donne n.d.r.), anzi tempo all’Orco, generose inflataron (anglicismo) negli oboi, O erano cani? O augelli? Orrido e infasto lor pelo rasò (così per Giove! l’alto consiglio anche sulla tempia), da quando primamente disgiunse aspra contesa Tra il Prurito, l’ Artrite e il sivo (arcaico per sporco) a mille.“
Il muso è un veicolo per. Un forma che attira. Un abitacolo quando. Un motore se. Un’autoscuola, in ogni caso. La voglia in movimento. L’ispirazione. Ma mai, dico mai, una destinazione!
1) VEICOLO: il muso è un veicolo per. Portare in giro denti e lingua, nonché saliva (saliva indica proprio che è un nesso di trasporto!) in un tempo limitato. È, per così dire, il modo più agevole e veloce per.
2) FORMA: una forma che attira. Ebbene sì, il muso è una forma della quale poco si indaga il contenuto. Riluce e attira, poiché lucido e riflettente. Riflette ciò che vi si proietta addosso. È uno specchio traslato. Come quello del cesso che denuncia sempre un wc in bella mostra.
3) ABITACOLO: un abitacolo quando. Quando la vita è triste e cupa, piena di solitudini e frustrazioni, ecco che il muso diventa la giusta e perfetta espressione dell’esistenza.
4) MOTORE: un motore se. Se il proprio motore è spompato, con all’attivo troppi chilometri macinati e vien meno la spinta propulsiva originale, ecco che il muso rappresenta l’ausiliario del traffico.
5) AUTOSCUOLA: un’autoscuola, in ogni caso. Dire navescuola pareva brutto e inappropriato, ma il concetto quello resta.
6) VOGLIA: la voglia in movimento. Oh, sempre sia benedetta una voglia che si sveglia dai torpori del quotidiano!
7) ISPIRAZIONE: l’ispirazione. Ovvero la scintilla crativa, quell’essere divinità cratrice che si esplica non solo nel dar seguito a una progenie, ma nel generare “oggetti” nuovi e personali, talvolta baciati dall’anelito universale.
8) MAI LA DESTINAZIONE: mai, dico mai, la destinazione! E qui siamo al vero nodo dolente. Il muso non è destinatario di amore, ne è solo la scusa per riscoprirlo. Ma per ora, copriamolo.
CORRISPONDENZE TRA LE CARATTERISTICHE SUCCITATE, I MUSI E LE ARTI CUI SOVRINTENDONO
I musi
1) Musumeci —》 geografia 2) Aculodigallina —》geometria sacrale 3) Musone —》tragedia 4) Mustang —》 arti meccaniche 5) Duro —》 lirica accorata 6) Mousse (dialettale) —》 g-astronomia 7) Musetto —》 poesia amorosa, musica neomelodica e lirica meroliana 8) Museruola —》 commedia2019 o abbreviato c-19
OK, È UN PO’ FORTINA, MA COME NEGARLO? DI SEGUITO L’ILLUMINANTE POST SUL NUOVO FARO DELLA CULTURA ITALIANA! (GRAZIE DEBBY PER IL REGALONE, MA I MIEI POST SONO TUTTI GODIBILISSIMI 😛 )
In coda al suo ormai leggendario “Manuale di sopravvivenza per muse” le pagine letterarie dei più letti quotidiani m o n d i a l i s’accendono di riscontri e prese di posizione ….. finalmente è DIBBBBATTITO!!!!!! 😀 😀 😛 😛
Musa a chi? Storie di donne rimaste nell’ombra
di Lara Crinò
Proserpina, di Dante Gabriele Rossetti, raffigura Lizzie Seddal, compagna e musa dell’artista
Da Lou Andreas-Salomé, che ispirò Rilke e Nietzsche, alla fidanzata di Kerouac, Alene Lee. In un’antologia intitolata ironicamente “Musa e getta”, sedici scrittrici italiane ripercorrono l’esistenza di signore “indimenticabili ma a volte dimenticate”. Per riportarle al centro della scena, come qui spiegano le curatrici del progetto.
tratto da “La Repubblica” online del 1° marzo 2021
Certe cose nascono così, per contaminazione. La perpetua ne ha combinata un’altra, ha solleticato un’ideazione ed è nata una protagonista che non ha nulla da invidiare alla gemella dall’altra parte dello specchio. Lo considero un regalone e ringrazio Andream2016 per lo splendido omaggio.
Poiché il racconto di Andrea è stato scritto prima della pubblicazione del finale della perpetua, è ipotizzabile che narrare di donne di questa portata induca ad analoghe fantasie in merito ai copricapi (sarà chiaro in lettura).
“Suor Morigerata ovviamente non è sempre stata una suora, ricorda ancora quando giovane rampolla della famiglia Accecaragnoli giocava libera e spensierata nel parco della casa dei genitori.
Il padre, Cavalier Commendatore Giuseppe Accecaragnoli, grazie alle amicizie con potenti cardinali di Santa Romana Chiesa, aveva creato dal nulla una florida industria di produzione ed esportazione armi in tutti i luoghi in cui i conflitti armati erano consuetudine.”
A me le giornate di questo e di quello non piacciono molto, alzano il polverone, fanno girare qualche cifra interessante, mettono in evidenza un problema, dettano ai Media l’argomento da trattare, alcune personalità di caratura istituzionale affermano impegno e il giorno seguente è la giornata mondiale degli animali da cortile.
Però Andream2016 mi ha fatto un regalone, un Extra-Lenny che reputo particolarmente adatto al giorno!
Non ho intenzione di far retorica e andrò dritta al punto.
Vestite, semivestite, nude, care Signore, abbiamo SEMPRE il diritto d’essere rispettate e più forte lo diremo a noi stesse e più sapremo pretenderlo.
(Nel migliore dei mondi possibili non sarebbe necessario, ma consiglio un corso di autodifesa personale, fino a quando non avremo sensibilizzato le nuove generazioni.)
MA -zzzzzzzffffrrrrrr- SENTO UN’INTERFERENZA PROVENIRE DALL’OLTREWORDPRESS.
(“SOLO ET PENSOSO…”)
EH?
(“SOLO ET PENSOSO!”)
EH…
“SOLO ET PENSOSO, ECCHECCATZ!”
GIANE?
Finito! Spengo il PC e raccolgo la giacca dallo schienale della sedia; un rapido sguardo e vedo che le luci sono tutte spente: bene. Chiudo la porta dell’ufficio e imbocco le scale scendendo gli scalini a due a due.
Il sole è ancora alto e la primavera si sta rivelando più calda del solito, ma sono fuori da quelle quattro mura e non ci sarà più nessun cliente a lamentarsi di questo o di quell’altro fino a domani. Mai nessuno che si fermi a far due parole per dire che è stato soddisfatto: pazienza, ormai non ci spero nemmeno più.
Respiro a pieni polmoni e sorrido «Buonasera, Emma!» la vicina sta innaffiando le sue erbette sul balcone del primo piano, senza curarsi dell’acqua che cade anche sui passanti, ma io ho imparato il trucco ed evito di farmi la doccia da vestito come le prime volte. È un po’ rincoglionita, è vero, ma non è cattiva. Quando si accorge di me agita la mano e risponde al mio sorriso, con un la faccia felice.
Butto la giacca sul sedile posteriore e accendo la macchina: parte l’autoradio e dalla chiavetta inizia la traccia “The Passenger” di Iggy Pop, uno dei miei brani preferiti: con i pollici picchietto sul volante mentre mi immetto nella rotatoria e canticchio “Lalalalallalalla” come un deficiente, ma sono di buon umore e me ne fotto degli altri.
Il semaforo è rosso. Nella macchina accanto che una bella ragazza, bionda, capelli corti. Si gira a guardarmi e io continuo a canticchiare in playback, fissandola mentre mi esibisco: scoppia a ridere alla mia performance ed è un peccato che diventi già verde, però mi saluta agitando le dita con un sorriso radioso.
Mi sono lasciato la città alle spalle sto arrivando a casa e il mio pensiero vola a lei: tra poco la rivedrò e so già che non aspetta altro. Sospiro, mentre svolto uscendo dalla statale per entrare nel paese. Un paio di curve, un cenno di saluto a un amico che sta facendo jogging e arrivo al cancello di casa.
Eccola là, che sbircia da dietro la tenda: non riesco a trattenere un sorriso mentre entro, mi levo le scarpe e sento i suoi passi in cucina, avanti e indietro, avanti e indietro.
Aspetto ancora un po’ cercando di sbirciare attraverso il vetro satinato.
Abbasso la maniglia e lei che mi fissa con i suoi occhioni marroni «Quante volte te lo devo dire che non devi saltare sul divano?» la sgrido agitando l’indice davanti al suo tartufino.
Ha le orecchie basse, ma scodinzola furiosa e saltella come un grillo. Mi metto in ginocchio davanti a lei e mi si avvicina fissandomi con occhi adoranti: la massacro di coccole e lei si mette distesa a zampe all’aria.
«Andiamo a fare un giretto?» campionessa mondiale di rotolamento, si rimette in piedi e inizia a girarmi attorno latrando a intermittenza «Va bene! Ho capito, ho capito, ho capito: adesso andiamo…» un’altra carezza, il guinzaglio e siamo di nuovo per strada, io e lei.
STORY-LENNY 1 è a disposizione di chi voglia metterci mano, un’unghietta, un po’ di smalto, una passata di crema, una carezza e, e ok, credo si sia capito. Dicevo, prima di pubblicare la seconda puntata di Story-Lenny, ecco quello che ritengo un regalone!
È di certo un contributo extra da parte di Andream2016!
Ciao ciccine e ciccini, il mese scorso stavo curando l’estetica di cazzo e passera quando
La rasatura
DRIIIIIIIIN DRIIIIN … DRIIIIN
il campanello di casa iniziò a suonare ripetutamente.
Mi asciugai velocemente ed andai ad aprire la porta. Davanti a me una bella ragazza dai capelli rossi mi stava fissando.”
“Endy!!! Che bello rivederti. Entra dai, non stare lì impalata.”
Ricordate vero chi sia Endy? E’ l’amica che mi ha convinto a farmi ricostruire la vagina.
Endy entrò velocemente in casa ed io richiusi la porta.
“Ma ti sei fatta nuovamente i capelli rossi! Sono contenta, te lo avevo detto anni fa che eri bellissima così rossa”.
Endy
“Non me lo dire, non è stata una scelta.”
Rimasi un po’ stranita “come sarebbe che non avevi scelta?”
“Ma sì, niente di serio, non ti preoccupare. Sai che ho avuto una specie di relazione con il Sommo Poeta?”
“Lui? Proprio Lui il Sommo Poeta che tutti conosciamo? No, non ci posso credere!” racconta
“Già proprio il Sommo” rispose Endy mettendosi a ridere, “lo so che ti sembra strano che io abbia ‘accalappiato’ l’Irraggiungibile Poeta, ma la vita va così.
Sai, due mesi fa ero stata abbandonata da quel vigliacco di Lenny. Aveva paura di tutto, era addirittura geloso di una specie di fantasma che continuava a chiamare ‘il narratore’. Insomma, per fartela breve, una mattina mi sveglio e Lenny non è nel letto.
Cerco Lenny ovunque, vado in bagno e vedo la finestra aperta con una corda penzoloni sull’esterno.
Eccheccazzo, si era calato fuori dal bagno e se l’era data a gambe levate. Da allora non l’ho più sentito.”
“Ma il Sommo ed Irraggiungibile in tutto ciò?”
“Beh io ero sconvolta, e per tirarmi su leggevo i componimenti dell’Immenso Poeta, quando un giorno senza nemmeno rendermene conto gli scrissi proponendogli di incontrarci.”
“Non ci posso credere che tu abbia trovato il coraggio di fare una cosa simile, hai trovato la forza di scrivere all’Unico?”
“Infatti, anche io quando lo racconto non riesco a credere all’audacia di questo gesto.
In ogni caso passò nemmeno un’ora quando sentii sotto casa uno scalpitar di cavalli. Mi affacciai al balcone e … il Magnifico Poeta era venuto a casa mia, con la sua carrozza trainata da sei splendidi cavalli muniti di altrettanto splendidi supercazzi.”
“E ??? non tenermi in ansia.”
“Il finale forse lo immagini. Lui il Sommo e Irraggiungibile è salito nel mio appartamento ed ha declamato odi per due ore filate. Finito di declamare, si è girato sui tacchi e tornato alla carrozza ed è sparito!”
“Niente sesso? E’ andato via e nemmeno avete scopato? Ma non hai detto di aver avuto una relazione?”
“Ho detto di aver avuto una ‘specie’ di relazione. Ed infatti è stata una relazione esclusivamente poetica. Fattostà che lì per lì mi sono incazzata, e nell’ira ho fatto cadere da una mensola una bottiglia di candeggina sui capelli … sbiancandoli a metà. Che dovevo fare? Per rimediare me li sono fatti tingere di rosso.
Ed infine eccomi qua, ma non certo per raccontarti del Grande Magnifico Poeta, ma perché è accaduta una cosa davvero orribile, l’universo ha bisogno del tuo aiuto!”
Nuova e poco trattata emozione regalatami da ALESSANDRO GIANESINI! Ebbene sì, prima o poi la si doveva annoverare… (cit.) ma niente panico! È meno consueta di quanto si pensi.
Buona lettura!
(GRAZIE ALE!)
Cos’è ‘sta roba? E io ci dovrei mettere le mani? Mi viene il vomito solo a pensarci, figuriamoci ad avvicinarmi. Si sente la puzza fin da qui. No, no: quello sta lì dov’è e si arrangia, io le mani non me le sporco di certo con quella merda.
E poi, perché lo devo fare io? Non è il mio lavoro. Che si arrangi chi ha fatto quel macello.
«Bleah…» una zaffata acre, un miasma immondo mi arriva alle narici e quasi traballo prima di riuscire a portare la mano al naso.
Dei passi dietro di me, devo decidere cosa fare, o qui si mette male. Ma come si fa? Non ho nemmeno un paio di guanti e poi, quella cosa, continua a muoversi e io… Come ci sono finito in questo pasticcio?
No, non era così che immaginavo di iniziare la giornata. Posso far finta di niente, certo, ma poi?
Mi giro di lato, prendo un gran respiro e faccio un passo avanti: quasi senza guardare allungo le mani, afferro la cosa e l’odore mi riempie le narici. Per poco non mi cade.
Si mette pure a fare un rumore infernale: ma non si scaricano mai le batterie di ‘sto coso?
Solo una fessura, le palpebre quasi del tutto chiuse e il naso che mi si è arricciato in una maniera innaturale. L’ossigeno sta finendo nei polmoni e io son qui ancora lontano dall’aver finito con questa cosa.
Merda, merda, merda! Appoggio alla superficie e tenendolo fermo con una mano, mi volto e prendo fiato, anche se è tutta pervasa da quel lezzo nauseabondo. Non ce la faccio più, non ce la faccio…
«Levati, imbranato: ci penso io a cambiare nostro figlio.»
Non me lo faccio ripetere e mi allontano di qualche passo: l’aria è più buona nell’altra stanza. Non mi sento in colpa, mi sento sollevato. E sorrido: quanto preferisco quel fagottino quando è pulito e profumato!
Ecco una nuova emozione regalatami da ALESSANDRO GIANESINI (Ale dove seiiiii?). Non aggiungo altro, questo racconto è da bere ghiacciato, per sentire il brivido di pudore.
Buona lettura!
(GRAZIE ALE!)
Perché tutti mi fissano? Ho qualcosa che non va col vestito? È sporco?
Osservo le maniche e la gonna del tailleur gessato: sembra tutto in ordine, nemmeno una grinza. Allora perché mi sento tutti i loro occhi addosso? Ci dev’essere qualcosa che non va, ne sono sicura, ma cosa?
Ecco: ce n’è uno che ride sotto i baffi, lo vedo e quando i nostri occhi si incrociano lui smette e finge di sistemare un foglio.
Sarò diventata di tutti i colori, ci scommetto. Che abbia sbagliato a truccarmi? Eppure… No, no. È tutto a posto, mi sono data un’ultima controllatina prima di scendere dall’auto.
Continuano a fissarmi, mentre mi siedo. I loro occhi mi spogliano e io non riesco a sollevare la testa. Le gambe tremano. Continuo a muoverle, a farle oscillare con le mani che tengono giù l’orlo, tirandolo fin quasi alle ginocchia. Se continuo così me la strappo questa gonna e allora sì che ci sarà da divertirsi.
Ma già lo fanno. Un risolino, un altro. Eccone un altro che sogghigna, vicino alla finestra.
Deglutisco e li fisso, seduti davanti a me, ma loro sono impassibili e mi scrutano con ostinata voracità. Ma che vi ho fatto per meritarmi tutto ciò? Nemmeno fossi un carnefice che viene messo alla gogna davanti al popolo che ha terrorizzato fino al giorno prima. Sento che le lacrime sono a un passo dallo scorrere giù dagli occhi e sì, a quel punto il trucco andrebbe a farsi benedire e sarei ridicola.
Le mani tremano e lascio il segno del sudore dei palmi sulle cosce.
Perché tutte le volte è così? Non mi piacciono quegli sguardi che frugano nella mia intimità, come se fossi alla loro mercé, senza niente addosso, con anima e corpo esposti al pubblico ludibrio: sono una persona, abbiate rispetto di me e del mio pudore!
Prendo un profondo respiro e sollevo appena gli occhi. Il brusio cresce e io mi schiarisco la voce.
Il silenzio è pure peggio, ora ho la loro attenzione, ma i loro sguardi sono taglienti e sento addosso le ferite che mi infliggono.
Faccio scorrere lo sguardo su di loro, ma levo pian piano le mani dalla gonna e le allungo, prendendo tra le dita quella copertina azzurra, consunta e sdrucita agli angoli: ne sfoglio alcune pagine e poi torno all’inizio.
Una risata, qualche altra parola bisbigliata e un “iniziamo?” mi sferzano le orecchie.
PRIMA DI LASCIARE QUESTE LANDE DESOLATE, L’EX-SOCIO ALESSANDRO GIANESINI MI HA FATTO DONO DI ALCUNI RACCONTI RIGUARDANTI CIASCUNO UN’EMOZIONE. LI CONSIDERO DEI REGALONI. ECCONE UN ALTRO PARTICOLARMENTE CENTRATO… (i puntini di sospensione sono una citazione che gli devo)
PER L’OCCASIONE NON USERÒ UNA SEMPLICE IMMAGINE, MA UNA CANZONE CON UN’ANIMAZIONE STUPENDA.
(GRAZIE ALE!)
Buona lettura!
«No, non spegnete la luce, vi prego…» gratto con le unghie contro la porta chiusa, ma anche lo spiraglio che c’era sotto scompare: stop, finito, buio totale.
Mi metto con la schiena contro il legno, che improvvisamente è freddo, ostile. Il formicolio sale dalle dita e scorrere attraverso le mani fino ai gomiti: mi gratto, ma non si ferma, e un sibilo spezza il silenzioso nero che mi avvolge e mi striscia addosso con le sue viscide squame.
Ho gli occhi sbarrati, ma nessuna luce mi permette di trafiggere quella nebbia bituminosa che fluttua davanti a me, attorno a me, occultandomi il mondo… occultandomi al mondo…
Mi si mozza il respiro riempiendomi i polmoni di un gelido fluido ribollente.
Era una risata quella? «Ehi, c’è qualcuno?» giro di scatto la testa, ma è tutto nero, tutto lontano dai miei sensi amputati.
Tutto tace, ma il vuoto è rotto dalla risata che mi gira intorno, da un orecchi all’altro, carezzandomi con l’alito graffiante del suo rauco ripetersi.
Agito le mani, ma i fendenti delle mie dita graffiano solo l’aria, che si fa intensamente pungente e mi trafigge la pelle. Torno a grattarmi, i palmi, i dorsi delle amni e sento che tutto si lacera e anche quel tepore di sangue che ne esce, si congela, evaporando via dal mio corpo.
No, no: non urlerò come ieri, non lo farò di nuovo: quell’ago mi ha fatto vivere un sogno che… ma io ci sono già dentro, non è così?
Ancora quella voce, così carezzevolmente spietata che mi lacera i timpani col suo sussurro di piacevole morte: mi metto in posizione fetale cacciando la testa tra le ginocchia, ma la voce sembra ancor più distinta e mi attira ancor di più lontano dalla luce, dove il pensiero non riesce a penetrare il velo di oscurità che l’ha intrappolato. Ansimo a bocca aperta e l’aria non ne vuol sapere di riempire il mio corpo.
Non ce la faccio più, ora urlo… ora urlo… ora urlo!
Sento il sangue colarmi dall’angolo della bocca e scorrermi in gola, refluo di tepore già destinato a estinguersi.
Ogni respiro s’affanna a inseguir quello prima, ma la risata cresce di volume e ora sento il suo odore davanti a me e i suoi occhi mi fissano bui e profondi come la notte che mi tormenta col suo scherno.
Serro le palpebre, ma queste mi si ribellano e gli occhi scrutano quel che non si vede, quel che mi aggira e mi perseguita: sento il suo tocco sul corpo, tra i capelli e i suoi passi silenziosi mi aggirano in una danza macabramente rituale e dal sapore di fine.
Il sale delle lacrime si mischia al sentore ferroso del sangue sulle mie labbra e la lingua ferita ne raccoglie gli umori per ricacciarli nel corpo a cui appartengono.
Il cuore smette di martellare, la voce stavolta è vera e la porta si apre sul corridoio abbagliante.
«Ti sei pisciato addosso anche stanotte, stronzo?» il secondino mi assesta due calci nei reni, ma il mio corpo ancora tremante non si muove dalla posizione. La luce mi lacera le pupille, ma ora respiro, vivo.
Il sangue, le lacrime, il piscio… di quello poco m’importa.
Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre. Scuola romana del XVII secolo (immagine da qui)
NON LO SI PUÒ NEGARE: C’È, AGISCE, LAVORA.
IN QUESTO REGALONE DONATOMI DA ALESSANDRO GIANESINI NON C’È TIMORE DI GUARDARNE GLI OCCHI CUPI.
BUONA LETTURA
(GRAZIE ALE…)
«Nooooo!» mi sveglio urlando e con la fronte imperlata di sudore.
Mia madre si precipita in camera mia, accendendo la luce «Cos’è successo?» l’espressione di apprensione sul suo volto si smorza dopo una rapida occhiata tutt’intorno.
«Niente, mamma, solo un brutto sogno.» ora dal suo volto trasuda compassione «Va pure a dormire.» mi fa incazzare quando vedo le facce da cui traspare la pietà. Soprattutto se è rivolta a me «E spegni la luce.»
«Buonanotte.» sussurra dopo aver premuto l’interruttore e accostato la porta. Sento i suoi passi che si allontanano e qualcos’altro: un singhiozzare sommesso?
Sospiro e chiudo gli occhi, ma la sua immagine mi si staglia nel cervello appena abbasso le palpebre: lei è lì, davanti a me, con un’espressione sorpresa dipinta sul volto: allungo la mano per sfiorarla, ma resta sempre al di fuori della mia portata e poi…
No, non riuscirò a dormire neanche stanotte.
Accendo la luce del comodino, prendo un libro ma tutto mi ricorda lei: quel poster del suo gruppo preferito, la maglietta che mi aveva regalato. Prendo foglio e penna e inizio a scrivere di getto.
Quanto tempo è passato? Un anno intero? E tu dove sei? Perché doveva finire così?
Le emozioni turbinano nel mio petto, ma nessuna riesce a prenderne possesso e il ricordo di quel che è stato e di come avrebbe potuto essere le tiene lontane.
Non sono mai riuscito a piangere, né a urlare, solo pensare e ripensare a cosa avrei potuto cambiare nella mia vita, nella nostra vita.
Abbasso di nuovo le palpebre, ma il tuo sorriso si trasforma in un muto saluto, con una lacrima che ti scivola lungo la guancia. La tua figura è avvolta da una nuvola di polvere che gli pneumatici alzano slittando sulla terra secca e arida.
Apro la finestra: il cielo è limpido e stellato come quella sera, un anno fa, ma tu non sei qui con me.
Perché litigammo? Non lo ricordo neppure, ma so che successe e io me ne andai, lasciandoti sola nella notte. Il giorno dopo: il giorno dopo non è più stato vivere.
Ora però tornerò da te e faremo pace e il mio cuore tornerà leggero com’era un tempo.
La mattina dopo, sua madre entrò nella stanza, vide il letto sfatto e la finestra aperta. Sulla scrivania il foglio con le sue parole:
“Vado a cercarla, non posso più star qui a vivere o fingere di farlo.
Se lei ha sofferto è colpa mia;
se lei non è qui, è colpa mia;
se lei si uccisa, è colpa mia!”
Il corpo del giovane giaceva nella vasca, le vene dei polsi tagliate fin quasi al gomito e il sangue mischiato all’acqua ancora tiepida. Sembrava sereno.
Marte, il mio pianeta, è finalmente venuto a trovarmi.
Non pratico molto le evenienze intorno agli spostamenti dei pianeti, ma devo dire che arrivando ha portato doni.
Di più:
3 REGALONI!!!
Allegropessimista, l’altro ieri, approfittando di una mia errata lettura di uno dei suoi magnifici aforismi, ha buttato lì un “Bella la metto a nome tuo, dammene altre 3 e la battuta del giorno è tua”. Non frequento il genere (aforismi), ma la cosa mi ha divertita. Ecco il primo esperimento e il REGALONE di Allegro è, al di là della visibilità, l’avermi invogliata a sperimentare qualcosa di nuovo.
Endorsum per gli amici Endy scrittrice aforista e altro per sopravvivere. bravissima il genere è l’ermetico bisogna pensarci un po, un po, un po….. comunque pensare non fa male.
L’uomo è….. ecco la donna è……ecco.
L’alito non fa il monaco, ma aiuta.
Capita che il soliloquio esca dalla porta, per incontrare simili al bar.
Se un giovane ragazzo belloccio e benportante ti saluta per strada dicendoti ” ciao bella” è chiaro che vuole i tuoi soldi; se tu gli rispondi “ciao bello” è chiaro che vuoi la percentuale.
Variazione alla battuta di ieri
Il cretino ha le sue ragioni che l’assonnato non conosce.
Mi raccomando tante stelline.
FA minore, generosamente, ha sollevato dal gruppetto un aforisma in particolare e gli ha dato un abito bellissimo.
Stranger Than Paradise – Jim Jarmusch – 1984 (foto da qui)
ED ECCO UNA NUOVA EMOZIONE REGALATAMI DA ALESSANDRO GIANESINI. (Il Socio non ne sta sbagliando una.)
È LÌ, SOTTOPELLE, PRONTA A CERCARE OSSIGENO IN QUALSIASI MOMENTO.
BUONA LETTURA
(ALE, GRAZIE!)
«[…] al triplice fischio dell’arbitro, il punteggio resta sullo zero a ze…»
«Bella partita di merda!» Sbuffo.
Mi giro a guardare mia moglie che dorme sotto al plaid e afferro il telecomando mettendomi a fare zapping. Ci provo per cinque minuti, ma senza trovare niente di interessante e spengo la TV.
Faccio passare un braccio attorno alle spalle di Elena, la tiro verso di me e le bacio il collo «Ehi, tesoro» lei muove la testa senza aprire gli occhi «a me è venuta una certa idea, che ne dici se…»
Sospiro e mi alzo, guardando fuori dalla finestra: le luci dei lampioni illuminano la via, ma non si vede una macchina in questa serata d’inverno: cos’è? Han tutti paura di una spruzzata di neve? Ce ne sarà forse un millimetro…
Prendo il telefono e guardo nel gruppo degli amici di whatsapp: qualcuno ha detto che non esce, gli altri nemmeno quello han scritto.
Non ho voglia di stare a casa da solo. A dormire da solo: è sabato sera, cazzo!
Ok, deciso: esco. Mi bevo una birra e se non trovo nessuno, torno. Tanto quella, scuoto la testa guardando mia moglie nemmeno se n’accorge che non ci sono e la ritrovo dove l’ho lasciata.
Mi cambio, infilo un paio di jeans puliti e una camicia a caso, maglione, giaccone e via.
Esco dal garage e la neve riprende a cadere, stavolta più fitta. Ok, non ho le gomme da neve, ma per fare un paio di chilometri che sarà mai? Le catene nel baule ci sono, perciò…
La birreria è chiusa, figurarsi: uno vuole uscire una sera, divertirsi dopo una settimana di merda e non c’è nemmeno un posto dove andare a bere?
Sono tentato dal bar Sociale, ma con la clientela che ha è già buono se resta aperto fino alle nove di sera.
Cambio programma, andiamo fuori paese, sia mai che…
Cinque chilometri con la neve che continua a scendere e aggrapparsi all’asfalto e il risultato? Chiuso, nessuno in giro, tutte le luci spente e io a rompermi i coglioni perché non posso bermi una stramaledetta birra! Tornerò a casa, tanto, ormai, peggio di così…
Mi giro nel parcheggio vuoto e torno sulla strada: la visibilità è calata, ma tanto ci sono solo io in giro. Premo sull’acceleratore e la macchina mi va via di culo: l’adrenalina sale e io controllo a fatica il volante, ma mi sfugge un «Wow» dalle labbra.
Proseguo ancora un chilometro, con i tergicristalli al massimo della velocità: la strada è larga e io schiaccio un po’ sull’acceleratore: la macchina slitta e sento di nuovo la vita scorrere nelle mie vene.
Due luci mi arrivano dritte negli occhi: non ho nemmeno il tempo di veder scorrere tutta i miei ricordi, però sono consapevole che ora la vita scorrerà anche fuori dalle vene… per sempre.
CONTINUA LA CAVALCATA DELLE EMOZIONI REGALATEMI DA ALESSANDRO GIANESINI, IL MIO SOCIO IN WORLD OF SPHAERA.
IL SUO VIAGGIO NON SMETTE DI STUPIRMI… (i puntini di sospensione sono un omaggio all’autore)
BUONA LETTURA
(ALESSANDRO, GRAZIE!)
Un breve trillo e una vibrazione si sovrappongono al brusio di sottofondo della pizzeria. Guardo di sottecchi Flavia, che deglutisce e avvampa «Scusami, ora lo spengo.»
Faccio segno di no mentre mando giù il boccone «Ma no, figurati.» sorseggio un goccio di birra e la fisso «Chi era?» socchiudo le palpebre posando il boccale.
«Giusy, chiedeva se stasera usciamo.» si stringe nelle spalle infila in fretta il telefono nella borsetta attaccata allo schienale «Mi stavi dicendo del progetto che state facendo.»
«Oh, beh, niente di ché.» abbozzo un sorriso, ma non smetto di fissare la borsetta nera e mi par di sentire un’altra notifica «Non avevi detto che avevi spento?» serro la mascella, ma mi costringo a prendere un lungo respiro e increspare le labbra «Comunque per ora» seguo il suo sguardo che si sposta sulla borsa alla sua sinistra «sta procedendo tutto per il meglio e, se andrà avanti così, forse i capi ci daranno pure un bonus.» la mia voce è piatta e non riesco a non guardare verso quell’affare che penzola.
Il cameriere passa e ci porta via il piatto «Prendete qualcos’altro, signori?» mi guarda appena e poi sorride a Flavia, tenendo gli occhi su di lei e la sua scollatura. Sembra che lo faccia apposta. Lui posso anche capirlo, ma lei? Perché ricambia il sorriso?
«Marco?» mi sta guardando con aria perplessa «Facciamo un fritto misto in due?»
Annuisco «Sì, sì: va bene.» ma la mia faccia dev’essere tutt’altro che entusiasta, tant’è che il cameriere sbircia corrucciato verso di me mentre segna sul taccuino e se ne va.
«C’è qualcosa che va?» Flavia mi sta parlando, ma io sto ancora guardando la borsetta e sento che continua a vibrare.
«Lo puoi spegnere?» sputo le parole con rabbia e vedo che lei sgrana gli occhi e annuisce «No, è che volevo che fosse una serata solo per noi e invece…» non è un messaggio, ma una vera e propria chiamata: mi fa segno alzando l’indice e si alza allontanandosi.
Io la guardo e dà tutta l’impressione di essere felice per la telefonata, anche se finge preoccupazione. Esce dalla porta a vetri e la vedo parlare e gesticolare, ma è di spalle e non capisco. Nel frattempo, il cameriere mi lascia il vassoietto con scampi, gamberi e calamari, insieme a due piatti puliti; si gira anche lui verso Flavia e, dopo un momento di esitazione, si allontana. Ma cosa vogliono tutti da lei?
«Scusami, ma era mia madre.» e cosa voleva? Corrugo la fronte e la fisso, senza toccare il fritto «Finito di cenare è meglio che rientri: non si sente molto bene e…» abbassa lo sguardo «Mi spiace rovinare la nostra serata, ma sai com’è fatta: basta un niente e va in paranoia.» serro la mascella «Sei arrabbiato?» mi sbircia prendendo con le dita un calamaro per poi portarselo alla bocca.
Certo che sono arrabbiato «No, figurati, è solo che…» che mi sta sul cazzo che mi si prenda per il culo, ecco «Se vuoi ti riaccompagno subito, non c’è problema.» e così puoi andare dal tuo amichetto che non resiste, ah? Perché sei così puttana? «Io non so se riesco a continuare così, sai?»
Lei smette di masticare e sbatte ripetutamente le palpebre «Marco, io…»
«Non dire niente, non voglio parlarne ora.» mi alzo e vado alla cassa e il cameriere si avvicina al tavolo e inizia a parlare con Flavia e lei gli risponde con un sorrisetto, prendendosi un altro calamaro fritto.
Pago e torno al tavolo «Su, andiamo…» il cameriere torna con una doggy-bag in alluminio e lo consegna a lei: certo, io pago e lei si porta a casa pure il fritto, ‘sta zoccola «Andiamo?» ripeto mentre lei sta ancora ringraziando il bellimbusto che la squadra da capo a piedi come se fosse all’asta del bestiame.
Lei mi raggiunge e mi prende sottobraccio «Mi dici cos’hai?» ma io mi ritraggo «Guarda che puoi fermarti anche tu a casa nostra, se ti va.»
Io la guardo e scuoto la testa «Sì, certo. E poi…» mi blocco quando un cliente le apre la porta e le sorride con un mezzo inchino al quale lei risponde con un grazie tra due guance che si arrossano «No, lascia stare: ormai è andata così.» nel chiudere la porta vedo che quell’altro guarda il culo di Flavia.
Saliamo in macchina e ci fermiamo al semaforo «Cosa t’è preso stasera?» sembra quasi sincera la sua voce accorata, ma io guardo fisso davanti a me: perché si è messa così in ghingheri? Non l’aveva mai fatto e poi, tutto d’un colpo… «Ho fatto qualcosa di sbagliato?» mi domanda carezzandomi la spalla.
Sì, sei una bugiarda, ecco cosa «No, niente.» le parole mi escono come un mormorio sommesso «Però non so se voglio ancora star con te.» almeno non farò la figura del cornuto. Perché l’hai fatto? Perché mi hai tradito?
Lei singhiozza, con la testa ciondoloni «Perché?» ripete tra un singulto e l’altro.
Perché fai la smorfiosa, ecco perché! «Penso che tu lo sappia già.»
Arrivati a casa sua lei sta per dire altro, ma io la anticipo con un “Buonanotte” e appena scende, me ne vado. Tutte uguali. Appena le fai sentire importanti, iniziano già a cercarsene un altro.
Continua la cavalcata emozionale che ALESSANDRO GIANESINI ha deciso di condividere qui, in anteprima; è un Regalone che non smette di stupirmi e che spero possa avere lo stesso effetto in chi passa su queste pagine.
Il percorso è iniziato con il racconto LA RABBIA, è continuato con LA TRISTEZZA e… buona lettura!
(GRAZIE ALE)
«Ma tu guarda quella: anche la piscina si è fatta!» i lavori sono segnati sul tabellone esposto sulla rete metallica di casa Neri, a cui hanno legato quella arancione per non far guardare dentro: cerco di sbirciare attraverso i piccoli fori, mentre mio figlio mi tira per la mano «Arrivo, arrivo…» c’è un operaio che sta parlando con lei, la reginetta del quartiere: ma è il modo di ricevere gente? In vestaglia di raso e per di più trasparente?
Mi faccio trascinare da Nicola, ma lancio un’occhiata al loro giardino attraverso ogni forellino: ci starà un campo da calcio con tutto lo spazio che hanno, ma loro dove le mettono le piante? Sul confine di casa nostra, così ogni autunno metà delle foglie me le devo raccogliere io: bravi, così ci si comporta!
Sbuffo, ignorando le lamentele del mio bambino «No, niente gelato per merenda, inutile che insisti.» Sembri già un panzerotto, a forza di stare seduto a giocare ai videogiochi.
«Perché ho sposato quel fallito?» le parole mi scappano di bocca, mentre rientriamo nella nostra casupola, una di quelle dozzinali, a schiera: dai Neri hanno recintato tutto con quella maledetta rete da cantiere, così, quando hanno finito, aumenta l’effetto sorpresa, vero? Perché è come se fosse sempre uno spettacolo, manco fossimo al circo! Da noi è già tanto se ci possiamo permettere quella di gomma gonfiabile, di piscine, che quando Nicola ci entra fa uscire metà dell’acqua.
Ecco, ci mancava solo questa: la figlia dei Neri è qui a suonare. Vorrà invitare Nicola a giocare a casa loro, ma stavolta se lo scorda: lo so che fanno apposta per farci fare la figura dei pezzenti col nostro bambino. E sono sicuro che è là che mangia tutte quelle schifezze che lo fanno ingrassare come un… «No, oggi stai qui a giocare.» mi guarda e fa il mestolino, un mestolino dalle guanciotte belle piene, ma io sono irremovibile. Anche lei, Martina, mi guarda con quel faccino, se non fosse così bella, con i suoi capelli biondi e gli occhietti azzurri, verrebbe da dire che finge di essere un barbone che aspetta solo l’elemosina. Un senzatetto che però ha addosso un vestitino firmato della boutique del centro. Costerà un occhio della testa e lei lo usa per giocare: roba da matti!
Perché devono sempre averla vinta? Tanto non lo sposerai mai il mio bambino, non prendiamoci in giro.
«Va bene, ma quando ti chiamo, corri a casa.» lui annuisce, gli sistemo i vestiti e gli do una pettinata con le dita «Guarda che bell’ometto!» poi guardo lei e mi verrebbe da tirarle quelle treccine perfette che finiscono col fiocchetto di raso coordinato con le scarpine di… Prada? «Ecco, vai pure.» sento l’acidità che mi sale dallo stomaco mentre lo guardo correre dai vicini «E non sudare!» ma quello ormai ha già capito che dall’altra parte la vita è più bella e nemmeno m’ascolta, quell’ingrato.
Mi avvicino di nuovo alla recinzione e sbircio dai buchi della rete arancione e vedo l’escavatore che rimuove la terra dalla parte centrale del giardino.
I Neri sono entrambi sul vialetto e si stanno tenendo per mano «Mi fate venire il diabete.» il commento mi sfugge dalle labbra, ma chi se ne frega. Nicola sta per entrare a casa loro, ma lei, miss “Ce l’ho solo io” lo chiama a sé, si china e gli sistema la maglietta e una ciocca che gli è scivolata sulla fronte. E lui le sorride di rimando: se va avanti così, si fregano anche il mio bambino.
Neri mi vede e agita la mano per aria, con un sorrisone allegro: che hai da ridere tanto? Solo perché ti godi la vita pensi di essere migliore di me? Ricambio con un cenno rapido della mano, poi mi giro e torno in casa.
Questo Regalone mi è particolarmente caro poiché è testimone della volontà di ALESSANDRO GIANESINI di esplorare l’insolido sentiero che porta a luoghi muti e urlanti: le emozioni.
Gli sono grata per aver deciso di condividere così tanto.
Il percorso è iniziato con il racconto LA RABBIA, che ho avuto l’onore di ospirare in questo spazio in anteprima; ora è di ritorno a casa.
(ALE, GRAZIE)
Lo schermo è scuro, buio, immoto: nessun led che lampeggia, nessun bip a indicarmi un sussulto di vita; scorro le e-mail, ma quest’oggi nemmeno lo spam sembra interessato a me.
Infilo il telefono in tasca e me ne esco per una passeggiata: la mente si arrovella senza tregua, senza lasciarmi nemmeno il tempo di godermi quell’alito di vento che fa viaggiare veloci le nuvole, che corrono libere almeno quanto i miei pensieri.
Il telefono vibra, trattengo il fiato, ma è solo il meteo che mi avvisa che oggi c’è il sole «Grazie tante, eh!» gli rispondo, ma ne approfitto per scorrere con le dita in cerca di altro: niente. Elimino la notifica, scuotendo il capo e ricominciando a rincorrere le mie preoccupazioni, anche se forse son loro a inseguire me, ovunque vada, ovunque volga lo sguardo.
Com’è che sono finito in questo circolo vizioso? Era una mattinata così piena di allegra ipocrisia, saluti, baci, messaggi e poi… e poi niente, come se fossi sparito dalla faccia della terra.
Ripasso mentalmente tutta la giornata e la mano si infila in tasca: giusto una sbirciatina. Niente.
Non c’è nemmeno un runner da salutare oggi? Han deciso tutti che devo essere solo? Va bene, lo accetto…
Sì, come no! Non riesco a essere sincero nemmeno con me stesso? Ci sto male, ma non posso far altro che aspettare, muovermi, guardare. Lo vorrei gridare al mondo quanto sto male, ma sono talmente giù di corda che non ho avuto nemmeno il coraggio di parlarne con i miei amici.
Una macchina! Sembra che mi stia salutando, ma poi mi accorgo che mi sta solo facendo segno di stare in parte perché sono finito in mezzo alla strada. Cos’è? Il subconscio che ha deciso che è meglio lasciar perdere tutto e finirla qui?
Mi fermo a guardare l’acqua di un fosso che scorre lenta, un paio di pesci che si allontanano seguendo la corrente e la carcassa di una nutria a pelo d’acqua, lì vicino.
Perché sono venuto da questa parte? Perché proprio questa strada? Per non incontrarti in centro o è perché era la strada che facevamo insieme la domenica dopo pranzo?
Tutte e nessuna, chiaro. Ma io sono ancora qui a rivivere quei sorrisi al mio fianco, quelle volte che mi indicavi un airone o quando mi facevi cambiare strada perché c’era un cane che abbaiava a un cancello.
Dove sono quelle giornate di sole mano nella mano? Solo nei miei ricordi, ma non sono caldi come gli abbracci e le coccole che ci scambiavamo.
Faccio dietrofront quando vedo la casa che ci piaceva tanto e su cui facevamo tanti progetti. Quei progetti ora che fine faranno? Non lo so, la casa è bella lo stesso, ma non è più la stessa senza immaginarmici dentro assieme a te.
Ci vuole mezz’ora per tornare alla civiltà e ogni singolo secondo è te che vedo in ogni fiore, in ogni albero, in ogni sagoma che scorgo in lontananza. Un attimo, quella non è la mia immaginazione: sei proprio tu.
Sei da sola, cammini spedita e mi vieni incontro: il cuore perde dei battiti, ma chi se ne importa. Stai sorridendo, non c’è dubbio e sorrido anch’io.
Quando siamo vicini sto per abbozzare un «Ciao» addobbato da un sorriso, ma vedo il cavo dell’auricolare e tu non stai certo parlando con me. La smorfia resta paralizzata sulle mie labbra, mentre da parte tua vedo solo un’occhiata sdegnata, come se l’avessi urtata per sbaglio.
Passo oltre, il sorriso è rimasto stampato sulla mia faccia, ma si spegne sotto il peso di una lacrima scivolata sulle labbra.
Guardo il telefono, quella chiamata non era certo per me…
APPURATO CHE L’OPERA HA MESSO IN MOTO NEI SUOI FRUITORI LA VOGLIA DI INTERAGIRE CON ESSA CONCRETAMENTE, SEGNALO LA POSSIBILITÀ DI IMBATTERSI IN UN’ESPERIENZA ANCORA PIÙ ARRISCHIATA: QUESTA!
particolare de L’angelo caduto di Alexandre Cabanel, preso qui
QUESTO È UN REGALONE INASPETTATO!
FINALMENTE POSSO ACCOGLIERE SULLE PAGINE BEIGES ALESSANDRO GIANESINI, COLUI CHE MI OSPITA GENEROSAMENTE NELLA SUA DIMORA.
LA VOCE PUÒ CAMBIARE, QUI È SICURAMENTE INEDITA
BUONA LETTURA
(GRAZIE ALESSANDRO!)
«Cos’hai da guardare, ah? Tutte le mattine, alla stessa ora ti trovo qui con quella tua faccia da idiota che mi guardi come se non avessi capito un cazzo delle vita: ma chi ti credi di essere?
E poi che cazzo ridi quando ti parlo? Una volta o l’altra ti pianto un pugno su quel naso, che nemmeno tua madre ti riconoscerà quando avrò finito.
Niente, allora non capisci! Ti devi levare dalle palle, non mi interessa chi sei o cosa fai: non voglio più rivedere il tuo brutto muso. Fuori dai coglioni, sciò!
Guarda, ora mi sto davvero innervosendo, se hai qualcosa da dire, dillo e in fretta, perché io sono una persona calma, pacata e tutto il resto, ma quando uno mi prende di mira come stai facendo tu, allora divento una bestia e mi incazzo sul serio. Credo che nessuno mi abbia mai visto davvero incazzato, e tu potresti essere il primo: che culo! Però non so se dopo sarai in grado di andare a dirlo in giro, sai? Servirà la scopa e la paletta per raccogliere tutti i pezzi di quel tuo faccione di merda che ti ritrovi.
Mi dici che cazzo vuoi dalla mia vita? Me lo stracazzo dici una buona volta? No, non mi piace la tua faccia, non mi piace come mi guardi e non mi piace come ridi di me, perciò ora ne ho davvero pieni i coglioni: o ti levi, o ti spacco la faccia… e non è una minaccia.
Vedi? Mi sto tirano su le maniche: ti conviene iniziare a scappare finché sei in tempo, o questa è l’ultima volta che vedranno in giro, pezzo di merda!
Allora l’hai voluto tu…»
Il sangue gocciolava dalla mano. Lo specchio era a terra, in frantumi.
Questo l’ho aggiunto io (endorsum) Parade dei Lapsus Linguae.
LA TEORIA DEL LAPSUS DI LINGUAè un tormentone che ha afflitto i più (me in plurale maiestatico) negli ultimi tot giorni. UNALLEGROPESSIMISTA ha raccolto le fastidiose e pressanti esigenze conoscitive della sottoscritta e ciò che segue è il suo splendido regalone.(Grazie)
La prima volta che mi è stato chiesto se avevo una teoria in proposto, ho detto un sì convinto, avere una teoria è cosa facilissima, si può avere tranquillamente teorie su tutto, che abbiano senso è un’altra cosa. Oggi vanno di moda teorie che non stanno né in cielo né in terra ed hanno un sacco di seguaci, una per tutte che la terra è piatta.
Il lapsus da non confondere con il lapis, se no la teoria era bella e fatta, e di facile intuizione.
Il lapsus linguae, dal latino, tradotto letteralmente significa errore di lingua.
Ora chi diceva che io ho una teoria su questo argomento, è un uomo garantisco di grandissima cultura, conosce perfettamente il latino, il greco, e il sumero, nelle lingue moderne: inglese, francese, russo e tedesco più altre lingue, in italiano è eccelso tanto da essere nominato il sommo poeta, e io gli sono grato di essere qualche volta nelle sue citazioni, io sono un diversamente blog, e riconosco che spesso non capisco un cazzo di quello che scrive, ma sento che c’è del buono e cerco di applicarmi, con risultati altalenati, ma grazie alla sua indulgenza e sopportazione ho fatto qualche passo avanti. Deb per gli amici. Passate dal suo blog merita, io ormai non ne potrei più fare a meno. Deboroh Sensiteveson, non ha bisogno di pubblicità è uno dei blog più seguiti, meritatamente direi.
Deb per semplicità, ama giocare con le parole, è bravissimo, scrive poesie, sonetti, aforismi, detti ecc ecc… ed ama spesso giocare sul doppio senso. Ed è un grande cultore della gnocca, si capisce che gli piace tanto, e questo ci accomuna basta in qualcosa.
Ma non è lui ad avermi chiesto la teoria, la teoria me l’ha chiesta endy per gli amici. Endorsum il suo blog. Lei e chiariamo lei, bellissima donna, famosa e in incognito, grande scrittrice, per capirlo basta leggere alcuni suoi pezzi, si diverte a scrivere cose un po’ complicate per un diversamente blog come me, che mi perdo nei suoi scritti, e spesso come succede con deb non ci capisco un cazzo, ma come con lui ne sono attratto e capisco che c’è del buono in quello che scrive. Andate a trovarla, lei è nuova del blog quindi non ha ancora tantissimi follower.
Loro due si capiscono perfettamente, tanto che potrete trovare sotto i loro pezzi, magnifiche conversazioni, piene di riferimenti dotti, certo a volte cazzeggiano e finiscono col fare allusioni anche di tipo sessuale, ho detto che a deb piace la gnocca, ed endy è bellissima oltre che molto ma molto intelligente, certo a volte capita come nei loro pezzi che io non capisca un cazzo di quello che si dicono. Endy come me è in incognito, non si sa chi sia, come faccio a dire che è bellissima? Non potrebbe essere altrimenti, e se anche fosse brutta sarebbe una bellissima brutta. Famosa perché è molto brava basta leggere quello che scrive, si nota subito la differenza con i dilettanti. In tutta onestà lei dice di non essere ancora famosa… ma lo dice solo lei, e se anche non fosse ancora famosa per me è già la famosa endy, e a volte basta aspettare un po’ per avere ragione.
Ok, il titolo fa un po’ impressione, ma non è cattivo.
Iniziamo.
Psicagogia: condurre l’anima (io direi anche movimentarla, ma sento già l’orda di filosofi avanzare minacciosa, eppure la logistica è così filosofica!).
PUNTO DI PARTENZA DELL’ANIMA: la razionalità.
PUNTO D’ARRIVO DELL’ANIMA: la verità.
MEZZO DI LOCOMOZIONE: una filosofia passionale e impetuosa, travolgente, parossistica e irresistibile, in questo senso erotica.
Quindi il pressing psicagogico è, in ridottissima sintesi, esercitare una pressione a un’anima (neghittosa e aggrappata alla razionalità) tramite una dialettica erotica atta a spingerla ad alzare le chiappe per andare incontro alla verità. (Platone, ecco.)
Dopo un immane lavoro su questa impervia via, posso con gioia raccoglierne i frutti e dichiarare che:
e dai e dai, l’elefante ha partorito il topolino!
DI SEGUITO ECCO UN REGALONE DA PARTE DI DEBOROH, A RICONOSCIMENTO DI TANTO E TALE IMPEGNO.
Pare che la forza sublime degli affreschi di Michelangelo della Cappella Sistina sia dovuta al “pressing psicagogico”esercitato sul genio da Papa Giulio 2° – Anche Deboroh, nel suo piccolo, è riuscito a partorire questa goccia di saggezza “sollecitato” dagli argomenti squisitamente erotici di Endorsum (Endy per gl’intimi)
ANTALGICA POETICA
Aforisma 3955
per decantare l’irresistibile fascino del silenzio
ho scritto un trattato geniale e adesso tutti ne parlano
Non quel video là, con la bella dedica d’accompagnamento, questo qua, che è quello originale, alla velocità giusta, nel quale si coglie la profondità del testo, la drammaticità intrinseca, il turbamento e, non ultima, l’interpretazione sentita e sofferta dell’attore (veneto l’attore, sì, veneto è veneto).
Con questo omaggio di Sara Provasi di ATTI EFFIMERI inauguro la sezione Sirenettitudine, nella quale potrete lasciare il vostro contributo in merito alla scostumata usanza sirenettica.
Grazie a Sara per questa testimonianza grafica coraggiosa, sofferta e realistica. I gattini crescono! (Non come gli alani, certo.)
Per la prima volta un’anima pia ha deciso di dar voce e corpo a un mio scritto. Il risultato è assurdo, estraniante e dotato di inaspettata bellezza comica.
Ringrazio Alberto Bertow Marabello per essersi prestato a una difficile prova attoriale, per le parole gentili nel suo articolo e, soprattutto, per l’abito di scena. Applausi!
Vorrei citarlo nel raccomandare il suo sito: “Indipercui vi esorto a non cliccare sul suo blog e rimanete nel mio. Se però siete dei zucconi che vi piacciono le cose belle e fatte bene, vi metto il link … Io vi ho avvertito, Comunqui!”
Un giorno o una sera, Andrea si trovò su questa pagina. Lì campeggiava una fotografia di Dennis Evan (ancora visibile).In una bella giornata invernale prese una bomboletta, un apparecchio per fotografare e uscì di casa.
Ciò che appare di seguito è l’opera che ne deriva.
Questo è un omaggio a colui che per primo mi ha dato il suo appoggio in questa landa sperduta di socialità impunita.
Colui che ha cercato invano di individuare le mie fattezze
“Mi presento, sono Eritema Scolpidossi, la più autorevole ed influente critica letteraria europea e dirigo la rivista per adulti Hustler” — Antalgica Poetica
“Vi assicuro che Deboroh Sensitiveson è di gran lunga poeticamente superiore a Dante Alighieri” — Antalgica Poetica
Questo articolo nasce dalla bontà di Paola (colpita dalla mia colpevole ignoranza manifesta). Grazie!
Timothy William (e non Walter) Burton nasce a Burbank nel 1958 in una famiglia che considera noiosa tanto quanto il comune che lo ospita nella contea di Los Angeles, California. 103.000 abitanti secondo il censimento del 2010, incastrati in una posizione geologica distanti poche miglia a nord-est di Hollywood.
Cresce in una sorta di bolla solitaria, annoiato allo sfinimento e conclude i suoi studi presso il California Institute of Art affacciandosi al mondo del cinema grazie alla Walt Disney che gli propone alcune interessanti quanto noiose collaborazioni. Viene definito dal jet set il diverso e solitario, cosa che lo porrà più volte a ricollegare la sua infanzia ad un periodo nel quale i suoi più cari amici erano i film di serie B della Hammer, casa cinematografica Inglese.
Ama e detesta Burbank, ne parla in molto ironico nelle interviste e non si apre facilmente al pubblico. Se lo fa lo fa in modo nervoso e confuso. Tutti i suoi profili social non sono autentici, o meglio sono gestiti e creati da altri in suo nome. Questo fa di lui IL visionario in un’era che dimentica troppo spesso quanto la realtà sia la miglior condizione attraverso la quale trovare fonti d’ispirazione.
A distanza di anni…………
Tim Burton diventa parte e non parte della Hollyweird, nutrita di esseri incredibilmente inesistenti, e prossimi a un decesso vertiginoso nel quale egli stesso sente di farne parte da sempre.
L’incontro con Johnny Depp nasce in un locale nel quale Tim Burton attende scollato dalla realtà il giovanotto “da 4 soldi”, prossimo al più totale fallimento. Pubblicizzare cereali per Depp rappresentava la catastrofe nella catastrofe, la fine dopo un inizio incerto e scarsamente identificativo.
Depp viene “assunto” nel ruolo di Edward scissorhands, Edward mani di forbice dopo settimane di silenzio durante le quali le uniche cose che aveva compreso di Tim Burton erano due: l’esaltazione per l’estetica perversa della brocca del latte a forma di mucca posta sul tavolino e l’attrazione estatica degli acini d’uva di plastica che formavano una piuttosto surreale composizione artistica.
Questo punto di vista piuttosto discutibile ha fatto sì che molti critici abbiano creato il personaggio all’interno della persona, condizione drammatica per chi come lui ha saputo trasformare i canoni di bellezza in verità nude e crude.
Facile amarlo oggi, vent’anni fa e poco più era considerato un poveraccio fissato con la plastilina e lo slow motion, intento a credersi Vincent Price suo maestro da sempre nel cortometraggio Vincent.
Trama
Vincent Malloy è un bambino di sette anni che finge di essere come l’attore Vincent Price (che narra il film). Fa esperimenti sul suo cane Abercrombie, ed è ossessionato dai racconti di Edgar Allan Poe. Il suo distacco dalla realtà durante la loro lettura lo porta a delirare, credendo di essere in realtà un artista torturato, privato della donna che ama, rispecchiando alcune parti de Il corvo di Poe. Vincent, torturato dai componenti del suo mondo di finzione, citando Il corvo cade a terra in fragilità, credendo di essere morto.
La critica dice: Tim Burton non è per tutti ma lo è nella finzione di tutti coloro che guardano senza introspezione alcuna, e forse lo è diventato a suon di mazzate sui denti che a guardar bene l’hanno reso unico nel suo genere.
Per quanto mi riguarda è un intoccabile con le calze a righe come il dentifricio a righe, del quale parlarne solo se ne ho valido motivo.
Per Endorsum, che oggi rappresenta il mio valido motivo.