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Bianco horrorr

(immagine presa qui)

Il latte si diceva. E della sua posizione. Un bianco horror.

Quando si rialzò, prese una manciata di briciole da terra e le compattò a zavorra, per darsi un peso. Per darsi un tono alzò il mento e allargò le spalle. Quindi s’incamminò.

Nel buio la perdita di colore, nel silenzio un moto impercettibile di grazia. O così gli sembrò, sentendosi finalmente libero tra la terra e il cielo. Tra piastrelle e soffitto.

Avanzò disegnando onde umide e attrezzandosi man mano agli imprevisti. Tipo il muro. Oh bene, quale intelligenza assegnarsi? Quale forma di pensiero? Mah.

Un’aria fredda gli rovistò la guancia. Scansare il fastidioso far fronte al continuo rimodellamento dei tratti o andarle incontro? La incontrò, fin dove la sua forza fu più sottile e tagliente. Le resistette e s’infilò sotto la porta, in passaggio.

Rapido e veloce, per non disperdersi in gocce, fu presto là, di là, e ritirò in fretta le zavor… le zavorr… cazzo le zavorre!

Scoprì il linguaggio.

continua…

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