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Troppo

Dopo essere stata a lungo in vacanza su World of Spheara, una nuova protagonista torna a casa dalla sua autrice.

Nel maggio di quell’anno fece una scoperta: dopo sei mesi di occhiate ricambiate, di accalorato fiorir di gote, di deglutizioni asciutte e spaesamenti, il bel tenebroso di quotidiano incrocio aveva una voce. Bella.

Se l’era immaginata in profondità e spessore, impegnata in frasi rigeneranti l’ego e l’aveva nascosta in un luogo sicuro, nel timore di doversene staccare all’incontro con quella reale. Invece no, nessuna delusione. Nel maggio di quell’anno non ci fu perdita. Solo un problema: «Ippo-po-polita! Che bel no-nome!»

Ah!” esclamò mentalmente, sorpresa non tanto dalla previsione di conversazioni travagliate, quanto dai significati assunti dal suo nome in quel suono sincopato. Tre, almeno. Nessuno lusinghiero. O forse sì. O forse no.

Quanto tempo le sarebbe occorso per raggiungere le belle labbra e zittirne il suono? E dopo, quanto avrebbe retto l’impaccio da impiccio? E infine, a quale diminutivo affidarsi per evitare il riproporsi di tutti quei significati?

Troppo. Troppo il tempo delle fantasticherie. Troppi problemi. Troppo bello lui.

Nel giugno di quell’anno fece una seconda scoperta: dopo un mese di titubanze, di avvicinamenti discreti e di sfiorar di pelle, Fulvio (perché anche lui aveva un nome, pronunciato da Ippolita con l’enfasi dovuta a una speranza che si vuole importante e realizzabile) aveva una fantastica propensione per lei.

Si accorse del movimento sotto il tessuto in un casuale combaciar dei corpi e ne fu colpita come se da lì partisse un’accensione con elettrica urgenza. La propensione era talmente definita da inorgoglirle i sensi e da permetterle di aprirsi a sensazioni effluenti. Un unico inconveniente, lui non riusciva a mantenerla. La propensione si era mostrata timida nei momenti sbagliati, vivace in luoghi non propizi, scultorea in presenza di parenti e amici.

Ah!” pensò ogni volta, non tanto preoccupata d’essere interessante ora sì e ora no, quanto per le preferenze mostrate dalla propensione, così difficili da soddisfare.

Troppo. Troppo per una storia appena nata. Troppi problemi. Troppo bello lui.

Nell’agosto di quell’anno fece una terza scoperta: dopo due mesi di carnalità ondivaga, di stop and go, di eccitanti improvvisazioni, Fulvio aveva esternato un virile desiderio di famiglia. Lei non vi aveva fatto caso, ma il suo sciogliersi di fronte a pargoli variamente impegnati in lallazioni, capricci e lancio di pappe, la mossero a considerare l’evenienza.

L’evenienza fu sobillata anche da frasi magiche pronunciate da lui lungamente e in più riprese, sintetizzabili in “con la pancia sarai bellissima”, “ti massaggerò le gambe” e inequivocabili “noi tre”. Nell’enfasi di un tale turbinio di proiezioni nel futuro, a Fulvio sfuggì una verità: era sposato. Sì. Con Marcello.

Ah!” si trovò quasi a dire, non tanto per la presenza di un legame ufficiale, quanto per essere stata catapultata nella competizione con un uomo, ricco, generoso con il giovane marito e promotore della sua realizzazione professionale.

Troppo. Troppo per chi vuol metter su famiglia. Troppi problemi. Troppo bello lui.

Nel settembre di quell’anno fece una quarta scoperta: era incinta. Festante e sicura comunicò la lieta novella a Fulvio che l’abbracciò, la baciò e la coccolò per l’intero giorno.

Sul far della notte la condusse su un prato, illuminato da una luna invadente, le carezzò i capelli, la dondolò in abbraccio e, perdendo la dizione a tratti, che tanto intenerisce una donna, le disse: “È un sogno che si realizza. Mio e di Marcello.”

«Ah!» sbottò finalmente.

Ippolita si diede all’ippica.

Con il suo piccolo in spalle cavalcò elegante sulle rive chiare e sabbiose del Po, l’unico luogo in cui i significati si congiunsero a un senso.

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